Stile italiano

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Margherita Reguitti

9 Luglio 2014
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Paolo Fresu

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«Se non c’è suono e non c’è silenzio, non c’è musica. Perché il rapporto e l’equilibrio tra suono e silenzio è di tutte le musiche ed è forse della vita stessa». Questa la sintesi estetica e di pensiero di Paolo Fresu, musicista e compositore jazz legato al contemporaneo, ambasciatore di stile italiano nel mondo, ma anche organizzatore dinamico e poliedrico. Il suo modo di essere uomo e musicista, il suo rapporto con la tromba, hanno la concretezza, la profondità, l’impegno, la disciplina e la bellezza della sua terra, la Sardegna.

«Più scopro il Friuli Venezia Giulia – confida – più l’apprezzo e trovo abbia molte affinità con la mia terra. Certamente condividiamo la ricchezza linguistica e l’essere due regioni di periferia. Le nostre popolazioni hanno in comune l’indipendenza e l’attaccamento alle tradizioni come patrimonio per il presente e per il futuro. Da Stefano Amerio, a Cavalicco nell’udinese, ho il mio studio di registrazione ideale da molti anni. Lì sono nati molti miei dischi e colonne sonore, impensabile un cd senza Stefano! Ma sono anche molto legato all’amico regista Ferdinando Vicentini Orgnani di Valeriano, in provincia di Pordenone, per il quale ho registrato la colonna sonora già pubblicata del film Vinodentro. Negli anni ho costruito contatti umani e professionali molto stretti».

Fra gli appuntamenti più importanti dell’estate in Friuli Venezia Giulia c’è proprio il concerto di Paolo Fresu a Villa Manin il 14 luglio. Sul palco della storica dimora un progetto di stili diversi e personalità musicali differenti che dialogano nel trio con Trilok Gurtu e Omar Sosa. Tre maestri capaci di fondere tradizione e contemporaneità di provenienze e scuole differenti: l’italiana, l’indiana e la cubana.

Paolo, quali altri programmi per l’estate?

«Dal 9 al 16 agosto si svolgerà la 27esima edizione del festival Time in jazz a Berchidda, il paese dove sono nato, e in altre località della provincia di Olbia. Quest’anno abbiamo scelto come tema conduttore i piedi. Può sembrare una scelta bizzarra ma non lo è. “Avere i piedi per terra”, noto adagio, in questo momento di profonda crisi significa essere capaci di guardare la realtà con concretezza, senza grilli per la testa e contando solo sulle proprie certezze. Il festival non sarà solo musica di alto livello ma anche un momento di riflessione su argomenti importanti come il rapporto con la terra. Ci saranno anche danza e scrittura, tanti ospiti fra i quali lo scrittore Erri De Luca che ai piedi ha dedicato un’ode».

Da poco lei ha festeggiato i 30 anni di attività con il suo quintetto: qual è il segreto di tanta longevità?

«Il segreto sta nel fatto che continuiamo a suonare divertendoci. Abbiamo iniziato assieme nel 1984, io ero all’inizio della mia carriera, e dopo tre decenni abbiamo sempre la stessa voglia di sperimentare, cercare nuove vie e siamo sempre amici. Per festeggiare abbiamo realizzato “30”, un lavoro corale, tutti hanno partecipato alla scrittura e questo significa una dimensione del gruppo intatta».

Esiste oggi nel jazz internazionale uno stile italiano?

«Direi di sì senza esitazioni, aggiungendo che il nostro jazz ha una sua cifra stilistica personale e riconoscibile. Negli ultimi anni si è liberato dalla sudditanza nei confronti degli USA. Si può dunque parlare di stile italiano nella grande qualità, nell’ampia differenziazione di stili e generi in rapporto ai musicisti, spesso giovani di talento che si esprimono con una progettualità creativa».

Qual è il suo rapporto con la parola scritta?

«Mi piace moltissimo e quando non scrivo mi sento annoiato. Mi piace suonare e scrivere in sintonia, due espressioni di grande valore, che mi permettono di raccontare, usando strumenti diversi con risultati differenti. Se sul palco e nei dischi mi metto a nudo in modo criptato, in quanto la musica ha il fascino di essere interpretata, con la scrittura il racconto è più diretto e lucido. Scrivo note di copertina, prefazioni per dischi e libri. Ho anche pubblicato una guida che racconta i 50 giorni di un nostro tour in Sardegna nel 2011 e mi sono raccontato in “Musica dentro”. Ho appena terminato un testo per un libro fotografico dedicato a Miles Davies e Chat Parker che uscirà dopo l’estate, un ritratto a confronto dei due grandi del jazz dal mio punto di vista».

Con “i piedi per terra” che cosa auspica per la sua Sardegna e per l’Italia?

«La Sardegna, così come l’Italia, meritano di più. Va sottolineato più spesso il grande contributo politico-economico, intellettuale e storico della mia regione nella storia del Paese. Nel passato ci sono state delle politiche sbagliate e investimenti fallimentari, ma non abbiamo bisogno di elemosina. Ecco perché le iniziative che abbiamo realizzato e realizzeremo servono, non solo a raccogliere fondi per le vittime dell’alluvione dello scorso novembre, ma a fare una riflessione sui temi ambientali. Vorremmo fondare un manifesto etico dedicato all’Italia Paradiso, perché la questione del rispetto e della tutela del territorio riguarda tutti».

 

Paolo Fresu è nato a Berchidda (Sardegna) il 10 febbraio 1961. Docente e responsabile di diverse importanti realtà didattiche nazionali e internazionali, ha suonato in ogni continente e con i nomi più importanti della musica afroamericana degli ultimi 30 anni. Ha registrato oltre trecentocinquanta dischi di cui oltre ottanta a proprio nome o in leadership e altri con collaborazioni internazionali. Molte sue produzioni discografiche hanno ottenuto prestigiosi premi sia in Italia che all’estero. Nel 2010 ha aperto la sua etichetta discografica Tŭk Music. Vive tra Parigi, Bologna e la Sardegna.

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