Il profumo della brina

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Michele Tomaselli

7 Settembre 2020
Reading Time: 6 minutes
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Franco Giordani

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Franco Giordani, una nostra vecchia conoscenza, il musicista originario di Claut in Valcellina, polistrumentista (chitarre, bouzouki, mandolino e banjo), da diversi anni è protagonista indiscusso della canzone friulana. In una mano il plettro, nell’altra la penna per scrivere i testi delle canzoni.

Dalla musica ai libri, il passo per diventare scrittore non è poi così lungo, soprattutto per chi come lui conosce il valore delle parole. E dalle parole ai fatti. Franco ha recentemente dato alle stampe Il profumo della brina, un gustosissimo libro in cui racconta storie e avvenimenti della sua infanzia. Una raccolta di testimonianze allegre e divertenti al ritmo delle quattro stagioni e delle antiche tradizioni della valle, oramai scomparse, dove regnava la pace tra uomo e natura. Dopo l’intervista dedicatagli per l’album Truòisparìs del 2018, abbiamo avuto modo di rincontrarlo nuovamente.

Nei primi anni ’70 a Claut vivevano quasi 2.000 persone, oggi meno della metà. Anche rimarcando l’invito di Mauro Corona, nella sua introduzione ai contenuti del libro, Giordani va a caccia di buoni ricordi. Quanto è importante salvare la memoria storica della montagna?

«Come dice Corona ho agito sotto la spinta del ricordo, senza vanità o ambizioni letterarie, raccontando quell’infanzia, per me magica, vissuta a Claut. È un tentativo di salvare la memoria. Sono convinto che sia sempre importante ricordare ciò che siamo stati, per fare meglio».

Le vette, i boschi, i silenzi, le storie, i paesaggi, la quiete, le tradizioni. È un invito alla riflessione o un piccolo omaggio alle bellezze di Claut?

«Entrambe le cose, direi. Un invito ai giovani a capire come vivevamo in quegli anni e un omaggio a una valle meravigliosa, aspra e selvaggia».

Quando le temperature si sono abbassate e le piogge si fanno più fitte, la mattina si sente il profumo dell’aria fresca e la brina colora i campi di un candido manto…” Il profumo della brina è un deterrente per riscoprire quegli attimi che rendono l’infanzia un’età magica che mai si vorrebbe finisse?

«L’infanzia è un’età magica per tutti, però è giusto che finisca, poi bisogna crescere. Forse non tutti riescono a slegarsi da quei ricordi. La mia non vuole essere un’operazione nostalgica. Mi piace l’idea di tramandare la memoria ai più giovani».

Ma anche quando i fiocchi cadono dietro le finestre ci sembra di tornare bambini e ci si ricorda di quando la neve era sinonimo di gioco e spensieratezza”. Franco ha mai marinato la scuola per scendere con una slitta?

«Nessuno di noi marinava la scuola. Nella migliore delle ipotesi sarebbero piovuti i peggiori rimproveri e una bella punizione. Nella peggiore delle ipotesi, meglio scappare per non prenderle! Andavamo a sciare nei pomeriggi, senza impianti di risalita».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembra strano ma nel mondo “giordaniano” di Claut i bambini si sentivano grandi e volevano essere trattati da grandi… Può condividere alcuni aneddoti raccontati nel suo libro?

«Siamo cresciuti in mezzo a tanta libertà ma anche a una certa crudezza. Gli adulti non ci nascondevano i problemi del vivere quotidiano. C’era poca psicologia e poca delicatezza, forse questo ci ha reso un po’ più forti. Ma può essere vero anche il contrario. Se uno era debole, veniva travolto. Per gli aneddoti, invito a scoprirli leggendo direttamente il libro».

Il 6 maggio 1976 l’Orcolat devastò il Friuli. Da allora inevitabilmente molte cose cambiarono: il sisma spazzò via buona parte delle architetture spontanee, oltre a quel piccolo mondo antico fatto di tradizioni e usanze legate alla montagna. Che cosa cambiò esattamente a Claut?

