Sorelle d’arte friulane alla conquista d’Europa

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Margherita Reguitti

8 Luglio 2021
Reading Time: 8 minutes

Alice e Margherita Gruden

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Alice e Margherita Gruden, da Udine ai palcoscenici e sale di concerto di Londra e Parigi ma non solo. Una frase che riassume e giocoforza riduce quella che è un’esperienza di preparazione, studio e tanto impegno di queste due sorelle artiste friulane per le quali la musica è vita, famiglia, passione e professione. Mamma Daniela Bonitatibus, apprezzata arpista e docente, è portatrice dei geni classici. Papà Paolo, autore e musicista, rappresenta l’anima pop-rock. Un mix così completo e potente ha creato due figlie belle e talentuose, determinate nel sapere “che cosa farò da grande”, forgiate per affrontare anche le difficoltà di nuotare nel mare grande dello show business mondiale.

Alice (15 giugno 1994), dopo il liceo scientifico a Udine, ha scelto nel 2013 di trasferirsi in Gran Bretagna, entrando nella prestigiosa Guildford School of Acting per studiare Musical Theatre. Nel 2016 si è laureata, unica italiana, a pieni voti e con lode. Da allora ha fatto parte di cast importanti di grandi compagnie, esibendosi come cantante solista e ballerina negli spettacoli a bordo della Carnival Sensation sulle rotte caraibiche. Il suo ultimo impegno al Cairo, in Egitto, prima della chiusura dei teatri a causa della pandemia.

Margherita (29 agosto 1995) si è diplomata in pianoforte e specializzata in piano jazz al Conservatorio “Tomadini” del capoluogo friulano. Dopo un anno di perfezionamento a Siviglia, nel 2017 si è trasferita a Parigi. Qui ha conseguito il diploma al conservatorio. Attualmente prosegue gli studi in piano jazz in un istituto di alta formazione e insegna in conservatorio. In contemporanea calca i palcoscenici europei dedicandosi a progetti diversi: dal jazz al rock.

Disponibili e cordiali ci hanno così raccontato la loro vita, oggi in attesa di ritornare a fare ciò che un artista desidera più di tutto: esibirsi davanti al pubblico.

Dopo mesi duri di lockdown, grazie alla politica di vaccinazione di massa, la Gran Bretagna si appresta a un ritorno alla normalità. Alice ci racconta quali sono i pregi e i difetti del vivere a Londra oggi?

«In tempi normali, Londra ha il classico fascino della grande città: multietnica, ricca di eventi, trasporti e cibo disponibili a tutte le ore, imprevedibile e mai satura di sorprese anche dopo 7 anni qui. I musei sono gratis, ha la scena teatrale più vasta e fiorente d’Europa, e non sai mai quale personaggio famoso potresti incrociare. Detto questo, la qualità della vita è notevolmente più bassa di quella che possiamo sperare di vivere in Italia. Il sistema sanitario è in crisi da anni e la cultura generale delle persone fa rimpiangere il tanto criticato sistema di istruzione italiano. Come in tutte le grandi città, manca inoltre quel calore ospitale che contraddistingue noi italiani».

Perché ha scelto di studiare prima e poi di vivere nella terra di Albione?

«Durante l’ultimo anno del liceo ho avuto la fortuna di passare i tre round di audizioni per entrare nel corso triennale di Musical Theatre della Guildford School of Acting, uno dei più ambiti in tutta Europa: era dunque un’opportunità da non lasciarsi scappare. Dopo la laurea ho voluto far fruttare le conoscenze acquisite e vedere dove mi avrebbero portata. Inoltre, avendo ormai visto da vicino il funzionamento dei casting britannici, sarebbe stato difficile decifrare quello italiano».

Quanto le mancano il sole, i profumi e i colori del Friuli?

