Fabio Deotto per L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (Bompiani), Erika Fatland per La vita in alto. Una stagione sull’Himalaya (Marsilio), Gulbahar Haitiwaji con Rozenn Morgat per Sopravvissuta a un gulag cinese. La prima testimonianza di una donna uigura (add editore), Colum McCann per Apeirogon (Feltrinelli) ed Ece Temelkuran per La fiducia e la dignità. Dieci scelte urgenti per un presente migliore (Bollati Boringhieri) sono i cinque finalisti della diciottesima edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, riconoscimento istituito e promosso dall’associazione culturale vicino/lontano di Udine insieme alla famiglia Terzani, nel segno del giornalista e scrittore fiorentino.
Lo ha annunciato la giuria, costretta anche quest’anno dalla pandemia a riunirsi online e non, come sempre, nella casa della famiglia Terzani.
«Ancora una volta – commenta Angela Terzani, presidente della giuria – abbiamo cercato di candidare al Premio opere che aiutino a far luce sui retroscena umani, storici o politici delle questioni di maggiore attualità nel mondo. Questo, per restare fedeli allo spirito di Tiziano – alla cui memoria il premio è dedicato – che ha sempre voluto tentare di capire, e far capire, ciò che avveniva di là dai nostri orizzonti».
I giurati – Enza Campino, Toni Capuozzo, Marco Del Corona, Andrea Filippi, Milena Gabanelli, Nicola Gasbarro, Ettore Mo, Carla Nicolini, Marco Pacini, Paolo Pecile, Remo Politeo, Marino Sinibaldi – si sono ora riservati un supplemento di riflessione prima di passare alla votazione finale. Il vincitore sarà annunciato a fine aprile e sabato 14 maggio (ore 21, Teatro Nuovo Giovanni da Udine) sarà protagonista della serata-evento per la consegna del Premio, appuntamento centrale della 18esima edizione del Festival vicino/lontano, in programma a Udine dal 12 al 15 maggio.
I FINALISTI
Fabio Deotto (1982) è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Per Einaudi ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (2014) e Un attimo prima (2017). Vive e lavora a Milano e insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia, pubblicato da Bompiani, è un lungo viaggio nei luoghi dove il cambiamento climatico è già una realtà visibile: le Maldive, Miami, la Louisiana, il Texas, la Lapponia, il Delta del Po e Venezia. Alle Maldive le spiagge spariscono, a Miami si ricostruiscono le strade sollevate di un metro, la Louisiana sprofonda a vista d’occhio, in Franciacorta il vino diventa ogni anno più difficile da produrre, e mentre a Venezia l’acqua salata consuma un patrimonio artistico inestimabile, altre città si svuotano di automobili e si riempiono di animali. Negli ultimi dieci anni la crisi climatica è passata da essere un problema delle generazioni future a costituire una vera e propria emergenza del presente. Eppure, nonostante il mondo in cui viviamo sia cambiato in modo inequivocabile e sia ormai molto diverso da quello in cui siamo cresciuti, noi continuiamo a vederlo inalterato. La colpa è dei tanti angoli ciechi che intralciano la nostra percezione della realtà. L’altro mondo va a cercare un nuovo sguardo nelle storie reali di persone già oggi costrette a misurarsi con un pianeta più caldo, esplorando allo stesso tempo le zavorre cognitive e culturali che rendono così difficile accettare il cambiamento in atto. Il risultato è un reportage narrativo che ci aiuta a vedere il nuovo mondo in cui stiamo imparando a vivere.
