Un italiano su Marte

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Giuliana Dalla Fior

11 Gennaio 2016
Reading Time: 10 minutes
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Pietro Aliprandi

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Un giovane medico, bello e determinato. Corrisponde al ritratto di molti laureati che, con convinzione e fatica a un tempo, vogliono ad ogni costo raggiungere la meta che si erano prefigurati fin da ragazzi. Tutto questo vale anche per lui, ma l’aspetto che lo distingue è che il giovane medico potrebbe essere un “marziano”. Non perché extraterrestre, ma perché aspirante astronauta per poter sbarcare su Marte.

Pietro Aliprandi, laureato in Medicina con tesi in neuropsicoanalisi all’Università di Trieste, ha dichiarato: “Sono pronto a partire per Marte e non tornare”. Quale nesso tra la sua passione per la fantascienza e la psichiatria?

«Una parola: Pandorum. Si tratta di una pellicola di fantascienza diretta da Christian Alvart, uscita nelle sale nel 2009. È il mio fi lm preferito, perché combina l’inquietante fascino dell’ignoto – nella fattispecie un viaggio interstellare – con i disturbi psicotici che possono affliggere un equipaggio isolato, privo di punti di riferimento e di contatti con la Terra. Parliamo di passioni, l’astronomia e la medicina (assieme al cinema), che si sono sviluppate indipendentemente nel corso della mia vita».

Cosa rappresentano per lei l’ignoto e lo spirito d’avventura?

«Ciò che mi affascina maggiormente dello Spazio è proprio la possibilità di esplorarlo e scoprirlo. Lo spirito d’avventura è di famiglia, a partire da mio nonno e mio padre che vissero per oltre dieci anni in Africa, principalmente Etiopia, conoscendone la parte più selvaggia. Io ho sempre preferito il campeggio all’albergo, l’alta montagna al mare, e non ho ancora provato una soddisfazione più grande del raggiungere una nuova vetta, a me sconosciuta, specialmente se questa si erge oltre i 3.000 metri. Con lo studio della psicoanalisi, poi, ho acquisito la consapevolezza che l’avventura e la scoperta sono nella natura dell’uomo, che ogni persona ne sente il richiamo; anche chi è troppo timido per affrontare l’avventura in prima persona ne resta comunque ammaliato, quando la vede come spettatore».

Lei è uno dei 100 aspiranti astronauti per “Mars One”, ovvero la missione umana per colonizzare Marte. In cosa consiste l’intero progetto?

«L’agenzia privata Mars One ha l’obiettivo primario di fondare un insediamento permanente su Marte, a partire dal 2027. La missione prevede l’invio preliminare di un lander (veicolo d’atterraggio, ndr) sperimentale sulla superficie del pianeta, due satelliti di telecomunicazioni (uno in orbita marziana, l’altro “a metà strada” tra la Terra e Marte, o più precisamente nel punto di Lagrange di stabilità L5), due rover (astromobili, ndr) e i diversi componenti dell’avamposto. Seguiranno 6 missioni con equipaggio, ciascuna composta da due maschi e due femmine, a distanza di 2-4 anni l’una dall’altra. Ogni equipaggio di 4 coloni sarà il risultato di una selezione a sé stante aperta a volontari civili di tutto il mondo, la prima delle quali è prossima alla conclusione».

Come è nata l’idea di partecipare alla selezione?

«La passione per lo spazio e il sogno di diventare astronauta li porto con me da quando ne ho memoria, e ho sempre ritenuto di essere nato nel periodo storico sbagliato, “troppo presto”, per così dire. Quando ho letto di Mars One, appurato che fosse un piano reale e credibile, candidarmi è stato un gesto di estrema naturalezza, quasi come se l’avessi sempre atteso».

Tra gli oltre 200.000 candidati era l’unico italiano?

«Non possiedo i dati specifici, ma si stima che all’inizio del primo round di selezione fossimo almeno 100 italiani, assottigliatisi a 12 nel secondo round (dal 30 dicembre 2013) e infine a me soltanto nel terzo round (quello in corso, iniziato il 16 febbraio 2015)».

