Stefano Furini: il violinista passionale

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Da 35 anni è il primo violino di spalla dell’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste. «Una città che amo, ma il mio sogno è una casa in Friuli dove ospitare musicisti e masterclass». Nel frattempo la sua attività concertistica non conosce sosta. «Le principali emozioni vissute? Tante, ma quella sera che sentii cantare Daniel Oren…»

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Stefano Furini (© Teatro Verdi Trieste/VisualArt – Fabio Parenzan)

Nonostante gli impegni si accavallino senza soluzione di continuità, Stefano Furini emana un’energia contagiosa.

Ci sentiamo al rientro dalla sua ultima tournée con l’Orchestra Filarmonica della Scala. «Un contesto – confida – in cui le aspettative sono sempre altissime. Anche in questi concerti siamo stati all’altezza della situazione. Suono con loro da tanti anni e ogni volta le soddisfazioni sono molteplici»

Stefano Furini, riavvolgiamo il nastro della sua carriera. Quando è nata la passione per la musica?

«Nata per un obbligo, in tenera età. Da bambino volevo fare il medico, ma non c’è stato verso di scegliere. Mio padre, musicista, mi ha introdotto subito alla musica. Alla fine lui ha avuto ragione: ho fatto il violinista e le cose sono andate direi più che bene».

Lei è originario di Padova: come si trova un veneto a Trieste?

«Magnificamente. Il prossimo 14 ottobre saranno 35 anni che vivo a Trieste. Mi sono innamorato della città appena arrivato, nel 1990. Il Friuli Venezia Giulia, poi, è una terra magnifica».

Cosa le piace di più della regione?

«Mi piace moltissimo il mare di Trieste e altrettanto la campagna friulana, dove sogno di andare presto a vivere. Trieste è una città affascinante con una storia meravigliosa, forse non ancora completamente sviscerata e con tanti angoli nascosti. Il Friuli è una zona stupenda con una straordinaria volontà di conservare ancora le tradizioni, come poche volte mi è capitato di vedere».

Si ricorda il suo primo concerto?

«Avevo 8 anni e suonavo da un paio di anni. Feci dei duetti con mio padre che mi accompagnava al violino, mentre un caro amico che non c’è più mi accompagnava al piano. All’epoca c’era l’abitudine di fare tanta musica da camera. Fino ai 16 anni il giovedì era un appuntamento tra amici immancabile dedicato proprio a questo genere».

Dal 1990 ricopre il ruolo di primo violino di spalla dell’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste. Cosa significa per lei?

«Quando arrivai il posto era vacante: dopo il mio primo anno di attività venne bandito subito un concorso, che io vinsi. È un ruolo che a me piace moltissimo. Nella mia carriera non ho mai desiderato fare il solista. Ho sempre desiderato fare la spalla, anche perché allievo di Piero Toso, che era stato un grandissimo interprete del ruolo. Per me è stata la realizzazione di un sogno. È una grande responsabilità perché purtroppo la spalla non è personaggio simpatico nell’orchestra: è una sorta di gendarme».

In questi 35 anni come si è evoluta l’Orchestra del Verdi?

«Le orchestre sono animali perennemente in evoluzione. Quando sono arrivato trovai una realtà di grande livello, i componenti erano coesi e trasmettevano una forte personalità. Poi sono arrivati anni bui, con l’abbandono da parte della politica nazionale e con difficoltà serie. L’orchestra all’inizio contava 16 violini primi, successivamente ridotti fino ai 12 di oggi. In questo periodo, fortunatamente, le cose sono cambiate e stiamo nuovamente riassumendo. Adesso l’orchestra sta tornando a un ottimo livello, con giovani molto validi. E il futuro si prospetta ottimo. Posso dirlo perché sono uno dei componenti più anziani e ho vissuto tutte le evoluzioni».

Suonare in un’orchestra quali difficoltà comporta?

«Non è il musicista a scegliere l’interpretazione, ma il direttore. L’orchestrale deve assecondarlo in tutto».

E se il direttore sbaglia?

