Il potere della parola

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Giuliana Dalla Fior

10 Giugno 2015
Reading Time: 4 minutes
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Rachele Di Luca

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Nella mente e nello spirito tanta cultura classica, con un’intensa propensione per l’arte, non solo studiata (Laurea a Udine in Conservazione dei Beni Culturali), ma interiorizzata, quasi filo conduttore della sua vita: da più di vent’anni sprigiona un flusso costante di proposte culturali. L’intento è scoprire e riportare alla luce con consapevolezza e spirito critico “i reperti del vivere”, ovvero i valori etici e della cultura universale, che il mondo odierno sembra talora, un po’ ovunque, aver dimenticato o reso dormienti, quasi avvolti dal sonno della ragione.

È una donna consapevole, entusiasta, assolutamente realista, con il sogno di condividere con i suoi amici tutto il fascino della scoperta del sé, del noi e della solidarietà. È Rachele Di Luca, sangiorgina, dal 1993 regista e attrice della Compagnia “Teatro Zero Meno”.

Partiamo proprio da qui: perché tale nome?

«All’inizio tutti gli attori si sono interrogati sul valore della Compagnia e ci siamo dati un voto: “zero meno”».

Nell’ambito di Teatro Zero Meno, da lei definito “libero laboratorio delle idee”, promuove e fa vivere molteplici iniziative: corsi di storia dell’arte, attività teatrali, conferenze, un caffè letterario, mostre e laboratori, spettacoli e performance…Tali scelte hanno come portabandiera l’Accademia dell’Incanto. Perché questa denominazione?

«Accademia con riferimento al mondo greco: si impara misurandosi con gli altri; “incanto” come capacità di incantarsi e oggi di disincantarsi, guardando due mondi attraverso figure di “soglia”, capaci di vedere al di là e quindi traghettatori. Considero l’Accademia dell’Incanto come un mestiere».

Vivere in provincia la sminuisce o la arricchisce?

«Mi sembra doveroso “restituire” al territorio di provenienza, perché credo nella cultura diffusa nei luoghi. È sicuramente un viaggio molto faticoso, talora incompreso, perché la gente ha sempre meno voglia di stare insieme o di vivere emotivamente».

Lei ondeggia tra l’arte pittorica, l’arte teatrale e la scrittura. Quale predilige?

«Il vero fi lo rosso è la parola, lo sguardo è psicologico e quindi mi interessano la decodificazione linguistica, il “valore” della parola che sa dare emozioni diverse. Adoro l’arte perché la vita ha bisogno di condividere l’arte. In particolare con il teatro, io libero i contenuti della mia stessa esistenza con maschere diverse».

E “LiberAtutti”- caffè letterario?

«A parte il gioco di parole “Liber- libera- tutti”, è stato un motivo d’incontro per la domenica mattina: nell’intimità del salotto dell’Accademia ci si scambiano chiacchiere letterarie e il libro diventa un pretesto, cioè un testo al centro della chiacchierata, mentre il lettore racconta se stesso, perché il rapporto con il libro è spesso individuale e soggettivo».

Com’è nata l’idea di laboratori artistici per bambini e adolescenti?

«Spesso, nella mentalità corrente, il patrimonio artistico viene considerato un surplus, invece ciò che ci fa evolvere è ciò che abbiamo dentro. L’educazione ci fa crescere, nel senso latino del verbo educere, ovvero portare fuori dalle secche dell’ignoranza. È opportuno avere fame di “cose” non di “tanto”. Spero che i giovani, attraverso i laboratori artistici, avvertano questa fame».

Un piccolo sogno nel cassetto?

«Autogestisco uno spazio messomi a disposizione dal Comune di San Giorgio di Nogaro e nell’arco temporale ottobre-giugno propongo attività continuative, poi mostre, cicli di conferenze, piccoli concerti. La speranza è che “il mio mestiere” mi dia il reddito sufficiente per pagarmi la suola delle scarpe… oggi non è ancora così».

Abbandoniamo l’arte. Un altro rapporto speciale è quello tra lei, la natura e gli animali…

«Amo i giardini segreti, gli orti sui balconi, le terrazze fiorite, gli orizzonti senza interruzioni, le coste sull’oceano, le scogliere a picco, il mare in burrasca, la laguna quando riposa e profuma, la pioggia di notte, le composizioni di piante aromatiche, i fiori di campo, i ciliegi di Neruda, le nuvole. Temo i rettili, adoro i gatti, convivo con un cane simpaticissimo e con un pesce rosso».

Il tempo libero a disposizione, invece, come ama trascorrerlo?

«Leggo continuamente e più libri nello stesso tempo; ricamo e faccio pizzi all’uncinetto, dipingo e creo oggetti (lampade, specchi, collane), faccio giardinaggio, adoro cucinare… a intermittenza, seguendo le pulsioni dell’anima».

Il suo rapporto con la musica, invece, com’è?

«Amo la musica come espressione dell’anima. Mi commuove la musica classica, mi piacciono i cantautori come De Andrè, le voci jazz come Rossana Casale, il folk delle tradizioni Kletz, le sonorità etniche come il flauto giapponese, le cornamuse scozzesi…»

Un’artista come lei da bambina a cosa giocava?

«Ricordo la mia infanzia come un’età dell’oro. Ho giocato e letto moltissimo… mi restano nell’anima le estati in giardino con mio fratello Simone, il dilatarsi di quel tempo di grazia in cui non ci sono confini né limiti all’immaginazione e alla gioia, di caccie al tesoro, arrampicate sui ciliegi carichi di frutti, bagni estivi nel laghetto, corse in bici, baruffe fraterne e riappacificazioni, case sull’albero, bambole, pentoline con budini di terra e pennarelli…»

Artista e madre. Come concilia i due ruoli?

«Mi chiedo ogni giorno come spendere al meglio il tempo che mi è dato e mi pongo sempre la domanda se togliere spazio a una presenza continuativa coi miei fi gli sia per loro un bene o un male. Si fa fatica a mettere insieme i pezzi di un’esistenza. Credo che tutte le donne si misurino con l’importanza di stabilire priorità, spazi propri, ruoli, realizzazione e affetti. Inciampando e risalendo, mai comunque camminando in linea retta, seguo l’idea che il rapporto madre-figli debba seguire il filo della sincerità: mi presento sempre ai miei fi gli per ciò che sono e il mio benessere come persona, obiettivo piuttosto che raggiungimento, è il fondamento del benessere cui aspiro per loro. Noi non siamo solo ragione… Cerco di insegnare ai miei due ragazzi, attraverso le mie scelte di vita, che il primo nutrimento che ci forma e ci fa crescere come persone, è quello che va dritto all’anima. E lo strumento educativo che ho per farlo, in primis con loro, è l’arte. Uno strumento appunto. Perché l’amore è una via, e noi possiamo scegliere con quale mezzo percorrerla».

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