Elia Falaschi: il fotografo dell’arte

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Un giorno entrò nella “camera oscura” di un professionista e la fotografi a divenne la sua vita. «Amo riprodurre l’arte per valorizzare il dialogo tra le opere e lo spazio espositivo»

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Elia Falaschi (© Silvia Toneatto)

UDINE – Le sue foto sono state pubblicate su libri, riviste, testate giornalistiche ed esposte in mostre personali e collettive in Italia e all’estero.

Eppure quella tra l’udinese Elia Falaschi e la fotografia non è stata una storia scontata.

«Mentre finivo gli studi da geometra – ricorda all’inizio di questa intervista – e cominciavo a dubitare che forse nella vita avrei voluto “fare” l’architetto e non il geometra, il destino ha voluto che non seguissi professionalmente né l’una né l’altra strada».

Cosa accadde?

«Partecipe delle relazioni intessute negli anni in cui mio padre – artista egli stesso – possedeva una piccola galleria e stamperia d’arte, un contesto che certamente nel corso della vita ha influito sulle mie scelte e il mio approccio alle cose e alle persone, ho iniziato ad apprendere da un caro fotografo amico di famiglia i primi rudimenti della fotografia, scattando in pellicola e sperimentando la camera oscura. Ho capito molto presto che quel mondo affascinante mi apparteneva, l’entusiasmo che provavo era autentico e desideravo coltivarlo».

Quali sono i tratti del suo linguaggio estetico e quale l’alchimia fra luce, colore e forma?

«Variano in base all’ambito di intervento. La fotografia è un racconto per immagini, un “visual storytelling” e questo presupposto per me vale ed è fondamentale non solo nella fotografia reportagistica. Nell’architettura e interior design, ad esempio, è il racconto di uno spazio e dei suoi elementi nel rispetto di linee, geometrie, proporzioni, piani prospettici, luci e ombre, forme, colori. In ogni ambito la cura nella composizione dello scatto è la chiave per comunicare il messaggio, il racconto; un’attitudine che si fortifica con il tempo e un allenamento costante».

La fotografia nasce nell’occhio del fotografo, quanto vale lo strumento del click?

«Occhio e click devono andare d’amore e d’accordo, non c’è l’uno senza l’altro. L’occhio fa la sua scelta, il click deve intervenire per simbiosi, avendo l’accortezza di cogliere l’istante percettibile all’occhio».

Cultura, arte, reportage, still life: quali altri percorsi nel suo curriculum?

«Ho iniziato con la fotografia di cultura e spettacolo, soprattutto in ambito musicale e teatrale, grazie all’incontro con il fotografo Luca D’Agostino e la sua agenzia Phocus Agency, con cui ho avviato la mia attività professionale. Nel tempo ho scelto di approfondire alcuni settori che mi appassionavano, come l’architettura, l’interior design, la fotografia commerciale e la ritrattistica. Allo stesso modo ho scelto di abbandonarne alcuni settori come la fotografia di matrimonio. Mi piacerebbe invece riprendere a distanza di anni la fotografia di scena nel cinema».

Il Teatro Nuovo Giovanni da Udine in una foto di Elia Falaschi

Architettura e design, un progetto allargato ad altre forme, luci e colori. Recentemente ha realizzato una corposa pubblicazione a sei mani con due architetti…

«Si tratta di un progetto nato dopo cinque anni con gli architetti Tommaso Michieli e Filippo Saponaro, loro un po’ fotografi accanto me, io un po’ architetto accanto a loro. Un’indagine sulle case di alcuni tra i più importanti architetti della nostra regione, realizzate per sé stessi con il focus sul tema dell’abitare. Il libro, “A casa dell’architetto” edito da Gaspari, è un vero e proprio diario di viaggio in cui muri, stanze, giardini e le persone che li vivono si raccontano. Un omaggio alla quotidianità del vivere di personaggi friulani che hanno fatto la storia dell’architettura. E se è vero che frequentemente dalle passioni condivise nascono bei progetti condivisi, è dall’esperienza di questo lungo lavoro a sei mani, sei occhi, tre cuori che ha preso vita architrip.it. Un progetto collaterale, un incubatore di progetti, contenitore di esperienze lungo il filo di un comune denominatore; l’interesse per il viaggio come momento di scoperta di luoghi e persone».

La fotografia in Friuli Venezia Giulia vanta professionisti e artisti: quali i suoi riferimenti?

