Conservare il futuro

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Vive tra Roma e gli Stati Uniti, ma per Ferdinando Vicentini Orgnani il Friuli è la base stabile del mondo. Dove torna non appena gli è possibile

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a Sucre Boliviai

Ferdinando Vicentini Orgnani (ph. Sucre Boliviai)

La famiglia del nonno paterno Vicentini è di Camino, in provincia di Udine. Il doppio cognome è il risultato dell’adozione del nonno da parte del fratello di sua madre, così al cognome del padre si è aggiunto Orgnani. La madre Margherita Basaglia è veneziana, cugina del celebre psichiatra Franco, e vive a Spilimbergo dove abita anche il fratello Alessandro.

Il regista, sceneggiatore e scrittore Ferdinando Vicentini Orgnani dal 1982 vive fra Roma e gli Stati Uniti, con parentesi anche lunghe in Russia, Messico, Brasile, Sud Africa, Kenia e Bolivia, ma ha sempre mantenuto la residenza in Friuli.

A Valeriano, frazione di Pinzano al Tagliamento in provincia di Pordenone, ci sono le radici e “la casa”, un posto molto speciale. In Friuli ci sono gli amici d’infanzia, con i quali ha mantenuto un legame molto forte e considera una grande risorsa.

Proprio in regione ha girato anche il documentario “Catartis. Conservare il futuro” presentato alla Festa del Cinema di Roma. Com’è andata?

«Paola Malanga, direttrice della rassegna, stava cercando qualcosa di speciale per chiudere la sezione Freestyle al museo MAXXI e il mio lavoro sembrava perfetto. Ho avuto un momento di quasi felicità, mai esagerare. C’è molto Friuli, a partire dalla sua genesi. Nel 2003 a New York incontrai Giovanna Felluga, goriziana, nipote del mitico Livio, storica dell’arte. Con lei e con i galleristi romani Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier sono entrato nel mondo dell’arte contemporanea. Il documentario racconta, tra gli altri, i maestri Getulio Alviani e Michelangelo Pistoletto e le amiche Maria Stella Corsi, Riccarda De Eccher e tanti altri».

Come è stato accolto dal pubblico?

«L’accoglienza è stata superiore alle mie aspettative: credo che il film abbia il merito di una possibile lettura a diversi livelli, interessante sia per gli addetti ai lavori sia per chi di arte contemporanea ne sa poco o niente».

Che cosa ha colpito di questo lavoro rispetto ai precedenti?

«La quantità, oltre alla qualità, spero, che dimostra una vera dedizione alla “causa”: centinaia di ore di riprese in oltre vent’anni, condensate in 94 minuti».

Quale il tratto più di dettaglio specifico della regione e quale di impronta universale in Catartis?

«La voce friulana più riconoscibile è Getulio Alviani, grande protagonista dell’arte programmata e cinetica. Il tratto “universale” credo sia la sequenza di personaggi, ognuno dei quali è interprete di una creatività unica e speciale, che nessun altro avrebbe potuto inventare. Un filo diretto con la capacità di sintesi di ogni artista».

Pistoletto Venezia 2011
Orgnani assieme a Pistoletto a Venezia nel 2011

La scrittura e la regia cinematografica come convivono?

«La scrittura è sempre stata una mia passione con la grande letteratura. Solo negli ultimi anni ho vinto la timidezza e iniziato a pubblicare. Ho sempre collaborato con gli scrittori, a partire con il mio primo film “Mare largo”, tratto del romanzo “Attesa sul mare” di Francesco Biamonti. Poi ho lavorato in più occasioni con Marcello Fois e Diego De Silva, diventati cari amici. Il mio primo romanzo “Teheran senza ritorno”, presentato a Pordenonelegge e nel salotto letterario dell’Abbazia di Rosazzo, probabilmente diventerà un film».

C’è già un altro romanzo in fieri?

«Ho scritto una sceneggiatura che uscirà come romanzo entro il 2026, il titolo è “Dal giorno alla notte”, una saga familiare tra il Friuli, Londra e il Corno d’Africa fra il 1930 e il 2000, storia romanzata della baronessa Afdera Franchetti che ho conosciuto nel 2015 a Londra. Donna straordinaria, nata a San Trovaso di Preganziol, nel trevigiano, seconda moglie di Henry Fonda e di Lord Ashcombe, zio di Camilla Parker Bowles. Regina del jet set internazionale. Il libro inizia con una filastrocca che ho imparato a tre anni da Adele, bambinaia friulana di Artegna: Sante striche di pitiche, sante striche di pitoche, carabule, asinele, buine vite, fo-ra-che-le».

