Clara Nanut, la semplicità del lusso

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Anna Limpido

2 Marzo 2021
Reading Time: 7 minutes

Il progetto “Atelier Gourmode”

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“Abbandonate ogni preconcetto o voi che entrate” perché questa volta parliamo di social, la bestia nera da cui molti prendono (apparentemente) le distanze e che invece tiene tutti incollati (e per molto tempo, statistiche alla mano anche più rispetto alla televisione).

Un cavallo di Troia mediatico che in pochi anni ha espresso una potenzialità inattesa, andata ben oltre quello che inizialmente sembrava essere, cioè un semplice collante sociale, diventando anche un potente mezzo di informazione e di pubblicità.

Soprattutto pubblicità: se questa negli anni cinquanta rubava i famosi dieci minuti del Carosello con le prime composte signorine in bianco e nero, negli anni duemila è approdata sui social attraverso aitanti   testimonial che, pubblicando loro immagini mescolati tra la folla, si mostrano nel bere, nel mangiare, nel vestire, nel viaggiare accendendo l’aspirazione a ripeterli da parte di chi li osserva.

Se vuoi essere come loro, devi fare come loro: un’equazione tanto semplice quanto fruttifera. D’altronde non è la pubblicità l’anima del commercio? È il “desiderare” una spinta permanente che costringe il consumatore a uno stato di perenne insoddisfazione tendendo sempre al nuovo?

Se il fine della pubblicità, dunque, resta sempre lo stesso (vendere), le protagoniste dagli anni cinquanta a oggi sono radicalmente cambiate e, per i social, tecnicamente si chiamano “influencers”: un plotone di ragazzi e ragazze divisi per “categorie” e prodotti sponsorizzati: travel, food, fashion, beauty, organizzati con un ordine militare (talent manager, agenzie, cachet) che il frequentatore ordinario di Instagram o Facebook non si aspetta minimamente.

Anche Gorizia ha la sua influencer, nata in città ma professionalmente sbocciata nella grande Milano, corteggiata a livello nazionale e non solo: si chiama Clara Nanut, neppure trent’anni, una bellezza eterea da sfilata di moda e, numeri alla mano, oltre cinquantamila followers.

Con Clara ci incontriamo in una caratteristica tavernetta sull’isola di Grado, all’angolo di due tipiche calli storiche dal gusto Veneziano. Le nostre chiacchere si mescolano tra il via vai dei turisti e il vociare degli uomini del paese che la guardano fra tante, perché non passa certo inosservata.

Clara ha un’eleganza innata, quella che pure con un sacco nero si distinguerebbe: è delicata nei gesti e nelle parole, fine nel portamento, d’aspetto quasi pallido e fragile che stride con le sue idee all’opposto determinate e precise, già strategicamente pianificate ad accrescere e consolidare il suo lavoro.

Parlare con lei mi tenta al pensare che la sua generazione, essendo nata in anni di social, sia cresciuta con naturalezza e confidenza con certi racconti virtuali e pubblicazione di immagini sofisticate (che niente hanno a che spartire con le foto spartane che si scattavano i ragazzi fino agli anni novanta).

Ma poi scopro che nella sua preparazione accademica terminata con l’Executive Master Bocconi SDA in Fashion Experience & Design Management, nelle esperienze fatte dopo la laurea (tra cui nella divisione lusso di l’Oreal Italia), in Clara non c’è l’ordinario di una ragazza della sua età: in lei nulla è fine a sé stesso e nessuna delle fotografie pubblicate hanno un banale scopo autocelebrativo.

Clara è una professionista e nel suo percorso tutto è funzionale allo sviluppo di un’immagine e di un brand: il suo e del suo blog Gourmode e Atelier Gourmode.

Clara, partiamo dall’inizio: da dove hai mosso i primi passi per poi trasformare i social nella tua professione?

«Nei miei inizi c’è la creazione del blog Gourmode; era il 2013 e stavo frequentando il secondo anno del mio corso di laurea triennale alla Bocconi di Milano (in Economia e Management per Arte, Cultura e Comunicazione). Gourmode inseguiva, come tutt’ora, la mission di raccontare e ispirare uno stile di vita: la ricerca del lusso, delle cose belle, rare, pregiate. Da lì alla piattaforma Instagram il passo è stato breve anche perché questo social nasceva in quegli anni ed ebbe subito un enorme successo fondato su un’idea semplice: fotografie e immagini per una comunicazione rapida e asciutta. Approdando con un posizionamento riconoscibile datomi appunto dal blog, un posizionamento da luxury lifestyle, sono seguite collaborazioni eccellenti a tema, come ad esempio con le testate Glamour.it e Grazia.it. Con Grazia.it, in particolare, ho poi iniziato un rapporto stabile come parte della loro “factory”, un progetto che racconta e dà voce alle influencer emergenti attraverso progetti di creazione di contenuti per famosi marchi del fashion, beauty e lifestyle».

Considerato che il successo di una influencer si misura con il numero dei suoi followers, ovvero coloro che la seguono, come hai incrementato i tuoi fino ad arrivare alla quantità che oggi ti consente di affermarti con sicurezza in un mondo pieno di aspiranti?