«Un elenco esaustivo sarebbe lungo. Mi limito a un sincero ringraziamento rivolto a tutti quei fotografi che hanno avuto importanza nella mia vita, da quelli conosciuti tra i libri e musei a quelli con cui ho avuto un rapporto personale».

Con l’intelligenza artificiale, la fotografia è sempre più al servizio della realtà fittizia. Un tema che le interessa?

«Non mi sono mai avvicinato all’utilizzo della fotografia virtuale per la creazione di contenuti in realtà aumentata. È un argomento che non ho ancora approfondito e per il quale non ho metri di giudizio. È fatto indiscusso che la realtà virtuale sia sempre più utilizzata in molteplici campi, dalla comunicazione alla progettazione, e in diversi settori socio-economici, dall’edilizia all’urbanistica, dal design alla promozione turistica. In un breve futuro, quindi, non escludo un approccio».

La fotografia e l’arte. Una famiglia allargata o litigiosa?

«Mi schiero con il team “famiglia allargata”. Penso che il fil rouge che le unisce sia “variopinto” e abbia molto a che vedere con le strade intraprese, le esperienze e le scelte di vita e professionali. Esistono professionisti che immortalano opere d’arte, altri che le producono, ma anche si sta da un capo all’altro del filo».

Lei dove si colloca?

«Sicuramente nella prima categoria, amo l’arte nelle varie sfaccettature e amo tentare di riprodurla al meglio delle mie possibilità, per valorizzare il dialogo che si innesca tra un’opera e il contesto, ambiente e spazio espositivo. Ho la fortuna di poter collaborare con realtà di rilevanza regionale e nazionale come Villa Manin di Passariano, Galleria Spazzapan di Gradisca d’Isonzo, Museo PAFF! di Pordenone. Collaborazioni che esprimono ciò che intendo quando affermo che faccio un lavoro che è una grande passione, che interagisce con un’altra mia grande passione. È bellissimo».

Gli ingredienti per essere l’uomo e il professionista che oggi è?

«Curiosità e un precoce desiderio di emancipazione sono le basi. Professionalmente l’aver acquisito la consapevolezza di volermi focalizzare e specializzare su determinati ambiti di intervento. Un passaggio fondamentale di crescita, che ha implicato e prevede una formazione costante. Dal punto di vista umano, personale, l’aver compreso, nel bene e nel male, qualcosa in più di me attraverso gli occhi e la vicinanza di altri. Qualche amico importante, la mia compagna, i miei meravigliosi nipoti».

Essere fotografi impone di vedere ogni volto, paesaggio, oggetto fissato in un’immagine: una benedizione o una condanna?

«Credo sia un castigo obbligato, fa parte del pacchetto, prendere o lasciare. Nella vita di tutti i giorni lo sguardo è sollecitato da una miriade di stimoli. L’occhio involontariamente tende a soffermarsi, a imprimere un istante perfetto che non può essere impresso dalla macchina fotografica. È un riflesso incondizionato, che fa parte di una sorta di “allenamento all’osservazione”, che poi mettiamo in pratica quando abbiamo un obiettivo in mano. Se vivessi tutto ciò come una condanna, inizierei ad avere dei dubbi sulla reale natura della mia passione e sulle mie scelte professionali».

Fra dieci anni come si immagina?

«Spero di riuscire a raggiungere il giusto compromesso tra tempo dedicato alla produzione su commissione e tempo dedicato ai progetti personali. Ci sono tante idee, spunti ed entusiasmo, a oggi manca un certo equilibrio tra necessità e piacere fine a sé stesso. Dall’uno dipende l’altro, ma spero in futuro di potermi permettere di dedicare ai miei propositi il giusto spazio e le dovute energie».

Oggi su domani, a cosa pensa?

«Che domani sarà oggi, con nuovi progetti, guardando all’indomani».

 

Elia Falaschi (© Leonardo Modonutto)

Elia Falaschi, classe 1980, cresce in un ambiente permeato di arte e bellezza. Un mondo che certamente influisce sul suo approccio alla vita. Rivolge la sua attenzione alla fotografia fin dagli studi superiori e la sua ricerca si orienta dapprima verso la fotografia di spettacolo e seguendo eventi culturali e festival musicali. Inizia quindi a lavorare sulla ritrattistica, soprattutto con musicisti e in ambito commerciale. Dal 2010 si interessa alla fotografia di architettura, di interni, commerciale e d’arte, settori che lo appassionano e ai quali oggi dedica un costante approfondimento.

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