Erika Fatland (1983) è scrittrice e antropologa. Vive a Oslo. Collabora con diverse testate e si è imposta sulla scena culturale internazionale già con il suo primo libro, Sovietistan, tradotto in ventiquattro paesi, in Italia da Marsilio nel 2017. Il suo secondo lavoro, La frontiera (Marsilio 2019), è stato finalista al Premio Terzani 2020. Lo scorso anno le è stato conferito a Roma il Premio Kapuściński per il reportage. Dopo aver raccontato le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale e gli sterminati confini della Russia, con il suo terzo libro, La vita in alto – sempre edito da Marsilio (traduzione di Sara Culeddu e Alessandra Scali) –, Erika Fatland ci porta sulla catena montuosa più alta del pianeta facendoci scoprire la sua gente, le mille culture, lo splendore dei paesaggi, ma anche la storia poco nota che è all’origine di alcuni tra i conflitti più sanguinosi di oggi e di ieri. Partendo dalla Cina e attraversando Pakistan, India, Bhutan, Nepal e Tibet, la scrittrice norvegese, uno dei più apprezzati talenti della letteratura di viaggio, percorre un nuovo itinerario, affascinante e pieno di sorprese, dove a dominare la scena non sono solo vette maestose e orizzonti infiniti, ma uomini e donne in carne e ossa, di cui raccoglie le testimonianze e descrive le piccole vite che brulicano tra quelle montagne alte come giganti. Cinque paesi abitati da centinaia di etnie dalle innumerevoli lingue e tradizioni, e tre grandi religioni che si mescolano ad antichi riti sciamanici e credenze primitive: combinando il rigore dell’antropologa con la curiosità dell’esploratrice, la nuova voce del reportage internazionale, più volte paragonata a Bruce Chatwin, ci consegna un racconto che fonde storia e politica, geografia ed ecologia; il diario di un’avventura durata otto mesi tra cime vertiginose e valli remote, comunità arcaiche e superpotenze economiche che convivono sul tetto del mondo.
Nato a Dublino nel 1965, Colum McCann è uno scrittore irlandese naturalizzato statunitense. Vive con la famiglia a New York e insegna scrittura creativa all'Hunter College. È riconosciuto a livello internazionale come uno dei massimi romanzieri di lingua inglese degli ultimi decenni. Nel 2009 si è aggiudicato il National Book Award con Questo bacio vada al mondo intero, tradotto in 35 lingue e insignito dei più prestigiosi riconoscimenti letterari mondiali. La sua narrativa ha riscosso unanimi apprezzamenti per la sensibilità nel raccontare le complesse geografie del mondo globalizzato, privilegiando talora lo sguardo di personaggi che vivono ai margini della storia. In Italia sono usciti in passato alcuni suoi romanzi ora fuori catalogo. Apeirogon (traduzione di Marinella Magrì) è edito da Feltrinelli, che sta pubblicando tutte le sue opere. Sono già in libreria TransAtlantico (2021) e Lascia che il mondo giri (2022). Il romanzo prende il nome – sconosciuto ai più – del poligono con un numero indefinito di lati e ne assume anche la forma, scardinando ogni impianto narrativo tradizionale. Attraversa i secoli e i continenti, cucendo insieme il tempo, l’arte, la natura e la politica, per raccontare la storia vera di due uomini divisi dal conflitto e riuniti dalla perdita. Bassam Aramin è palestinese. Rami Elhanan è israeliano. Il conflitto colora ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalle strade che sono autorizzati a percorrere, alle scuole che le loro figlie, Abir e Smadar, frequentano, ai checkpoint. Sono costretti senza sosta a confrontarsi fisicamente ed emotivamente con la violenza circostante. Come l’Apeirogon del titolo, infiniti sono gli aspetti, i livelli, gli elementi di scontro che vedono contrapposti due popoli e due esistenze su un’unica terra. Ma il mondo di Bassam e di Rami cambia irrimediabilmente quando Abir, dieci anni, è uccisa da un proiettile di gomma e la tredicenne Smadar rimane vittima di un attentato suicida. Quando Bassam e Rami vengono a conoscenza delle rispettive tragedie, si riconoscono, diventano amici intimi e decidono di usare il loro comune dolore in un’arma per la pace.