«Mi mancano la mia famiglia, le passeggiate per il centro, l’aria buona, il fatto che sia tutto così vicino. Poi il cibo, ovviamente. Per essere precisi il prosciutto crudo di Sauris e il San Daniele. La possibilità di andare in montagna o al mare pur restando in regione. Qui a Londra non hanno davvero nessuna delle due cose. Prima della pandemia non mi annoiavo, andavo a teatro e al cinema regolarmente, a lezione di danza, fuori a cena, sempre e comunque bramando la mia prossima bella vacanza in Italia. Il sole e il mare mi mancano sempre, e il Friuli mi mancava persino quando lavoravo in nave ai Caraibi. Sembra una sdolcinatezza, ma più a lungo si sta fuori dalla propria terra, più aumenta la nostalgia e si godono i momenti del ritorno. Udine non è mai stata così bella come ora che non ci vivo più: Schopenhauer avrebbe qualcosa da dire a riguardo».

A quanti anni ha capito che voleva fare l’artista?

«Canto da sempre. La recitazione è entrata nella mia vita in ritardo, rispetto al canto e alla danza: è la passione che ci ha messo più tempo ad arrivare. All’inizio mi terrorizzava. Decisi di voler diventare performer il 26 luglio 2008, a 14 anni, al mio primo stage estivo di musical in Umbria, la mitica Musical Week».

Londra capitale cosmopolita per antonomasia: che significato ha l’integrazione per un’artista?

«Dal punto di vista lavorativo venire dall’estero è un’arma a doppio taglio nell’ambiente della recitazione. Da un lato essere italiana mi ha aiutato ad avere una mia peculiarità e a uscire dal coro di migliaia di aspiranti performer britannici. È sicuramente anche grazie alla mia mediterraneità che ho ottenuto ruoli da latino-americana in Amor Cubano (a bordo della Carnival Sensation), o da italiana in Squad Goals (allo stadio Dagenham & Redbridge a Londra). Dall’altro, però, mi ha messo in secondo piano per tutti quei ruoli anglo-americani che magari sarei anche stata in grado di interpretare, ma con la vastissima scelta che i casting director hanno qui perché scegliere un attore non del luogo da cui proviene il personaggio in questione? D’altronde queste sono le regole del gioco: se così non fosse, la qualità delle produzioni teatrali, cinematografiche e televisive britanniche non godrebbe della sua fama mondiale».

Quali sono gli ambienti che frequenta, covid permettendo?

«Solitamente cerco di risparmiare per poter andare a teatro a vedere le ultime produzioni di musical o di prosa che Londra propone. In tempi normali frequento lezioni di danza ai Pineapple Dance Studios, lo   stesso palazzo in cui spesso si tengono diverse audizioni. Tempo permettendo una passeggiata in uno dei parchi è sempre una buona idea».

Quando le chiedono da dove viene come presenta Udine?

«Rispondo “near Venice”, e con la conoscenza geografica media degli inglesi è già bene se sanno dov’è. Ho portato diverse amiche a visitare il Friuli e se ne sono immediatamente innamorate. Il fascino di un centro storico italiano è irresistibile per chiunque venga dall’estero. Il mio account Instagram si trasforma a volte in un piccolo spot pubblicitario del Friuli. Il lago di Fusine d’estate, la neve a Valbruna d’inverno, il panorama dal Castello di Udine, Piazza Unità a Trieste…»

Lei ha già calcato palcoscenici di produzioni importanti: avrebbe avuto le stesse opportunità in Italia?

«Probabilmente no. I palcoscenici importanti in Italia non mancano, ma il musical è molto giovane e deve ancora trovare un pubblico affezionato. In Inghilterra si studia teatro fin dalle elementari e mandare i piccoli a lezione di tip tap nel pomeriggio è normale. La scuola dove mi sono laureata è stata fondata nel 1935. Non si possono mettere a confronto due realtà così diverse. Spero davvero che in futuro ci siano più lavoro, più tutela e più opportunità per i performer italiani, anche perché prima o poi vorrei tornare a mangiare gli gnocchi di Godia con regolarità».

Un sogno?

«Dare la voce originale a un personaggio animato Disney».

Musicalmente: qual è il ritmo della sua vita oggi?

«Il lockdown ha dato spazio a moltissima nuova musica, creata anche da miei amici, colleghi e stimati conoscenti. Questo mi ha portata a creare una playlist su Spotify di tutti i loro nuovi brani inediti, e l’ho chiamata “Emerging friends”. La loro musica, il loro talento e dedizione mi ispira a mantenermi creativa anche quando il nostro mondo è in freezer da un anno a questa parte».