Lo scopo della missione è quello di gettare le basi per un avamposto permanente e attuare ricerca scientifica. Ma non è previsto un rientro sulla Terra?

«No, non è previsto nel protocollo della missione. Questo perché uno dei punti saldi di Mars One è l’impiego di tecnologie già esistenti e disponibili sul mercato, mentre un vettore capace di decollare da Marte non è ancora stato sviluppato. Ciò non esclude, tuttavia, che in futuro l’esistenza di un avamposto umano su Marte possa invogliare numerosi viaggi di andata e ritorno tra i due pianeti. Si pensi soltanto al fatto che la NASA ha accelerato la proprie ricerche sui sistemi di propulsione per raggiungere Marte, in questo caso anche con un viaggio di ritorno. La NASA stima di poter sbarcare nel 2030-2035. Al contempo, le aziende private Space X e Blue Origin già oggi stanno collaudando con successo razzi capaci di decollare e atterrare in verticale senza rampa di lancio, cosa che faciliterebbe enormemente un ritorno da Marte o da qualsiasi altro pianeta».

Alla fi ne del 2016 dovrebbe affrontare un altro round di selezioni, da cui scaturiranno solo 24 candidati. Se sarà tra questi “fortunati”, cosa l’aspetta?

«I 24 candidati che supereranno il terzo e quarto round di selezioni, che si svolgeranno contemporaneamente nel corso di due settimane di valutazione, diventeranno a tutti gli effetti dipendenti di Mars One a tempo pieno. Organizzati in sei gruppi da quattro (due maschi e due femmine per gruppo), i 24 astronauti alloggeranno stabilmente in una struttura messa a disposizione da Mars One, nella quale ci sarà posto anche per eventuali famiglie. Per nove mesi all’anno, ciascun gruppo si addestrerà nelle più svariate discipline, dall’ingegneria alla medicina, dall’elettronica all’odontoiatria, dalla botanica alla sociologia. Per alcune settimane all’anno, inoltre, ciascun gruppo risiederà nella nazione di origine di uno dei suoi membri, per familiarizzare con la sua cultura d’origine e favorire la coesione. Trascorsi i nove mesi di addestramento, i sei gruppi si confronteranno in diverse sfide della durata complessiva di tre mesi, mettendo a frutto le nozioni apprese durante la precedente fase di addestramento. Commissioni di esperti in ciascun campo esaminato valuteranno non solo il superamento della prova, ma anche l’atteggiamento con cui il gruppo, nella sua interezza, si sarà confrontato con la prova. Ogni anno verrà eliminato un gruppo, fino ad arrivare ai quattro astronauti che metteranno effettivamente piede su Marte. Tutte le missioni successive avranno un processo di selezione indipendente, affinché ciascun gruppo sia la migliore scelta possibile. Queste nuove selezioni avranno inizio il prossimo anno, e i candidati esclusi da quelle precedenti potranno ritentare».

Sette mesi di volo, l’atterraggio su Marte e poi… Il viaggio di “sola andata” non le dà alcun problema?

«Mentirei se rispondessi che la questione non mi tocca. Sia il viaggio che la permanenza su Marte sono imprese mai compiute, per le quali non abbiamo termini di paragone con cui dipingerci delle aspettative affidabili. Ciò che più si avvicina a questi scenari sono le lunghe permanenze sulle stazioni spaziali in orbita e negli avamposti in Antartide. Personalmente, mi ispiro a Cristoforo Colombo, non tanto per il cliché della scoperta dell’America, quanto per la sua insaziabile voglia di esplorare: Colombo, una volta giunto a San Salvador, avrebbe potuto piantare la bandiera spagnola e tornare nell’accogliente e ricca Europa. Invece decise non solo di stabilirsi nell’inospitale e pericolosa “India”, ma programmò di esplorare tutto il nuovo continente, se Vespucci non l’avesse battuto sul tempo e non fosse stato richiamato in Spagna. Marte sarà una tabula rasa per la nostra specie, un pianeta su cui fondare una nuova civiltà da zero, magari non utopica, ma almeno migliore di quella che ci lasceremo alle spalle. Volendo inseguire soltanto quest’obiettivo, non basterebbe un’intera vita per portarlo a termine».

