Mister Football

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redazione

13 Gennaio 2015
Reading Time: 6 minutes
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Gino Pozzo

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Riservato, ma decisamente cordiale, attento e perspicace osservatore, manager di notevole cultura e di invidiabile autocontrollo, con un sorriso che lo rende accattivante e una passione dichiarata per il calcio, che segue come tifoso e come imprenditore competente e sagace. Gino Pozzo, 50 anni il prossimo 24 febbraio, è il volto nuovo del football italiano. La persona ideale con cui analizzare il presente e il futuro del mondo del pallone.

Dottor Pozzo, quando è iniziata la sua passione per l’Udinese?

«Ho iniziato a frequentare lo stadio da bambino insieme con mio padre: dalle stagioni di serie C al Moretti fino a seguire la squadra alle prime partite al Friuli, con la doppia promozione dalla C alla A».

Da ragazzino giocava a calcio o praticava altri sport?

«La mia è stata l’ultima generazione del calcio dei campetti, dove ci si trovava con gli amici per giocare insieme. Mi ha sempre appassionato lo sport, in modo speciale gli sport di gruppo».

Anche i suoi fi gli sono appassionati di calcio?

«Ho bambini piccoli che si stanno avvicinando al mondo dello sport; per adesso è presto per riconoscere una vera passione, ma considerando la famiglia nella quale vivono non credo ci vorrà molto tempo».

A suo parere quale significato socio-culturale si può attribuire oggi a questo sport?

«Il calcio rimane ancora la più grande passione degli Italiani: il senso di appartenenza e di identità a una squadra o alla Nazionale è molto forte. In un contesto dove è difficile trovare motivo di aggregazione e riferimenti, la squadra del cuore rimane una delle poche cose alle quali si resta legati per tutta la vita».

Cosa rappresenta la tifoseria odierna per il manager di una società calcistica?

«È l’elemento che lega una squadra al territorio e alle sue tradizioni. I tifosi trasmettono quella passione che rende unica ogni squadra, che crea senso di appartenenza e che, in definitiva, arriva a determinarne i risultati. Una squadra vive della sua tifoseria, perché sono i tifosi che rendono l’evento “vivo”».

Da anni i tifosi bianconeri sono considerati campioni di fair-play. Quali meriti ha la società Udinese Calcio in questo primato?

«L’Udinese è inserita in un contesto sociale che è quello di Udine e del Friuli, i cui valori si riflettono sulla squadra. Non ci sono particolari meriti da parte del club, sono i Friulani che hanno questi valori e che li trasmettono in maniera spontanea. In questo caso è la società che trae vantaggio dall’ambiente nel quale vive: in un contesto come quello di Udine, infatti, risulta facile trasmettere questi valori ai giocatori».

Alla tifoseria calcistica in genere cosa si potrebbe rimproverare o suggerire?

«A volte nel calcio la passione per la propria squadra ci porta a perdere il rispetto per l’avversario. Personalmente non capisco il tifo contro, la cosa più bella è uno stadio che tifa per la propria squadra e non contro l’avversario».

Torniamo al club. Gli anni ‘90 rappresentano la svolta del modello Udinese: da società in cui campioni di nome venivano a concludere la carriera, quella bianconera diventa una realtà che punta sul lancio, la valorizzazione e l’“esplosione” di talenti semi-sconosciuti. Com’è avvenuto questo cambiamento?

«Il modello “tradizionale” portava risultati “normali”. In una realtà come Udine, dove le risorse rispetto ad altre piazze sono limitate, si è dovuto pensare in maniera diversa per poter superare la propria dimensione. Passione e organizzazione hanno fatto il resto».

Lei è considerato il “deus ex machina” del calciomercato dell’Udinese: qual è il segreto per scovare in tutto il mondo giocatori sconosciuti e trasformarli in campioni richiesti dai grandi club europei?

«L’Udinese ha saputo sviluppare un sistema di scouting e formazione dei giocatori unico al mondo, che ci permette di rimanere competitivi nel tempo perché per grandi giocatori che partono ci sono grandi talenti che arrivano e che vengono cresciuti all’interno di una grande organizzazione, dove nulla è lasciato al caso».

Qual è il “colpo” di mercato di cui va più fiero?