 

Margherita, come si vive a Parigi al tempo del Covid?

«La chiusura dei vari centri culturali sta impoverendo la città, gli artisti sono tanti e siamo sempre più determinati a ricominciare a mille. Per il resto, i parigini sono una razza particolarmente strana: mai in città c’è stata una vera paura per la pandemia, le capitali sono motori difficili da fermare, anche a costo di infrangere le regole».

Perché ha scelto la Francia per vivere e lavorare?

«Parigi era un sogno già al liceo, nonostante non conoscessi la lingua. Ho deciso comunque di fare il grande salto e la scommessa di vita con i risparmi guadagnati lavorando in Italia. Inoltre questo paese è estremamente interessante per un musicista anche dal punto di vista economico: c’è la possibilità di avere uno statuto (intermittence du spectacle) per il quale si è ufficialmente riconosciuti come artisti dello spettacolo, e si riceve una copertura finanziaria non da poco. Ho dovuto lavorare tanto, ma è stata una grande emozione ottenerlo ed essere quindi riconosciuta come concertista a tutti gli effetti».

Si può diventare parigine: quali le porte facili e quali quelle anguste?

«Penso che porte facili non ce ne siano, ma le soddisfazioni che possono regalare le difficoltà superate meritano tutti i sacrifici. Bisogna sapersi mettere in gioco, buttarsi anche se non si è sicuri di se stessi, non farsi intimidire dalla numerosissima concorrenza. Sono partita a rilento proprio per questo: forse perché mi creavo più problemi di quelli che effettivamente si presentavano davanti alle opportunità. Se proprio dovessi pensare alla più grande difficoltà della città, direi trovare casa».

Come sono le giornate fra insegnamento e attività di pianista, prima e durante la pandemia?

«Prima della pandemia vivevo due vite: quella di giorno, fatta di lezioni, sia come allieva che come insegnante, studio, prove, e quella di sera con esibizioni in ristoranti di lusso o in seminterrati rock. Poi c’erano i concerti, i tour in giro per l’Europa, ma anche – attività importantissima – andare ad ascoltare i musicisti della scena internazionale. Con la pandemia naturalmente quasi tutto è in stand-by, soprattutto i concerti».

Papà rock e mamma classica: due modi diversi di fare musica, due sensibilità e formazioni. Una sintesi possibile?

«Proprio questa è stata la forza di crescere con loro: non ho mai considerato i generi musicali come mondi diversi, ho sempre respirato tante sonorità e ho sempre cercato di mettere la stessa quantità di entusiasmo e volontà in tutti i modi di fare musica».

A proposito, che cos’è per lei la musica?

«È un modus vivendi».

Quali sono le differenze fra gli istituti musicali italiani e francesi?

«Una grande differenza è il continuo scambio culturale tra allievi, la voglia di creare qualcosa insieme e non, al contrario, prevalere sugli altri, un rapporto meno accademico, più “naturale” nelle scelte extra scolastiche degli alunni delle elementari o medie. Anche l’approccio è diverso: ad esempio, fare jazz a 11-12 anni (i miei allievi hanno addirittura dai 7 ai 10) è considerato assolutamente normale, e vi sono molti meno stereotipi sessisti per quanto riguarda la scelta dello strumento».

I musicisti che frequenta che cosa pensano del panorama musicale italiano?

«Sono tutti consapevoli delle grandi doti artistiche degli italiani, non sarebbero tuttavia disposti a trasferirsi nel Belpaese per gli studi: siamo ahimè famosi per essere piuttosto razzisti. Cambierà?»

Cosa le manca di Udine?

«La natura: poter essere in poco tempo al mare o in montagna. Ho anche una certa nostalgia del lento scorrere della vita di provincia, senza correre dietro a una metropolitana che passerà di nuovo due minuti dopo, senza trovarmi in auto nel traffico incomprensibile di place de la Concorde. E mi manca l’aperitivo delle 11 in Paolo Sarpi. Ma devo dire che a 25 anni il caos parigino mi calza a pennello».

Un sogno?

«Vivere della mia musica».

Musicalmente qual è il ritmo della sua vita oggi?

«Preciso e libero».

Alice e Margherita Gruden, due artiste da seguire.

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