Quando arriverete sul Pianeta Rosso, dove abiterete, cosa mangerete, come trascorrerete le vostre giornate?

«Al loro arrivo, i coloni troveranno l’insediamento già assemblato e messo in funzione dai due rover inviati negli anni precedenti. L’airlock, cioè la camera di de-pressurizzazione per passare dall’ambiente esterno all’habitat interno, sarà ricavato dalle capsule di atterraggio, mentre l’habitat sarà costituito da moduli “gonfi abili”, rinforzati da uno scheletro rigido e ricoperti da uno strato di regolith (o “sabbia marziana”). L’habitat avrà un’abitabilità di 50 m2/ persona, proteggerà dalle radiazioni e conterrà al suo interno una serra idroponica che produrrà tutto il cibo necessario; diventeremo, quindi, vegani, fatta forse eccezione per la possibilità di allevare pesci e insetti. Temperatura, ossigeno e acqua saranno prodotti e controllati dall’ECLSS (Sistema di Supporto Vitale e Controllo Ambientale). Trascorreremo buona parte del nostro tempo all’interno dell’avamposto, nel quale avremo a disposizione tutti i confort di un appartamento terrestre di lusso, comprensivo di palestra e connessione a internet con TV on-demand. Ma a parte il relax, su Marte ci si dovrà occupare di mantenere in funzione i sistemi dell’habitat, predisporre l’arrivo del nuovo gruppo e studiare il pianeta. Per quest’ultimo punto, università e istituzioni scientifiche potranno comunicare liberamente con l’avamposto su Marte per richiedere particolari rilevamenti e dare consigli su cosa fare e come farlo. Dal momento che buona parte dei candidati attuali sono scienziati, me compreso, sono sicuro che moltissimo tempo verrà devoluto alla ricerca».

Come avverrà la scelta del partner per accoppiarsi e procreare?

«Sostanzialmente allo stesso modo in cui accade sulla Terra, con la sola eccezione di una possibilità di scelta molto più limitata – oserei dire dicotomica. In verità, i gruppi verranno formati già alla fine del 2016, quando saranno selezionati i 24 astronauti che procederanno all’addestramento. La composizione dei gruppi sarà spontanea, decisa cioè dai candidati stessi dopo uno-due giorni di convivenza, e comunque supervisionata e guidata dal comitato di selezione di Mars One. L’obiettivo è quello di combinare persone che presentino la massima compatibilità reciproca, perciò è verosimile che la scelta del partner ricadrà su un membro dello stesso gruppo. Scelta che rimarrà comunque libera e non intenzionalmente pilotata da Mars One; è anche vero che, in base alle conoscenze finora maturate dalle simulazioni, l’isolamento favorisce l’insorgenza di legami affettivi in pochissimo tempo».

Come si potrebbero confi gurare gravidanza e parto?

«L’obiettivo di Mars One è la creazione su Marte di una colonia permanente e autosufficiente. Per garantire questi due aspetti, è necessario che l’insediamento cresca, non solo tramite l’arrivo di nuovi coloni adulti dalla Terra, ma anche con la nascita di nuovi abitanti. Sarà perciò indispensabile, presto o tardi, prendere in considerazione tale aspetto. Premetto, tuttavia, che dal controllo missione sulla Terra non arriveranno gli “ordini” a cui Hollywood ci ha abituati, e che vengono effettivamente impartiti dalle agenzie spaziali governative; la colonia di Mars One sarà infatti autonoma, ricevendo solamente raccomandazioni, suggerimenti e istruzioni. Tra dette raccomandazioni ci sarà quella di astenersi dal procreare nelle prime fasi, cioè fi no al momento in cui vi sarà sufficiente disponibilità di risorse (tempo, spazio e cibo) da dedicare a eventuali bambini, e comunque non prima di aver svolto le opportune osservazioni su piante e piccoli animali, circa l’adattamento biologico al nuovo ambiente. Per il parto, comunque, non sono previste complicazioni diverse da quelle riscontrabili sulla Terra, e almeno metà dei coloni disporrà di una formazione medica e infermieristica completa».

