Tra umano e animale

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Claudio Pizzin

24 Febbraio 2023
Reading Time: 4 minutes
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A Barcellona scoccò la scintilla che indirizzò il suo percorso artistico. «L’uomo è un coinquilino distratto in un ambiente che condivide ogni giorno con una miriade di altri esseri viventi»

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Nato a Udine e diplomato a Gorizia. Dalla sua famiglia di vetrai ha imparato fin da piccolo a osservare e assimilare l’arte. Che, come racconta in questa intervista, riempie in maniera totalizzante le sue giornate.

Michele Nardon, come definirebbe la sua arte?

«Una continua ricerca, un lavoro che si interseca con ogni singolo momento della mia vita. Io sono quello che dipingo e dipingo quello che sono, dipingo quello che vedo e quello che immagino».

Nel 2016 è nato il suo progetto dei “tappeti”: in cosa consiste?

«È un progetto che nasce da un viaggio a Barcellona. In visita al museo Mirò, sono rimasto affascinato dai grandi arazzi realizzati dall’artista. Durante il viaggio di ritorno ho iniziato a elaborare e sviluppare il desiderio di realizzare io stesso degli arazzi, ma in fase progettuale bisogna scremare l’idea, plasmarla, rivisitarla e a volte stravolgerla per poterla adattare ai bisogni tecnici ed economici della realtà».

Un’elaborazione complessa.

«Di pari passo all’elaborazione tecnica dell’idea mi dedicavo allo sviluppo concettuale e semantico del soggetto da rappresentare. Viste le tematiche, già da me affrontate, sui rapporti di relazione, fusione e immedesimazione di uomo e animale, è nato spontaneamente un percorso basato sul concetto di mimetismo. Il recupero poi di tappeti ormai in disuso o addirittura provenienti dalla discarica rafforza il significato che cerco di trasmettere e rappresenta perfettamente le riflessioni che mi hanno motivato e sostenuto».

Come mai proprio il tappeto?

«Il tappeto è uno degli elementi identificativi del nostro abitare. Un oggetto che, con le sue decorazioni, rappresenta e scandisce distintamente le dinamiche sociali e culturali dell’abitare. Noi esseri umani stiamo occupando e cementificando sempre più terreno naturale, andando a togliere habitat alle specie animali selvatiche che lo abitano. Da questa riflessione, le domande: “Come possono le creature non umane adattarsi?” “Cosa devono cambiare per sopravvivere in un nuovo ambiente?” A queste domande mi sono dato molteplici risposte e il mimetismo è stato il concetto per me più intrigante su cui lavorare, l’elemento più divertente su cui riflettere e sviluppare».

Ambiente e animali sono due soggetti sempre presenti nelle sue opere: come mai?

«Perché sono cose che vivo nel quotidiano. Adoro soffermarmi a riflettere e immaginare quanti mondi diversi coesistono nello stesso ambiente e adoro mescolare questi mondi fino a rendere le figure da me raffigurate estranianti e aliene. Noi esseri umani siamo abituati a crederci padroni ed esclusivi fruitori del nostro ambiente, non ci rendiamo conto che siamo in realtà coinquilini distratti di una miriade di altri esseri viventi, che non conosciamo e non consideriamo, ma che in realtà interagiscono continuamente a nostra insaputa con noi e con il nostro vivere».

La sua formazione non è casuale, ma frutto di un percorso di studi preciso. Quando ha deciso che sarebbe diventato un artista?

«Provengo da una famiglia di vetrai e fin da piccolo ho imparato a osservare e assimilare l’arte. Diversi artisti venivano a lavorare, sperimentare e realizzare le loro idee in vetreria e questa è sicuramente stata la scintilla che ha dato origine a tutto. Non ho mai deciso di diventare un artista, ma ho semplicemente deciso di occuparmi della cosa che mi interessa di più, cioè l’arte».

Il 15 febbraio ha compiuto 40 anni: per un artista relativamente giovane come lei, cosa offre il Friuli Venezia Giulia?

«Ho scelto di tornare in Friuli perché amo questa terra, mi piace viverci e mi piace l’idea che i miei figli crescano in un ambiente ancora legato alle cose semplici. Dal punto di vista artistico il Friuli Venezia Giulia è una terra che ha moltissimo potenziale e spirito, ma dal punto di vista istituzionale è completamente disunito e sembra abbia paura di esporsi. Purtroppo non riesce a unirsi per valorizzarsi al di fuori dei suoi confini, anzi il più delle volte si ripiega su se stesso e si accontenta».

Pittura, illustrazione, incisione, street art: la sua capacità artistica è indubbiamente variegata. In quale tra questi contesti si esprime meglio?

«Non ho un contesto tecnico in cui mi identifico maggiormente o dove mi esprimo meglio, perché faccio solo quello che mi diverte fare e anche le tecniche che uso sono legate a questo mio modo di ragionare. Se dipingo una tela, se dipingo un muro o se incido una lastra, lo faccio perché in quel preciso momento è quello che consente di esprimermi meglio. Pittura, incisione, illustrazione, street art sono tutte sfaccettature dalla mia persona e sono ugualmente importanti».

Quali sono gli artisti di riferimento per lei?

«Negli anni ne ho avuti diversi, anche se quasi sempre discostanti dal mio immaginario. Tra questi ci sono senza dubbio Zigaina, Odilon Redon e Luigi Bertolini».

L’arte necessita sempre più di risorse per garantire agli artisti di sostenersi. A suo avviso cosa andrebbe fato per valorizzare al meglio questo settore, in particolare tra gli artisti emergenti?

«Basterebbe che le istruzioni iniziassero a credere seriamente nell’arte contemporanea, puntando sull’aggregazione e diventando il collante tra il pubblico e l’artista, agevolando e incentivando le esposizioni in luoghi consoni a questa attività».

Quali sono i suoi prossimi progetti artistici?

«Sono in ricerca, lavori nuovi con cambiamenti stilistici. Non so di preciso dove mi condurranno queste nuove e confuse idee. Sono all’inizio di un nuovo ciclo».

 

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