Nadia Ballarin, friulana nel mondo

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Grazie al softball ha scoperto l’America profonda dell’Arkansas e del Texas. Dopo la laurea, l’assunzione alla Apple e il trasferimento a Seattle. Ma negli USA il visto è una lotteria. Lo sbarco a Londra. «Qui si vive bene, manca solo un elemento essenziale: il formaggio Montasio». A 28 anni ha già vissuto esperienze incredibili. Il futuro? «Chissà, magari in Italia…»

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Nadia Ballarin con il suo gatto Alpha ai tempi di Seattle

Una storia di viaggi, determinazione e sport. Ma anche di tecnologia. Che caratterizza ormai la quotidianità di ciascuno di noi, decisamente di più se invece lavori in uno dei colossi mondiali del settore.

La cervignanese Nadia Ballarin, classe 1996, da ormai tre anni è una dipendente di Apple.

Laureata in statistica è ora analista in un team di supporto per le figure deputate a controllare qualità e prestazioni di funzioni e modelli di Apple Music e altre app. Dopo aver vissuto per un decennio negli Stati Uniti, ora lavora a Londra. E in questa intervista ripercorre le tappe salienti di un cammino iniziato nei campi di softball del suo Friuli.

Nadia, come vive una friulana a Londra?

«Londra è una città viva, c’è sempre tanta gente per strada. Spesso camminando in centro mi sento comunque in Italia; in metro o in ufficio si sente parlare in italiano e incontro spesso connazionali. Il meteo ricorda casa, ma manca quella libertà di scelta fra diversi paesaggi che la nostra regione offre. Al momento non ho trovato un elemento essenziale per una vita friulana piena: il Montasio. Ma ci sono tanti ristoranti italiani dove si trova la vera cucina di casa nostra».

Prima dell’Inghilterra, in realtà, hai vissuto per molti anni negli Stati Uniti. Che esperienza è stata?

«Sono arrivata negli USA nel 2013, all’età di 17 anni, con l’opportunità di svolgere il quarto anno delle superiori all’estero. L’Arkansas è stato un inizio un po’ traumatico».

Come mai?

«Ho scoperto la vera versione degli Stati Uniti del Sud. Una cultura molto diversa da quella da cui provenivo e che è incentrata su un differente rapporto con la natura e la comunità. Ho dovuto adattarmi a spazi enormi e ad abitudini sociali completamente diverse».

Un cambiamento di vita radicale…

«Nonostante le lezioni di inglese, il primo mese lo slang e l’accento del sud erano incomprensibili. La famiglia che mi ospitava abitava in una casa tra i boschi. Spesso vedevo cervi e serpenti in giardino. I primi vicini erano a dieci minuti di macchina e ovunque bisognava arrivare in auto. Le mie host-sisters (le figlie dei padroni di casa, ndr) partecipavano spesso a rodei e sagre di bestiame: ho scoperto un’America diversa da quella dei film».

I rapporti umani hanno aiutato?

«Le persone erano molto cordiali e ospitali. La mia host-family mi trattava come una figlia. Quando dicevo che ero italiana tutti mi invitavano a cena a casa loro ed erano molto gentili. Ho deciso di rimanere lì per le opportunità che mi sono state offerte».

E qui entra in scena il softball…

«Grazie al softball e agli scout del campionato della High School (la scuola superiore, ndr), ho ricevuto una borsa di studio in un altro Stato, al Northeast Texas Community College. Il softball americano è molto sentito. Uno sport comune come il calcio in Italia: prima o poi tutti ci giocano. La concezione della relazione fra sport e scuola in America è diversa».

Nadia Ballarin nel campionato di softball del College

In che senso?

«Lo sport è visto come parte integrante dell’educazione di ognuno e sia all’high school che al college chi pratica sport agonistico è ammirato. Serve molta organizzazione per bilanciare lo studio e lo sport, ma se non raggiungi obiettivi formativi adeguati non ti è permesso di giocare. La squadra diventa come una famiglia. La mattina ci alzavamo presto per andare in palestra, poi le lezioni e al pomeriggio la sessione di allenamento fino a sera. Quindi terminavamo la giornata studiando, sempre insieme».