Se qualcuno si ammalerà o avrà scompensi fisici di diversa natura, quale alterità è prevista rispetto al “terrestre ospedale”?

«All’inizio l’avamposto disporrà di presidi medici limitati, ma con l’espandersi dell’insediamento crescerà progressivamente anche l’infermeria. È an che vero che, su Marte, grazie alla dieta vegetariana e alla gravità ridotta, l’incidenza di malattie tipiche del mondo occidentale – ipertensione, insufficienza cardiaca, aterosclerosi, artrosi, cancro – subirà un drastico calo. In parole più semplici, alcuni medici, me compreso, si aspettano che su Marte si possa vivere più sani e più a lungo».

L’idea di abbandonare “per sempre” persone care non le crea alcun turbamento o tentennamento?

«Anche se la stabilità psico-emotiva è una caratteristica imprescindibile per la candidatura a Mars One, non posso fare a meno di pensarci. Turbamenti sì, tentennamenti no. Nella vita ognuno di noi deve compiere delle scelte, dove entrambe implicano la rinuncia ad alcuni benefici per averne altri. Sono molto legato ai miei cari, devo loro un quarto di secolo di cure, affetto, compagnia e insegnamenti; ma tutti i pulcini presto o tardi devono lasciare il nido, crescere e farsene uno proprio. Viaggiare nello Spazio per me è sempre stato più che un semplice sogno: lo sento come una vocazione, una chiamata, qualcosa a cui sono sempre stato destinato, se esiste il destino. Chi mi è vicino lo sa, e seppur con una lacrima, accetta questa scelta».

Mentre sogna Marte, ha provato ad immaginare la sua vita come un “comune uomo terrestre”?

«Dando credito alla matematica elementare, avevo lo 0,05% di probabilità di arrivare a questo punto, a essere l’unico italiano e uno dei soli 100 candidati. Per arrivare fino in fondo, la probabilità di farcela sale al 4%. Ma fosse anche del 50%, pur essendo un grande sognatore, non sono il tipo che ipoteca la propria vita basandosi su un’incertezza. In questo momento sto conducendo due vite parallele: una come candidato astronauta, completa di interviste in televisione, uniforme e autografi; l’altra come giovane medico che va al lavoro con una Renault Mégane del 2007, paga le tasse, studia per diventare psicoanalista, il venerdì sera beve una birra con gli amici, il sabato va al cinema con la sua ragazza e la domenica pranza con i genitori. Ancora un anno, e poi vedrò quale delle due vite proseguirà, e quale invece entrerà nella mia scatola dei ricordi».

Se non sarà tra i prescelti per colonizzare Marte, cosa pensa le rimarrà di questa esperienza?

«A oggi non so dire se, qualora
ovessi essere escluso dalla missione, mi ricandiderei. È molto probabile, ma se così non fosse farei ugualmente tesoro di ciò che questa candidatura mi ha già insegnato: la determinazione, la consapevolezza che  impossibile è in realtà sinonimo di molto difficile, se l’impossibile viene affrontato con il giusto impegno. Ho imparato che dai sogni si può passare ai progetti, e dai progetti ai fatti. Realizzare il proprio sogno è, per l’uomo, un motore più forte dell’opulenza, della fama e dell’amore, se si crede davvero al proprio sogno. Nella mia vita ho sempre ringraziato, più di coloro che facevano il tifo per me, quelli che cercavano di dissuadermi, di convincermi che non ce l’avrei fatta, perché smentire queste persone è la prova più dura e la più soddisfacente. Se dovessi dare un consiglio ad un giovane, adulto o vecchio, temerario o timido, appassionato di astronomia, arte o politica, le mie parole sarebbero sempre le stesse, quelle che traccio nella dedica di ogni autografo: “Punta sempre in alto!”».

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