La manager dell’arte

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Margherita Reguitti

13 Febbraio 2023
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Da un decennio guida le attività espositive dei Musei Civici di Udine, con sguardo sempre proiettato al futuro. Prossima tappa la mostra con le opere di Dalì, Guttuso e Pistoletto

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Varie e numerose sono le raccolte dei Musei Civici di Udine che possono essere ammirate nelle tre sedi aperte al pubblico del Castello, di Casa Cavazzini e del Museo Etnografico del Friuli. A queste si aggiungono le Gallerie del Progetto – Archivi di Architettura, attualmente ospitate a Palazzo Valvason Morpurgo, visitabili su richiesta.

Dal 2011 Vania Gransinigh guida le attività espositive, di promozione e valorizzazione di Casa Cavazzini, tempio cittadino dell’arte moderna e contemporanea, scrigno che conserva importanti donazioni di collezionisti del territorio. Laureata in Storia dell’arte a Trieste, con successivo dottorato di ricerca in Storia dell’Arte contemporanea, la studiosa ed esperta friulana vanta, accanto al curriculum accademico, anche un background manageriale di tutto rispetto.

È stata infatti in precedenza conservatore, tra l’altro, della Galleria d’Arte Antica, delle Gallerie del Progetto e ha collaborato con realtà espositive di tutta la regione e non solo ed è autrice di testi e saggi che spaziano negli stili e secoli.

Quali sono le peculiarità e i punti di forza dei Musei udinesi?

«Certamente il fatto di essere un autentico giacimento culturale che rappresenta l’identità e la storia della città e testimonia anche il suo legame con l’intera regione. In alcuni casi – mi riferisco alle collezioni Astaldi e FRIAM di Casa Cavazzini – le opere d’arte raccontano storie di passioni personali trasformate generosamente in dono per la collettività, oppure testimoniano la solidarietà internazionale per il Friuli dopo il terremoto nel 1976».

Il 18 febbraio sarà inaugurata a Casa Cavazzini la mostra “Insieme”, con opere di grandi del ’900 fra i quali Dalì, Guttuso e Pistoletto: quali le altre proposte?

«Gli impegni sono molteplici, fra questi una novità assoluta: la prima collaborazione fra i Civici Musei e l’Erpac – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale, con protagonisti il nostro Castello e Palazzo Attems a Gorizia. Il tema del progetto sarà la cultura figurativa tra XVIII e XIX secolo in una regione che all’epoca era posizionata sui due opposti fronti – quello asburgico e quello veneto – a cui non mancavano punti di contatto ma che sostanzialmente afferivano a due differenti contesti artistici».

Una mostra ambiziosa, quali i suoi obiettivi?

«Puntiamo a obiettivi diversi. Certamente riflettere sulla diversità e similitudine tra i due territori, entrambi periferie di centri lontani tra loro. Al contempo però ci sarà una valorizzazione di opere e di artisti meno noti e conservate nei depositi, così come la messa in luce di recenti acquisizioni. L’obiettivo è anche quello di raggiungere un pubblico transfrontaliero con cui, storicamente, si sono condivisi destini e interessi e che oggi è alla ricerca di un’identità comune come dimostra il progetto GO Borderless che ha permesso a Nova Gorica e Gorizia di vincere unite la nomina a Capitale Europea della Cultura per il 2025».

Nel suo ormai consolidato ruolo di conservatore museale, oltre che studiosa e autrice, quali sono le linee guida alle quali si attiene nel suo impegno?

«La vera sfida è conservare e valorizzare adeguatamente il nostro patrimonio, farlo conoscere e comunicarne il valore al grande pubblico, attraverso un costante lavoro di approfondimento e ricerca delle collezioni. Solo così è possibile creare nuove relazioni e ricostruirne il contesto di appartenenza, visualizzandolo attraverso il percorso espositivo: il punto di mediazione tra il patrimonio museale e i visitatori. Governare bene un museo richiede sempre più capacità manageriali e previsionali, ma anche una conoscenza perfetta del funzionamento di un ente pubblico e delle sue regole».

Un bilancio del 2022 appena concluso?

«È stato un anno ancora penalizzato dal protrarsi dell’emergenza pandemica. Una volta cadute le restrizioni igienico-sanitarie, però, il pubblico ha ripreso di nuovo con slancio a visitare i musei. Da giugno anche i flussi turistici si sono riattivati prolungandosi fino ad autunno inoltrato: l’impressione è che la gente abbia riscoperto i centri minori, al di fuori delle grandi rotte. Grazie alla mostra “La forma dell’infinito” chiusa lo scorso aprile, a “Contrappunto 02. Dieci artisti, il museo, l’opera” allestite a Casa Cavazzini e alla mostra “Un architetto cosmopolita in patria. Raimondo D’Aronco in Friuli”, organizzata in Castello, abbiamo superato di gran lunga i 100.000 visitatori in un anno, andando oltre i numeri pre-Covid».

Come sono cambiati i visitatori dei musei in questi anni?

«Il pubblico si è ampliato ed è davvero molto cambiato, ma soprattutto si è differenziato. C’è chi entra in un museo per accrescere le proprie conoscenze, chi è curioso e viene trascinato dal trend del momento, chi invece è alla ricerca di un momento di relax e desidera trarre dalla visita un beneficio psico-fisico. In generale il visitatore medio cerca soprattutto un’esperienza di godimento estetico, non chiede particolari approfondimenti e spesso è privo di strumenti critici e interpretativi adeguati».

Al museo cosa viene richiesto?

«Responsabilità rispetto ai contenuti che si vogliono comunicare. I messaggi devono essere chiari, scientificamente corretti ma anche proposti in maniera semplice e diretta, che non significa semplicistica o superficiale. Se questo vale in generale, vale ancora di più in rapporto all’arte contemporanea nei confronti della quale permane ancora una grande diffidenza. Per le sue componenti concettuali, l’arte del nostro tempo richiede competenze e conoscenze diversificate, la sua scoperta pertanto andrebbe sempre accompagnata e guidata. Questa almeno è la mia esperienza».

Oltre alla proposta espositiva quali sono le attività che rendono attraente e contemporanea nell’evoluzione una sede museale?

«Le attività didattiche per diverse fasce di visitatori sono una carta vincente: ognuno ha specifiche esigenze ed è essenziale che il museo le rilevi, le faccia proprie e sappia dare loro risposte soddisfacenti. Nel presentare le raccolte e la loro storia è doveroso tenere presenti le differenze di età, culture, lingue e preparazione dei fruitori. Smessa la veste di tempio delle muse, realtà elitaria per pochi, il museo deve vincere la sfida dell’inclusione e per questo deve dotarsi di strumenti all’avanguardia. In questo la tecnologia può essere un ottimo supporto».

Quali le vostre proposte in questa direzione?

«Le audioguide scaricabili sul proprio smartphone hanno aperto possibilità inimmaginabili fino a poco tempo fa: le nostre sedi ne sono dotate e oltre alle classiche versioni multilingue, esse sono strutturate per raccontare le collezioni in LIS (Lingua Internazionale dei Segni) per non udenti e sono pensate anche per chi ha difficoltà visive. Ma raggiungere quante più persone possibili significa dispiegare anche i più diversi canali di comunicazione. Un esempio la web tv www.udimus.it che veicola contenuti culturali dei musei attraverso internet così come il laboratorio per i bambini che vogliono imparare l’inglese partendo dalla scoperta delle opere e degli oggetti conservati nel museo».

Quali i tre aggettivi che riassumono i Musei Civici di Udine?

«Attrattivi, accessibili e inclusivi».

 

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