La Costa Verde

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Michele Tomaselli

16 Luglio 2019
Reading Time: 7 minutes
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Sardegna

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In un periodo in cui il sentiero del Selvaggio Blu stava raggiungendo la giusta fama, nasceva l’idea di creare un percorso alternativo, nel sud ovest della Sardegna, lungo la selvaggia Costa Verde; un luogo ricco di profumi e colori che preserva la macchia mediterranea più tipica. Qui, tra il mare cobalto e l’entroterra, si trova uno dei litorali più selvaggi e incontaminati della Sardegna; un luogo che racchiude paesaggi mozzafiato e che si contraddistingue per le ampie scogliere, le spiagge dorate, i promontori granitici, le falesie strapiombanti e i deserti di sabbia. Si scorgono lunghi arenili e onde impetuose che in primavera si trasformano e richiamano gli amanti del surf di tutto il mondo. Ma la Costa Verde non è solo il mare, il silenzio e la natura, è la storia del lavoro e dalla fatica di tanti uomini nati e cresciuti attorno alle miniere. In questa zona sono state scritte pagine memorabili di storia mineraria, ne sono testimonianza i monumenti di archeologia industriale, i ruderi dei villaggi e le gallerie dei minatori. Questi insediamenti, che si estendono lungo l’interno e la costa, ospitano ruderi di case, impianti e pozzi, enormi cumuli di materiali di scarto e carrelli arrugginiti e hanno le sembianze dei luoghi descritti nei film western di Sergio Leone.

La Costa Verde è singolare per i fenomeni geologici che qui trovano traccia fino a 550 milioni di anni fa. Un tesoro inestimabile che ha dato origine al Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna. Il 17 novembre 2015 l’UNESCO l’ha riconosciuto (anche se inglobato ad altri ambiti minerari) annoverandolo nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità. Il Parco, che si estende da Serbariu a Montevecchio, è stato istituito per tutelare il contesto storico e naturale, nonché per ricordare l’epopea mineraria che per secoli ha contraddistinto l’economia isolana. Una forma di tutela dettata per preservare il contesto geologico e paleontologico che oggi è al centro di numerosi studi scientifici.

Uno scenario unico dove vivere intense emozioni e anche il motivo che ha portato il Sentiero della Costa Verde a diventare un trekking molto frequentato. Il percorso inizia nei pressi delle spiagge desertiche di Piscinas e prosegue per oltre sessanta chilometri, lungo antichi camminamenti di pastori e carbonai, sino a raggiungere le località di Masua e Nebida, note per l’ex miniera di Porto Flavia e per una laveria in mattoni e pietra con scorci suggestivi, sul ciclopico faraglione di Pan di Zucchero, alto 132 metri.

Il trekking è lungo, ma per chi volesse effettuarlo a pezzi è consigliabile iniziarlo a Buggerru nei pressi della Galleria Henry e del villaggio “fantasma” di Planu Sartu. Al tour non può mancare la visita di Porto Flavia, la straordinaria opera ingegneristica costruita su progetto dell’ingegnere Cesare Vecelli tra il 1922 e il 1924. La sua realizzazione fu conseguenza degli alti costi di trasporto legati al materiale estratto e all’uso di carri, barche a vela (galanze) e alla necessaria manodopera: il motivo che spinse Vecelli a brevettare un nuovo sistema capace di movimentare meccanicamente il minerale. Tale impianto sfruttava speciali carrelli su rotaia che, collegati ad aree di stoccaggio, terminavano la corsa su alcune griglie poste a strapiombo sul mare. Queste ultime aprendosi facevano defluire il materiale sulle stive delle navi che, posizionate al di sotto, una volta caricate, partivano verso il continente.

Sebbene la miniera fosse nota già nel 1600, l’inizio dell’attività risale a metà del XIX secolo, mentre è del XX secolo la modernizzazione a impianto industriale. Tuttavia, nonostante l’impiego di oltre 700 maestranze e il passaggio alla società belga de la Vieille Montagne, iniziò una fase di declino che portò alla cessazione dell’attività. Per chi ama i viaggi zaino in spalla, la Costa Verde ha in serbo altre sorprese: come la spiaggetta di Cala Domestica, un fiordo di rara bellezza che si trova a sud di Buggerru. Attraverso una galleria scavata dai minatori si accede a una piccola spiaggia denominata “La Caletta”. Qui il mare ha un colore verde smeraldo, il fondale è riempito da una sabbia finissima e sullo sfondo troneggia una torre spagnola d’avvistamento.  Caratteristiche che ne fanno un angolo di paradiso che in passato è già stato utilizzato come location per set cinematografici.

Un’altra meta da  non perdere sono le dune di Piscinas che ricordano le immense distese sahariane. Alte fino a sessanta metri e modellate dal maestrale, sono formate da spiagge di sabbia dorata lambite da un mare cristallino. Al lido di Scivu si arriva dall’alto, percorrendo una pensilina di legno che poi si affaccia su una delle spiagge più belle e selvagge della Sardegna. Sul bagnasciuga è possibile noleggiare canoe, pattini e gommoni mentre sull’arenile ci sono due chioschi e un servizio di affitta ombrelloni e sdraio.

