L’Universo, dove lo spazio-tempo diventa discreto

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redazione

22 Aprile 2016
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Relatività e meccanica quantistica

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La nostra esperienza dello spazio-tempo è quella di un oggetto continuo, senza vuoti e discontinuità, proprio come lo descrive la fisica classica. Per alcuni modelli di gravità quantistica, la trama dello spazio-tempo è invece “granulosa” a piccolissime scale (sotto la cosiddetta “scala di Planck”, 10-33 cm), come se si trattasse di un mutevole reticolo caratterizzato da pieni e vuoti (o di una complessa schiuma). Uno dei grandi problemi della fisica di oggi è proprio capire come si passa dal regime continuo a quello discreto, man mano che le dimensioni si riducono: c’è un salto brusco o una transizione graduale, e dove avviene il cambiamento?

Lo scollamento fra un mondo e l’altro crea difficoltà ai fisici: per esempio, com’è possibile descrivere la gravità, cosi ben spiegata dalla fisica classica, secondo la meccanica quantistica? Quello della gravità quantistica è infatti un campo di studi dove non ancora esistono teorie sedimentate e condivise. Esistono però degli “scenari”, che offrono possibili interpretazioni della gravità quantistica sottoposte a vincoli (constraint) di diversa natura che aspettano di ricevere conferme o smentite, non sempre possibili da ottenere.

Uno dei problemi da risolvere in questo senso è che se lo spazio-tempo, sotto una certa dimensione, è granulare significa che esiste una “scala basilare”, un’unità fondamentale sotto alla quale non si può scendere. Questa ipotesi cozza però con la teoria della relatività ristretta, formulata da Einstein, che descrive, secondo la fisica classica, il nostro Universo proprio alle alte energie.

Immaginiamo di avere un righello in mano, secondo la relatività ristretta, un osservatore che ci guarda mentre si muove con un moto rettilineo a velocità costante (prossima a quella della luce) vedrebbe il righello più corto di come lo vediamo noi. Ma cosa succede se il righello è lungo quanto la scala fondamentale? Per la relatività ristretta sarebbe comunque, per l’altro osservatore, più corto di questa unità di misura. È chiaro quindi che la relatività ristretta è incompatibile con l’introduzione di una grana basilare dell’Universo. Ipotizzare l’esistenza di questa scala base, dicono i fisici, significa violare l’Invarianza di Lorentz, un principio fondante della relatività speciale.

Come si fa allora a salvare capra e cavoli? O si ipotizzano delle violazioni dell’Invarianza di Lorentz, con dei vincoli molto precisi (e questa finora è stata la strada preferita), o si trova un modo di evitare le violazioni, trovando uno scenario compatibile sia con la granularità che con la relatività ristretta. Questo scenario in effetti è realizzato da alcuni modelli di gravità quantistica, come la String Field Theory o la Causal Set Theory. Il problema aperto era però come testarne sperimentalmente le predizioni dato che gli effetti di queste teorie sono molto meno evidenti di quelli di modelli che violano la relatività speciale. Una soluzione a questa impasse è ora stata proposta da Stefano Liberati, professore della SISSA, e colleghi nel loro ultimo lavoro. Nello studio hanno partecipato anche ricercatori del LENS (Francesco Marin e Francesco Marino) di Firenze e dell’INFN di Padova (Antonello Ortolan). Per la SISSA, oltre  a Liberati, hanno collaborato anche lo studente di PhD Alessio Belenchia e il postdoc Dionigi Benincasa. Lo studio è stato finanziato anche da un grant della John Templeton Foundation.

“Rispettiamo l’Invarianza di Lorentz, sì, ma tutto ha un prezzo, che in questo caso paghiamo con l’introduzione di effetti non-locali”, commenta Liberati. Lo scenario studiato da Liberati e colleghi infatti salva la relatività ristretta ma introduce la possibilità che la fisica in un certo punto dello spazio-tempo possa essere influenzata non solo da ciò che accade nelle vicinanze di quel punto, ma anche in punti molto lontani. “Naturalmente non si viola la causalità, e non si presuppongono informazioni che viaggiano più veloce della luce”, puntualizza lo scienziato. “Si introduce però la necessità di conoscere la struttura globale per sapere cosa accade nel locale”. 

Dalla teoria ai fatti

C’è un'altra cosa che rende il modello di Liberati e colleghi quasi unico, e certamente molto prezioso: è formulato in modo da poter essere testato sperimentalmente. “Per sviluppare il nostro ragionamento abbiamo collaborato gomito a gomito con i fisici sperimentali del LENS di Firenze. Stiamo infatti già lavorando alla messa a punto degli esperimenti”. Con queste misurazioni Liberati e colleghi potrebbero individuare il confine, o l’intervallo di transizione, dove lo spazio tempo continuo diventa granulare e la fisica non-locale.

“Al LENS si sta ora costruendo un oscillatore armonico quantistico: un chip di silicio di pochi microgrammi che portato a temperature vicine allo zero assoluto viene illuminato da un laser ed entra in oscillazione armonica” spiega ancora Liberati. “Il nostro modello teorico prevede infatti la possibilità di testare gli effetti non locali su oggetti quantistici con massa non trascurabile”. Un punto non di poca importanza: uno scenario teorico che spiega gli effetti quantistici senza violare la relatività ristretta, implica anche che questi effetti alle nostre scale devono per forza essere molto piccoli (altrimenti li avremmo già osservati, e questo non è il caso). “Per poterli testare li dobbiamo potere osservare in qualche modo. Secondo il nostro modello è possibile vederli proprio in oggetti al ‘limite’: quantistici sì, ma di una dimensione dove sia ancora importante la massa, ossia la ‘carica’ associata alla gravità (come la carica elettrica è associata al campo elettrico).”.

“Sulla base del modello proposto, abbiamo formulato delle previsioni sul modo in cui il sistema oscillerà”, racconta ancora Liberati. “Due previsioni, per la precisione: una funzione che descrive il sistema in assenza degli effetti non-locali e una funzione in cui sono presenti”.  Il modello è particolarmente robusto poiché, come spiega Liberati, la differenza nell’andamento descritto nei due casi non può essere generata da influenze ambientali sull’oscillatore. “Si tratta dunque di una situazione ‘WIN-WIN’: se non vediamo l’effetto possiamo spostare più in alto l’asticella delle energie dove cercare la transizione. Soprattutto, gli esperimenti già in preparazione dovrebbero essere capaci di spingere i vincoli sulla scala di non-località fino alla scala di Planck. In questo caso potremmo arrivare a escludere questi scenari con non-località. E già questo sarebbe un bel risultato, poiché daremmo una bella sfoltita alla giungla degli scenari teorici”, conclude Liberati. “Se invece osservassimo l’effetto, beh allora confermeremmo la presenza degli effetti non-locali, salvando la relatività ristretta e aprendo le porte a tutta una nuova fisica.”

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