Non una passeggiata di salute…

«Questo stile di vita era molto faticoso però regalava tante soddisfazioni. Il periodo del campionato ripagava delle fatiche ed era il momento più divertente dell’anno. Per gli ultimi due anni di università sono tornata in Arkansas, alla Henderson State University dove ho proseguito i miei studi di statistica, sempre continuando a giocare a softball. L’università americana non è molto diversa da quella italiana, ma la dinamica relaziona le fra studenti e professori è amicale. I corsi di statistica hanno pochi iscritti e quindi questo rende l’atmosfera diretta e rilassata».

Terminati gli studi hai appeso il guantone al chiodo.

«Mi sono laureata nel 2019 e finendo l’università ho dovuto abbandonare il softball. Dopo anni di agonismo il mio corpo ne aveva risentito, ma grazie allo sport ho potuto realizzarmi nel mio percorso formativo. Attualmente non pratico più softball ma la passione rimane e lo seguo da spettatrice».

Nadia Ballarin con mamma, nonna e papà in occasione della laurea

Lo sbarco in un colosso del calibro di Apple com’è stato?

«Dopo il master in Business Analytics, sono stata reclutata attraverso Linkedin da un reclutatore di Apple per la specificità del ruolo. Cercavano una laureata in statistica, matematica o data-science che parlasse l’italiano. Non mi sembrava vero. Dopo una lunga serie di colloqui, sia tecnici che attitudinali, sono stata assunta. A dicembre 2021, proprio per il nuovo lavoro, mi sono trasferita a Seattle con il mio gatto Alpha, riscoprendo questa città che avevo già visitato in occasione della partecipazione della rappresentativa regionale di softball ai Junior World Series nel 2010».

La città della pioggia nel nordovest degli States…

«Seattle è completamente diversa dal Sud. Piena di giovani lavoratori del settore tecnologico, dinamica, e in uno Stato molto più “alpino” (lo Stato di Washington, ndr)».

Lavorare alla Apple è complicato?

«Anche se l’azienda è molto grande, in Apple il lavoro è organizzato per gruppi ristretti e relazioni orizzontali. Per questo, paradossalmente, sembra di lavorare per un’azienda molto più piccola. Il mio team è recente in Apple. Io sono stata la terza a essere assunta. Inoltre, quasi tutti i miei colleghi hanno più o meno la mia età: tutti ci siamo spostati a Seattle per lavoro, non conoscendo nessuno. Oltre a un rapporto lavorativo si è così formato anche un rapporto di stretta amicizia. In Apple si lavora tanto ma con orari flessibili. Il lavoro è molto soddisfacente e i risultati sono tangibili perché visibili nelle diverse app».

Tempo libero ne rimane?

«Quando ero a Seattle ho potuto esplorare le bellezze naturalistiche dello Stato di Washington, specialmente nei weekend estivi. In inverno c’è la possibilità di sciare o di andare alla ricerca del locale migliore di Seattle».

Fino al giorno in cui anche a questa città hai dovuto dire Goodbye.

«Per motivi di visto. Non avendo vinto la lotteria dei visti lavorativi, Apple mi ha garantito la continuità trasferendomi all’ufficio di Londra. Fui molto contenta di tornare in Europa e avvicinarmi a casa».

E qui torniamo alla domanda iniziale. Si vive bene a Londra?

«Londra è molto più europea. In America si sente maggiormente la pressione di avere successo nel lavoro. Mentre a Londra, come in Italia, gli obiettivi della vita vanno oltre a quelli lavorativi. Inoltre a Londra ci sono più possibilità culturali e ho riscoperto il calcio femminile andando allo stadio dell’Arsenal».

In due ore di volo, poi, sei in Friuli…

«Tornare è decisamente più semplice e cerco di farlo il più spesso possibile».

Nel prossimo futuro dove ti vedi?

«Per ora sono a Londra. Poi si vedrà, sono aperta a qualsiasi opzione. E chissà, anche tornare in Italia…»

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