«Inserendo sempre di più me stessa nelle fotografie: all’inizio facevo difficoltà a “entrare dentro” il soggetto che rappresentavo, dunque se raccontavo un hotel o un ristorante mi limitavo a fotografare loro e i loro prodotti. Poi mi sono inserita nell’immagine: così ad esempio ero io all’hotel, io che mangiavo in quel ristorante; non davo più solo consigli commerciali ma, attraverso le foto, raccontavo la mia storia in determinati luoghi che poi godevano, per traslazione diretta, della qualità della mia immagine. In particolare il format dove io interagisco col cibo ha avuto un enorme successo (e sì che Clara è magra come un chiodo, ndr), ma anche l’uso sapiente degli hashtag, delle location, la crescita della qualità fotografica, la vetrina di Glamour.it e Grazia.it, un sistema di tag reciproci e incrociati da pagine illustri. Oggi, poi, lo sforzo maggiore non è nemmeno più quello di acquisire nuovi followers bensì non perderli tradendo la mia riconoscibilità, il mio posizionamento appunto, quella mission legata alla mia immagine. Questo potrebbe accadere se ad esempio mi facessi tentare da “segmenti di mercato” differenti che, pur avendo una enorme popolarità, sono molto lontani dal mio stile: troppo “commerciali” per natura o per scelta comunicativa. Abbracciarli significherebbe disorientare chi mi segue e quindi disattendere i miei followers».

Milano torna sempre nel racconto del tuo percorso professionale: se non avessi studiato e fatto esperienze lavorative lì oggi saresti comunque un’affermata influencer che avrebbe pagato solo lo scotto di un’ascesa più lenta?

«No. Sono fermamente convinta che se non avessi studiato in un luogo così ricco di stimoli, tra persone creative, dedite non solo alla moda ma anche all’arte, al cinema, alla cultura, in una città dove la comunicazione digitale è nata ed è cresciuta in una rete di rapporti di enorme valore, io oggi non sarei l’influencer che sono. E neppure in più tempo. Dove poi esserlo è solo uno dei tanti aspetti del mio quotidiano: da poco ho fondato la mia società, Atelier Gourmode, che si occupa, tra Milano e Gorizia, di comunicazione digitale. Una boutique agency in contrapposizione con le agenzie generaliste di comunicazione dove ricerchiamo lo studio creativo sartoriale, “Le Digital Couturier”, e da qui anche il nome societario scelto».

Cosa significa per te lavorare al servizio di aziende della tua regione? Quali sono le opportunità e quali gli ostacoli?

«Significa appartenenza alla mia terra, restituire il know-how che ho maturato altrove, mettere a disposizione delle aziende del mio territorio, molte delle quali ancora vergini mediaticamente, la possibilità di creare nuovi contenuti per usare con intelligenza e intraprendenza i canali social. Le opportunità sono enormi e anche in un momento economico difficile come quello che stiamo vivendo, scegliere di investire nella promozione digitale non dev’essere vissuto come marginale: dev’essere una scelta precisa, strategica, fiduciosa. Se infatti prendiamo ad esempio due brand che investono in piattaforme e-commerce noteremo che, statistiche alla mano, quello che avrà applicato sapientemente un piano strategico vincente genererà più rapidamente una maggiore fonte di traffico e ricavi: un incremento esponenziale delle vendite dirette online e indirette offline. Non investire nel web, o non farlo nel modo giusto, non è solo un’opportunità mancata ma è proprio un vuoto commerciale imperdonabile: oggi un’azienda non può non avere una strategia digitale di vendita o quantomeno di comunicazione».

Non mi hai detto gli ostacoli.

(Ride e poi risponde sottovoce, quasi a non voler offendere nessuno, ndr) «I social e tutte le piattaforme digitali appartengono alle generazioni più giovani, le aziende invece alle generazioni meno giovani e questo asincrono spesso è il problema maggiore».

Da influencer a fondatrice di Atelier Gourmode: quali le differenze tra lavorare davanti e dietro le piattaforme social?

«C’è un filo conduttore forte tra l’essere influencer e consulente, tant’è che mi piace definirmi digital content creator & creative director: io non solo consiglio ma costruisco, in sinergia con il cliente, i contenuti creativi della sua comunicazione e questa costruzione si appoggia anche sulla mia esperienza di influencer. Essere digital content creator & creative director mi impegna oramai in maniera preponderante e questo perché la gestione del dietro le quinte (la creazione di un progetto espressivo, il coordinamento del team, le risposte alle esigenze del cliente, la cura delle campagne social, le pagine Instagram altrui e i giusti posizionamenti…) è molto più stimolante che non solo prestare la propria immagine alla promozione di un prodotto. Lavoro che non rinnego, anzi, che continuo a portare avanti con enorme dedizione e che mi dà sempre enormi soddisfazioni come l’essere stata scelta brand ambassador per marchi in forte ascesa commerciale».

La tua carriera sta crescendo repentinamente: oltre alla tua affermazione come influencer, in soli due anni hai trasformato il tuo blog in una stabile società di comunicazione con provvido impegno tuo e dei tuoi collaboratori. Quale il prossimo passo?

«Le istituzioni. Credo che il naturale sviluppo di chi si occupa di comunicazione sia mettersi a disposizione del pubblico, della promozione territoriale e non solo di aziende singole e private. Molte volte ho fatto dei tour in regione per lanci isolati di posti o prodotti, ma occuparsi di un intero territorio e della sua anima promozionale è altra cosa e pretende la partnership con Enti locali e culturali. Dunque non solo frammentate sponsorizzazioni ma un’integrata promozione pubblica-privata che attragga l’interesse nazionale e internazionale dei portatori di interesse. Tanti hanno tentato, invano, di intraprendere questa strada ma la loro iniziativa è comunque servita a evidenziare questo vuoto, l’urgenza e l’importanza di questa alta risposta qualitativa territoriale».

La tua visione è molto matura, innovativa, vede oltre con organicità e consapevolezza dove i più ancora non immaginano o non sanno o, peggio, ancora si approcciano ai social come gioco o con iniziative acerbe o duplicandone di già viste. Dunque sarai la prima local (digital content creator) influencer della Regione Friuli Venezia Giulia?

«Lo spero».

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