Una storia straordinaria: sarà in buona compagnia?

«Nel cassetto c’è anche la storia su Giangiacomo Feltrinelli in Bolivia, dove ho trovato tracce del suo passaggio nel 1967, poco prima della morte di Che Guevara. Suo figlio Carlo mi sta incoraggiando a scriverla».

Come ha incontrato il cinema?

«Dopo anni di passione e interesse per la musica – ho studiato chitarra classica – e una parentesi a Venezia – dove se fossi andato avanti forse sarei diventato un architetto – mi sono trasferito a Roma».

Un nuovo inizio.

«Dopo un improbabile inizio da attore alla scuola di Gigi Proietti – non ero un granché – sono approdato alla scrittura, seguendo Ugo Pirro, grande sceneggiatore, e poi alla regia, al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il mio bisnonno Ettore Gilberti aveva aperto a Udine nel 1936 il cinema Odeon, dove ho visto per la prima volta “Apocalipse Now” di Francis Ford Coppola, e sono rimasto folgorato dalla potenza espressiva del mezzo cinema. Sempre a Udine, ho visto “All that Jazz” di Bob Fosse, altro film straordinario, con la fotografia di Giuseppe Rotunno che sarebbe poi stato mio insegnante al Centro Sperimentale. Il cinema per me era un po’ scritto nelle stelle».

Quando torna in Friuli quali sono i primi luoghi e i primi gesti che la fanno sentire a casa?

«La mia casa di Valeriano è la base stabile nel mondo, un paesaggio unico immerso in vigneti. Sullo sfondo le montagne e la valle del Tagliamento. Qui ho raccolto la mia biblioteca che contiene i libri a me dedicati e le mie letture della vita. I luoghi dove mi piace tornare sono il Duomo di Spilimbergo (dove vorrei girare l’inizio di “Dal giorno alla notte”), piazza San Giacomo a Udine, poi San Daniele, le colline di Castelnovo dove vado sempre a camminare, la Val d’Arzino, dove d’estate nuoto nelle acque cristalline, gelide ma rigeneranti. Poi la tomba di Pasolini a Casarsa, dove porto sempre i miei ospiti non friulani per ricordare un genio che ci ha lasciato una visione lucida e profetica».

Da genitore quali sono le differenze fra i suoi 20 anni e quelli di adesso?

«Ho due figli, Francesco di 33 e Matteo di 23 anni, anche loro con mestieri “non tradizionali”: il primo scrive e pubblica graphic novel con notevole successo, il secondo ha seguito la mia strada, è alle prime armi ma mi ha sorpreso per quanto è diventato bravo in pochissimo tempo. Le differenze sono molte ovviamente, nel bene e nel male. Mi sembra che oggi ci sia molto meno tempo a causa delle tecnologie che hanno provocato un eccesso nel continuo scambio di informazioni, spesso inutili, ma certo con i vantaggi di avere accesso immediato, comunicando in tempo reale con il mondo intero. Sono contento di aver vissuto gli anni della formazione quando c’era un altro ritmo, un “andamento lento” con un peso specifico diverso, nel quale il baricentro dell’interesse dava la possibilità di riflessione e approfondimento che oggi sembra quasi innaturale».

Polo Fresu e Ferdinando Vicenitini Orgnani copia
Orgnani con Paolo Fresu

Il sogno nel cassetto?

«Più di uno. Oltre a fare dei miei due romanzi altrettanti film, sto lavorando con Marcello Fois a un soggetto ispirato alle “Conferenze brasiliane” di Franco Basaglia che ho conosciuto bene durante la mia infanzia a Venezia. Il film però non parla di lui, sul quale altri registi hanno lavorato, ma su un omologo ai giorni nostri che, come Franco a 56 anni, fa un viaggio in Brasile per un ciclo di conferenze e scopre che gli rimangono solo pochi mesi di vita. Potrebbe essere quel “grande film” che ogni regista sogna di lasciarsi dietro, o forse no. Pochi mesi fa sono stato al festival di Sao Paulo con il mio documentario sulla Beat Generation e ho incontrato Fabiano Gullane, il più importante produttore brasiliano che ha legami con Trieste dove si svolge parte della storia. Un “uomo di qualità” e, sul momento, ho deciso di raccontargli la storia. Potrebbe essere una semplice coincidenza, ma anche altro. Viodarin…»

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