«A Claut fortunatamente non ci furono crolli e tutte le case più antiche furono restaurate, scongiurandone la loro scomparsa. Quasi nessuno le avrebbe recuperate. All’epoca tutti volevano la comodità delle case moderne. L’architettura del mio paese è molto affascinante, così come quella degli altri paesi della Valcellina, Andreis in particolare. Il terremoto ha cambiato più che altro i modi di vivere. Gli anni dell’apparenza, insomma gli anni ottanta, erano alle porte».

Oggi parliamo di tecnologia 5G ma fa specie che fino a qualche decennio fa, a Claut, si poteva vedere un solo canale in TV. È colpa della politica se la montagna friulana si trova in questo stato?

«Senz’altro è colpa della politica. Tutta la montagna, non solo la Valcellina, soffre. Sta bene solo qualcuno, in Trentino direi. Sono stati più furbi e determinati. Ovunque in Italia i piccoli comuni soffrono, soprattutto quelli di montagna. Per questo nel 2017 ho dedicato il mio album Truoisparis interamente alla mia terra. Ma continuo a non nutrire alcuna stima nei confronti dei nostri governi centrali».

Si dice che l’osteria è qualcosa di sacro che viene dopo la Chiesa e a Claut c’erano diverse osterie. Che ricordi ha di questo mondo genuino?

«Nel mio libro ricordo in particolare tre vecchie osterie. All’ingresso del paese a Pinedo la “Carota”, in centro “Càcio” e alla fine del paese, a Lesis, “Dante”. Tre osterie bellissime, semplici e accoglienti, dove si poteva cantare, giocare a carte, a morra, scambiarsi opinioni, stringere affari, a volte anche fare un po’ di baruffa. Sono state chiuse tutte e tre. Nel libro “ringrazio” la miopia dei nostri governanti, che con leggi inique equiparano Roma, Cortina e Taormina a Claut, Erto, Cimolais. Una condotta dannosa e incomprensibile e l’Europa non ha migliorato per niente le cose, anzi…»

Non ha certo problemi di calvizie vista la folta capigliatura. È forse per questo motivo che al suo paese c’erano ben 4 parrucchieri e 1 barbiere…

«Quando ero piccolo a Claut sulle quattro vie della frazione capoluogo (Basùa) c’erano 37 attività commerciali. In quegli anni in tutto operavano circa 80 attività commerciali (escluse le imprese artigiane), e quasi una trentina erano bar, ristoranti, trattorie. Al di là delle doverose battute relative all’elevato rapporto bar/abitante, ci rendiamo conto di cos’è successo? Hanno distrutto un tessuto socio-economico che difficilmente si potrà ricreare».

Lo scorso 27 gennaio si è tenuta la Giornata della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto. Leggendo il suo libro scopriamo che nel suo paese risiedeva un sopravvissuto a un campo di sterminio. “Perché la storia non si ripeta” quanto è importante parlarne?

«È fondamentale ricordare questi avvenimenti perché non si ripetano più. Gli orrori del Novecento sono una ferita che non si potrà mai rimarginare. Soprattutto bisogna raccontarli ai bambini, senza retorica o ideologia. È strano per me pensare di essere nato solo 20 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. A noi pareva tutto normale. I bambini hanno una vitalità infinita».

Il calcio è sempre un’emozione specie quando si è al debutto. Che emozioni ha provato a giocare contro il Real Madrid delle valli (il Cimolais)?

«Il Real Madrid delle Valli era il Claut! Spero che i miei amici cimoliani non si arrabbino, ma è la verità. Nel libro racconto la mia prima partita ufficiale “con le maglie”. Per noi fu un’emozione indimenticabile, un’impresa titanica! Nessun genitore ci aiutò, ci arrangiammo da soli. Naturalmente la partita si disputò nel campo sportivo dedicato a Ruggero Grava, campione del Grande Torino scomparso nella tragedia di Superga nel 1949. Vincemmo due a zero e segnai un gol».

Prima della conclusione può svelare ai nostri lettori i suoi prossimi impegni?

«Si sono fatti vivi in tanti chiedendomi di presentare Il profumo della brina. Spero di avere molte altre occasioni per raccontare il libro, sempre in compagnia della mia chitarra, però. Mi sento molto più a mio agio quando canto e suono. A volte parlare mi mette un po’ in imbarazzo. Penso: “Ma saranno interessati?”. Il mio modo più naturale per esprimermi resta la musica».

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