«Sono rimasto molto legato a Amoroso e Sanchez, due fuoriclasse per i quali abbiamo dovuto dare fondo a tutte le nostre capacità per poterli avere a Udine».

E il campione che nei decenni della “gestione Pozzo” ha ammirato di più?

«Oltre ad Amoroso e Sanchez ricordo Bierhoff che ci ha permesso di cambiare dimensione, e soprattutto Di Natale, colui che ha fatto la scelta migliore, quella di rimanere a Udine. È un vero fuoriclasse, in campo e fuori».

Recentemente il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, ha dichiarato che il sistema calcio in Italia non consente ai club di competere con le principali realtà europee in termini di business e di potenzialità sportive. Concorda con questa visione?

«Sono perfettamente d’accordo con il presidente Agnelli: purtroppo siamo inseriti in un contesto Paese non particolarmente favorevole per lo sviluppo dei progetti necessari per metterci al passo con le altre grandi nazioni calcistiche. Anche in sede di Lega e Federazione, i singoli interessi sono ancora troppo forti e si fatica a realizzare le grandi riforme. Però la passione intorno al calcio che si respira e che rimane sempre molto forte è il punto dal quale si deve ripartire. Spero che anche lo sforzo per costruire il nuovo stadio a Udine sia un segnale di cambiamento».

A proposito di Lega Calcio, le ultime elezioni hanno evidenziato il ruolo crescente di Gino Pozzo e del suo team di collaboratori nel panorama decisionale del calcio italiano…

«Il lavoro svolto è sotto gli occhi di tutti, siamo una società apprezzata alla quale vengono riconosciute conoscenza e professionalità. Siamo ben contenti di portare questo bagaglio quale contributo a favore delle istituzioni calcistiche: il fatto di contare sulla stima e il supporto dei nostri colleghi presidenti e proprietari ci lusinga e ci stimola a continuare su questa strada».

Dall’Italia all’estero. Negli ultimi anni la famiglia Pozzo ha messo radici importanti nei campionati spagnolo (Granada) e inglese (Watford): cosa significa “fare” calcio in questi Paesi?

«Il calcio a ogni latitudine ha alcuni elementi comuni e sinergie che si possono utilizzare, ma è profondamente diverso nella maniera di vivere l’evento: dall’entusiasmo dei tifosi al modo di apprezzare il comportamento della squadra. Rimane identica la grande passione che si respira per il proprio club».

Torniamo a Udine. Oltre che a livello tecnico e sportivo, in questi anni l’Udinese Calcio è cresciuta moltissimo come società: dalla comunicazione al merchandising, fino ad arrivare al prossimo nuovo stadio Friuli. Gino Pozzo come immagina la società Udinese del futuro?

«Il nuovo stadio sarà l’elemento fondamentale per creare un maggior senso di appartenenza, una maniera diversa di vivere l’Udinese. Si potrà respirare tutta la passione dei Friulani per la propria squadra: sarà una vera svolta nel rapporto tifoso-squadra. Finalmente saremo in grado di avere un vero e proprio dodicesimo uomo a supporto dei giocatori: creeremo l’ambiente delle grandi imprese. Allo stesso tempo, intorno a questo progetto, si sono già iniziate a sviluppare tutta una serie di attività di marketing che rendono l’esperienza allo stadio unica per il tifoso, un appuntamento da non perdere e da vivere non solo per la partita ma per tutte le attività che la circondano».

Suo padre, con la passione del tifoso che lo contraddistingue, qualche tempo fa disse che un giorno desidererebbe riuscire a lottare con l’Udinese per lo Scudetto. Lei crede che questo obiettivo potrà essere raggiunto?

«Lo Scudetto non può essere un obiettivo per una società come la nostra, però i sogni non costano nulla e se non fossimo stati in grado di sognare non avremmo mai raggiunto i risultati di questi anni».

Dalla visione societaria a quella personale. Qual è l’obiettivo che Gino Pozzo, uomo di calcio, si pone per il prossimo futuro?

«Guardare indietro come punto di partenza, per potersi porre degli obiettivi ancora più importanti. La situazione intorno noi è difficile, pone delle problematiche enormi, ma offre altrettante opportunità per chi le sa cogliere. Con tale spirito voglio continuare a dedicarmi a questo progetto per arrivare ancora più in alto, senza porsi limiti».

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