Non molto lontano si può visitare l’antico borgo minerario di Ingurtosu che addietro costituiva una delle miniere più importanti della Sardegna dove si estraevano piombo, zinco e argento. È strano ma fino agli anni ’60 ospitava 6.000 persone; oggi è un villaggio abbandonato. Una passeggiata ci fa scoprire il suo fascino, in particolare rimaniamo colpiti dal bel palazzo denominato il “Castello”, un tempo sede della direzione della miniera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Montevecchio è un altro sito minerario che s’incontra nelle montagne dell’Arburese, fino a cinquant’anni fa costituiva una delle realtà industriali più importanti d’Europa, dando lavoro a più di 2.000 operai. Oggi è una città semi fantasma dove vivono 300 persone o poco più; propone un tuffo nel passato quando uomini e attrezzi scavavano il filone bronzo-zincifero. La storia del giacimento è documentata nel 1628 quando Giacomo Esquirro iniziò le attività di scavo. Viceversa nel 1848 Giovanni Antonio Sanna, dopo essersi aggiudicato la nuova concessione, costruì l’attuale paese. La crisi finanziaria del 1929 colpì duramente la produzione e in seguito, dopo alcuni passaggi societari, si arrivò nel 1991 alla chiusura definitiva. Dopo anni di silenzio, l’impianto è stato riaperto al pubblico proponendo visite guidate ai complessi di archeologia industriale e alla ex palazzina della direzione, oggi trasformata a museo. Altresì offrendo la possibilità di ammirare le abitazioni degli ex dipendenti, l’ex ospedale, gli ex alberghi, l’ex complesso liberty della foresteria e infine le vecchie scuole.

Ma per scoprire l’atmosfera di queste terre non c’è cosa migliore che salire su qualche vetta, le montagne dopotutto regalano occasioni per vivere la natura e per godere di panorami inconsueti che ripagano dagli sforzi di salita. Il Monte Arcuentu ne è la conferma: dalla sua vetta si gode un panorama a 360 gradi sull’entroterra e sul tratto di costa. Una cima selvaggia incastonata in una lunga linea di creste vulcaniche che presentano le forme più aspre e strane. Il massiccio risale all’era Cenozoica ed è formato da vere e proprie muraglie di pietra squadrata e liscia. Sull’Arcuentu sopravvive un bosco primario di lecci, inoltre si trovano i resti di un antico maniero.

Quello che segue è il racconto della  nostra ascensione, un viaggio poi proseguito a Carloforte. Pernottiamo all’agriturismo “La Cresta”. La nostra stanza affaccia sul verde, mentre in lontananza si vede il mare; la sera, seduti sulla terrazza, godiamo del cielo stellato. Il luogo è selvaggio e regna la pace più assoluta. I gestori Sergio, Lucilla e il figlio Giacomo pensano a tutto rendendo il nostro soggiorno speciale. A colazione Giacomo ci prepara delle torte e dei biscotti e come se non bastasse ci serve la ricotta e la marmellata fatta in casa. Le cene … beh, quelle sono speciali! Tornando dalla spiaggia mangiamo a tavola con Sergio e Lucilla in un clima molto familiare. Nelle diverse serate ci vengono offerti dei piatti irripetibili, come il capretto allo spiedo, il cinghiale e il cardo selvatico Quest’ultimo una squisitezza che qui si serve come antipasto.

Sergio è un uomo d’altri tempi che trasuda valori e tradizioni, ci mostra come mungere una pecora o come produrre la ricotta. E mentre ci offre un buon bicchiere di mirto dà prova della proverbiale ospitalità sarda, che in questa famiglia è cosa antica e diffusa. L’indomani, su consiglio di Sergio, decidiamo di salire il Monte Arcuentu alto 785 metri. Dopo aver studiato l’itinerario di salita, percorriamo la mulattiera che ci porta in direzione delle creste. Purtroppo il sentiero non è tracciato e ogni tanto ci fermiamo per mettere qualche “omino” di pietra affinché non ci siano sorprese al ritorno nel caso scendesse la nebbia.

Dopo esserci inventati il percorso raggiungiamo l’Arcuentu dove troviamo alcuni altari e un crocifisso in ricordo del frate Nazareno che nell’estate del 1987 si ritirò sulla cima per 15 giorni. Le gambe vengono messe a dura prova ma qui ci aspetta il meritato riposo all’ombra di una diffusa lecceta. La stanchezza lascia posto alla bellezza, appena godiamo del panorama sulle aree minerarie e del lunghissimo tratto di costa. Narrano le leggende che la montagna, dalla cima a forma di arco, non sia altro che la testa di un guerriero proveniente dall’Africa e che proprio quassù sarebbe stato edificato un tempio in onore di Ercole, il famoso eroe greco noto per la sua forza. Nel complesso il trekking è facile e dà la possibilità di osservare cervi e rapaci.

Per concludere il viaggio visitiamo la cittadina di Carloforte, situata sull’Isola di San Pietro, a circa 50 km dalla Costa Verde, che assieme alla vicina Isola di Sant’Antioco e altri isolotti fa parte dell’arcipelago del Sulcis. Qui si parla il tabarchino, un dialetto simile al genovese, ancora parlato dall’87% degli abitanti. Questo patrimonio linguistico affonda le radici nel ’500, quando 300 famiglie pegliesi migrarono nell’isola di Tabarca dell’odierna Tunisia. Nel 1737 fu chiesto al re di Sardegna, Carlo Emanuele III, di farli rientrare e di destinarli ad alcune isole, tra cui quella di San Pietro, allora disabitata. Così, quando la raggiunsero, fondarono la città di Carloforte.

Molti studiosi si sono occupati di questa lingua, ma anche il cantautore Fabrizio De Andrè che proprio qui compose il   capolavoro Creuza de mà. La vacanza è finita, inutile dire che la mente è già alla prossima isola da visitare!

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