Nata nel 1966 nella provincia autonoma dello Xinjiang, nella Cina occidentale, Gulbahar Haitiwaji ha lavorato come ingegnera in una compagnia petrolifera. Nel 2006, dopo il peggioramento delle persecuzioni cinesi verso la minoranza turcofona di religione islamica cui appartiene, ha raggiunto con le figlie il marito, già esule in Francia. Dopo dieci anni, una mattina del novembre 2016, è stata richiamata in Cina con il pretesto di chiudere alcune pratiche amministrative. Accusata di dissimulare posizioni indipendentiste e attività terroristiche dietro il suo esilio in Francia, sparisce nelle viscere del terrificante sistema dei campi di concentramento ideati dal Partito comunista cinese per annientare il popolo uiguro. Per quel che ne sappiamo, più di un milione di uiguri sono stati deportati nei “campi di rieducazione” sulla base di infondate accuse di terrorismo, infiltrazione e separatismo. Gli “Xinjiang Papers”, pubblicati dal New York Times nel novembre 2019, hanno rivelato al mondo e provato la sistematica repressione della minoranza musulmana degli uiguri attraverso la detenzione di massa, la più devastante dall’era di Mao. Per quasi tre anni, Gulbahar Haitiwaji è stata privata della libertà e ha subìto ogni sorta di violenza dalla polizia, centinaia di ore di interrogatori, fame, freddo, torture, sterilizzazione forzata e dodici ore al giorno di propaganda cinese. Salvata grazie alle disperate trattative della figlia e all’ostinazione del ministero degli Affari esteri francese, Gulbahar Haitiwaji è la prima testimone del genocidio culturale in atto. Ha scritto il libro con una giornalista del Figaro esperta della questione uigura, Rozenn Morgat, nel corso di un lungo anno di incontri. La pubblicazione di Sopravvissuta a un gulag cinese, best seller internazionale edito in Italia da add editore (traduzione di Sara Prencipe), comporta un terribile rischio, che lei e la sua famiglia hanno deciso di assumersi perché la sua voce essenziale raggiunga l’Occidente e ne scuota l’indifferenza.
Ece Temelkuran (1973) è una scrittrice, giornalista e commentatrice politica turca, per anni firma delle testate più importanti del suo paese. Nel 2012 è stata licenziata dal suo giornale, l’Habertürk, per aver scritto un reportage sul massacro dei curdi al confine tra Turchia e Iraq. Vive ora in Croazia e collabora con autorevoli testate internazionali. Autrice di numerosi saggi e opere narrative – dei suoi romanzi in italiano sono apparsi Turchia folle e malinconica e Soffiano sui nodi – ha vinto l’Edinburgh International Book Festival First Book Award e l’Ambassador of New Europe Award ed è stata per due volte classificata tra le dieci persone più influenti dei social media. È seguita su Twitter da quasi tre milioni di persone. Il saggio Come sfasciare un paese in sette mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura (Bollati Boringhieri) è stato finalista del Premio Terzani 2020. Il suo nuovo, agile saggio La fiducia e la dignità. Dieci scelte urgenti per un presente migliore, pubblicato in italiano sempre da Bollati Boringhieri (traduzione di Giuliana Olivero), vuole proporre un nuovo linguaggio, che vada oltre il discorso politico, per ripristinare la fede nel genere umano. Nell’epoca della polarizzazione estrema e dell’odio, Temelkuran costruisce in pagine appassionate un vocabolario fatto di parole di cui riappropriarsi, parole accoglienti come «dignità», «attenzione», «partecipazione», «gesto umano». È necessario che sempre più persone sostengano l’idea di un mondo giusto e dignitoso, recuperando la parola «fede», riscattandola dal suo contesto religioso. Perché da decenni, ormai, proprio la fede è stata distrutta, soprattutto da una frase che è diventata inattaccabile a forza di ripeterla: «Non c’è alternativa». Invece, per Temelkuran, un’alternativa deve esserci: non possiamo accettare di essere a un punto morto della storia umana. Ma l’emergenza climatica e la stessa pandemia sono segnali incontestabili: il tempo sta scadendo. Tutto quello che possiamo fare va fatto subito, senza più esitazioni. Dobbiamo imparare ad agire insieme, a prenderci cura gli uni degli altri. Dobbiamo farlo adesso, prima che sia troppo tardi.