«Nella mia carriera ho imparato a non fidarmi di nessuno, nemmeno dei più bravi. Per mille motivi, infatti, ogni direttore può distrarsi durante il concerto: perché impegnato a seguire il palcoscenico, perché un cantante dà problemi o perché deve semplicemente dare l’attacco a qualcun altro che non sei tu… E in tutti questi casi io devo sopperire. Ci vuole un livello di attenzione massimale, con un orecchio sempre pronto a captare qualsiasi cosa succeda».

Tra i tanti in cui è stato protagonista, c’è un concerto a cui è particolarmente legato?

«Svariati, ma a due sono particolarmente legato. Il primo è il concerto sinfonico con Daniel Oren a Trieste, dove lui diresse e cantò i “Chichester psalms” di Bernstein. L’ultimo di questi salmi prevede che una voce bianca debba cantare. All’epoca non lo sapevo, perché ero giovane e inesperto. Quel brano, inoltre, Bernstein lo aveva dedicato proprio a Oren».

Cosa accadde?

«Non appena diede l’attacco all’orchestra, Oren si girò verso il pubblico e cominciò a cantare in falsetto. Fu qualcosa di magico, un’emozione fortissima che ricorderò per tutta la vita».

Ha detto che è legato a due concerti: qual è il secondo?

«La mia prima inaugurazione della Scala, diretto da Daniel Barenboim. Indimenticabile».

Stefano Furini (© Teatro Verdi Trieste/VisualArt – Fabio Parenzan)

Nella sua lunga carriera musicale si è confrontato con numerosi musicisti: chi è stato il più importante nel suo percorso di crescita?

«Due violinisti scomparsi, purtroppo. Uno si chiamava Vittorio Cacciatori, sconosciuto ai più. Smise la carriera di violinista per intraprendere quella di direttore per un problema di cefalee. Mi portò a suonare in Svizzera all’età di 15 anni; al secondo concerto con lui mi fece diventare la spalla dell’orchestra. Mi diede tantissima fiducia. Insieme sostenemmo centinaia di concerti che mi diedero la notorietà per giungere poi a Trieste. L’altro violinista era il triestino Franco Gulli, grande mentore».

Qual è le qualità indispensabile per diventare un musicista?

«Sentire la musica, perché violinisti ce ne sono tanti: suonano migliaia di note che non hanno nessun sapore. Musicisti che suonano tre note in grado di far sognare sono molti di meno».

Quali sono gli autori che Stefano Furini predilige interpretare?

«Mahler e Puccini. Sono un passionale. Le emozioni di quel genere di musica mi calzano a pennello».

Lei è anche componente del Triestango, ensemble di musica da camera che suona Astor Piazzolla: che genere di esperienza è?

«Un’esperienza strana giunta a ciel sereno. Andai a sostituire un violinista che non poteva partecipare ai concerti e così entrai in questo gruppo. Eseguiamo tango dagli albori fino ai contemporanei che hanno scritto brani anche per noi. Un’esperienza speciale perché suoni e non balli. Ma quasi quasi mentre suoni anche balli».

Stefano Furini quanto tempo dedica alla musica?

«Il più possibile, nel senso che non ho tempo. Il tempo è un lusso enorme. Non esiste l’orologio o l’impegno di famiglia. Prima c’è la “condanna” della musica, poi c’è il tempo libero: che siano dieci minuti o gli istanti prima di addormentarsi nel letto».

Quali sono gli impegni di Stefano Furini per il prossimo futuro?

«Nell’immediato stiamo allestendo “L’olandese volante” di Wagner col Teatro Verdi. In contemporanea dirigerò una riduzione delle “Nozze di Figaro” di Mozart per le scuole e non solo. Il 19 ottobre al Teatro Comunale di Monfalcone sarò in concerto con il Sontium Ensemble, gruppo nato con me e Cristina Monticoli, che prevede 5 prime parti del Teatro Verdi di Trieste e 5 dell’RTV di Lubiana. Una realtà di altissimo livello e dai forti contenuti di unione tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia».

Qual è invece il sogno che vorrebbe realizzare?

«Avere una casa capiente in Friuli, con un granaio in cui allestire una sala nella quale ospitare masterclass, in cui gli allievi possono fermarsi con i docenti al di là delle lezioni, creando un rapporto speciale di empatia. Coinvolgendo anche i produttori enogastronomici del territorio affinché possano far conoscere e provare i loro prodotti ai partecipanti e al pubblico di questi eventi».

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