Spirito sportivo

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Michele D'Urso

2 Aprile 2015
Reading Time: 4 minutes

Il cuoco Iuri Riccato

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Sport è sinonimo di competizione, ma esistono anche competizioni di tipo diverso, come i festival di canto, dove l’agonismo non manca assolutamente. Se all’agonismo ci aggiungiamo la succulenta ricerca del buon gusto, le gare di cucina diventano, per me, goloso sedentario ‘sportivo’, già doppiatore in cordata doppia della parete est del divano di casa, quanto di più estremo si possa concepire. Si sposerà bene la mousse agli asparagi con la salsa al limone? Più serio che faceto, chiedo lumi a Iuri Riccato, plurimedagliato cuoco a livello mondiale.

Iuri, come e perché si diventa chef?

«Innanzitutto io sono un cuoco; il termine chef è generico, mentre io tengo alla mia specialità. Si diventa cuochi per talento naturale, per istinto. Sin da piccolo amavo stare in cucina a cucinare con mia madre; certo, se vuoi imparare un’arte devi anche coltivarla. Per questo ho fatto la scuola, a Falcade nel bellunese, e ho seguito grandi cuochi per imparare i segreti del mestiere».

Quando ero bambino, un mio allenatore di calcio dopo ogni sconfitta, per alludere alle nostre scarse qualità, amava dire: “La pasta e fagioli, indipendentemente da chi la cucina, resta sempre pasta e fagioli”.

«Non è assolutamente così. Cucinare è un’arte e come tale ci sono schiappe e maestri. Una pennellata di Picasso può cambiare completamente il significato di una forma, così come un pizzico di estro simile trasforma una minestra in un gourmet».

Perché si compete anche in questo campo?

«Competere ti migliora, ti stimola. Praticare un’arte è anche un esercizio continuo dell’umiltà. Si impara da tutti: dai colleghi professionisti ai dilettanti. In una attività che è alla base dell’esistenza, cucinare con attenzione è un apporto per migliorare la nostra qualità della vita, sotto tutti i punti di vista».

Come si svolgono le competizioni?

«La competizione culinaria, potrebbe sembrare strano, appartiene al mondo germanico; è in quelle nazioni che si tengono le gare più importanti. Le Olimpiadi dei cuochi si svolgono ogni quattro anni in Germania, mentre i Mondiali si svolgono di solito in Svizzera, a Basilea. Poi ci sono gare di Coppa del Mondo in Lussemburgo, Olanda, Belgio…»

Questo significa che ci sono campionati di selezione nazionali?

«Non è proprio così. Il campionato italiano è fine a se stesso e non dà diritti particolari, questo perché per  competere ti devi proporre. Esiste un commissario tecnico nazionale al quale bisogna presentare i propri lavori per poter poi accedere a gare internazionali, ma li si può presentare indipendentemente dalle competizioni alle quali si è partecipato».

Quali sono stati i suoi piazzamenti migliori?

«Mi sono piazzato due volte primo agli Italiani, di cui una volta con un piatto a base di pesce, che nella mia personale classifica di preferenze viene dopo la carne. Ho partecipato a tre Olimpiadi, conquistando diverse medaglie, compreso un bronzo a squadre con una rappresentativa del Friuli Venezia Giulia. Ho anche vinto, in coppia, la Coppa Europa e, lo scorso autunno, ho conquistato la medaglia di bronzo ai Mondiali».

Domanda ardita: esiste il doping anche nelle gare di cucina?

«Evitando di fare riferimenti a come vengono allevati gli animali e alle piante manipolate, dico che anche nelle gare dei cuochi esistono dei regolamenti che bisogna rispettare; è successo più di una volta che qualcuno non li abbia rispettati, venendo squalificato, soprattutto in pasticceria dove la forma deve essere data dall’impasto senza supporti di alcun genere».

La cucina tradizionale può andare d’accordo con l’alimentazione per sportivi?

«Assolutamente sì, e senza nemmeno alterare eccessivamente il gusto dei cibi. Un cuoco moderno deve saper intervenire sui vari parametri della cucina, dai tempi di cottura alle temperature ai condimenti, così da rendere il cibo gustoso ma sano allo stesso tempo. Certo, nell’immaginario collettivo è difficile slegare il concetto del gustoso senza un corposo condimento, ma è fattibile».

Quanto tempo dedica alla cucina?

«Si lavora in media 14-15 ore al giorno nei feriali; nei festivi arriviamo alle venti. Ma la cucina è la mia vita: in questo ambiente ho conosciuto mia moglie, Michela Cumini, cuoca e sommelier, e assieme gestiamo, dalla fine del secolo scorso, la trattoria ‘Da Miculan’ a Tricesimo. Il fatto che Michela si intenda di vini ci rende un team completo».

Slow food, finger food, fast food, nouvelle cousine: in tutto questo bailamme, dove va la cucina del futuro?

«Credo che la cucina del futuro, farà un ritorno al passato, almeno negli ingredienti e nei prodotti di base. L’evoluzione ha portato alla selezione degli ingredienti, e quindi anche alla ‘globalizzazione’ dei gusti. Oggi noi cerchiamo di usare solo prodotti locali, dal sapore ben marcato e caratteristico, quali, ad esempio, i nostri formaggi. Questo non significa fare piatti tradizionali, anzi; la ricerca delle novità nelle combinazioni è per me una costante. Se poi qualcuno vuole proprio il frico, a richiesta, è ovvio che glielo faccio. Anche perché il compito principale di un cuoco è soddisfare la clientela».

Spesso gli artisti hanno un rito propiziatorio: ne ha uno anche lei?

«Non ho gesti scaramantici; al mattino, quando comincio a cucinare, è l’entusiasmo della passione che mi porta avanti. Certo, qualche volta, fra un filetto e un sorbetto, fischietto!»

Cosa la rende allegro?

«Ascoltare musica, di solito rock melodico, ma posso spaziare anche su altri generi e, soprattutto, andare in bicicletta».

Tra tutti gli impegni dove trova il tempo per andare in bicicletta?

«Bisogna approfittare dei giorni di chiusura e delle lunghe giornate d’estate, ma è una delle poche cose per me irrinunciabili. Andare in bicicletta è il mio modo preferito per ricaricare le batterie. Batterie di pentole, ovviamente!»

La verve di un artista è rivelata anche dalla sua allegria, e Iuri Riccato ne ha da vendere. Invitarvi a passare nel locale da lui gestito per provare i suoi manicaretti è superfluo, però prima, e anche dopo, visto che questa è una rubrica di sport, in nome del nostro – come recita il titolo – ‘Spirito Sportivo’, andate a correre o in palestra. E badate che vi controllo!

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