ACAT: una pace nel cuore

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Lo psichiatra Vladimir Hudolin fu il primo a promuovere un approccio ecologico-sociale per affrontare i problemi alcolcorrelati. Un metodo utilizzato ancora oggi in molti Club Alcologici Territoriali. Con il coinvolgimento dell’intera famiglia nel percorso di sobrietà e cambiamento di stile di vita

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L’incontro annuale delle famiglie dei Club, svoltosi quest’anno a Corgnolo (ph. C. Pizzin)

CERVIGNANO DEL FRIULI – I Club Alcologici Territoriali rappresentano un avamposto imprescindibile per aiutare persone e famiglie costrette ad affrontare situazioni legate ai disturbi da uso di alcol.

Per comprenderlo, abbiamo incontrato i referenti dell’ACAT Cervignanese e Palmarina, associazione impegnata da oltre quarant’anni in questa missione.

Fin dagli inizi dell’attività nel 1980, la stella polare è rappresentata dal “metodo Hudolin”, ideato dallo psichiatra croato Vladimir Hudolin.

Un approccio ecologico-sociale che pone al centro la famiglia e la comunità locale. Perno del sistema sono i Club Alcologici Territoriali (CAT).

La famiglia e la comunità locale – diceva sempre Hudolin – sono viste come risorse e responsabili di proteggere e promuovere la propria salute. Tutti noi non lavoriamo solamente per l’astinenza, ma per la famiglia, per la sobrietà, per una vita migliore, per una crescita e maturazione e, infine, per la pace. La pace non può essere conquistata se prima di tutto non siamo in grado di averla dentro di noi: una pace nel cuore”.

In oltre quarant’anni di attività, l’Associazione dei Club Alcologici Territoriali (ACAT) della Bassa friulana ha consentito a oltre duemila famiglie di affrontare e risolvere le sofferenze alcolcorrelate, migliorando la qualità delle loro vite.

«Ne è stata una testimonianza tangibile – afferma Gabriella Di Giacomo, presidente dell’ACAT Cervignanese – l’incontro annuale delle famiglie dei Club, che ha evidenziato la validità dell’approccio e risvegliato l’interesse, anche istituzionale, nei confronti delle sofferenze alcolcorrelate delle nostre comunità».

Attualmente quante persone sono seguite dal vostro club?

«Nel territorio della Bassa friulana sono presenti tre Associazioni dei Club Alcologici Territoriali: l’ACAT Cervignanese, quella Palmarina e quella Latisanese che riuniscono una ventina di club a cui partecipano circa 100 persone».

Queste persone come arrivano a voi?

«I canali d’invio delle famiglie ai club sono cambiati nel tempo. Fino a un paio di anni fa, le famiglie arrivavano soprattutto dai Servizi per le Dipendenze, dove giungevano dai reparti ospedalieri per problemi di salute o direttamente dal territorio, su pressione dei famigliari, più raramente per decisione spontanea. Negli ultimi anni, anche il ritiro della patente di guida ha portato al club diverse persone».

Tra chi consuma abbondantemente alcol con regolarità e chi viene trovato positivo a un controllo alcoltest la forbice può essere ampia. Quando una persona viene considerata dipendente da alcol?

«È necessaria una premessa. Per quanto riguarda l’alcol, il termine abuso è ampiamente superato, anche dalla medicina ufficiale, che parla di disturbi da uso di alcol. L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di consumo di alcol a rischio, qualunque sia la quantità consumata, proprio per le caratteristiche stesse dell’alcol, sostanza che agisce sul nostro cervello e cioè una droga. Contrariamente al pensare comune, considerare il bere “moderatamente” (quanto?) non dannoso per la salute non ha fondamento scientifico. Per questo motivo la persona che ha problemi con l’alcol non viene più definita “alcolista”, in assenza di parametri scientifici applicabili a tutte le persone, che a causa del proprio bere possono avere una varietà infinita di problemi molto diversi tra loro».

Se non esiste più l’alcolista ha senso parlare di alcolismo?

«Il professor Vladimir Hudolin sosteneva che esistono “tanti alcolismi, quante sono le persone che bevono”».

Un’immagine di Vladimir Hudolin (1922-1996)

L’abuso di alcol, secondo le statistiche, sta aumentando tra i giovani e i giovanissimi. Cosa si dovrebbe fare per prevenire questo fenomeno?

«L’Italia è uno tra i Paesi europei in cui è più bassa l’età del primo contatto con le bevande alcoliche, intorno agli 11 anni. È statisticamente accertato che più bassa è l’età in cui una persona inizia a bere, maggiori sono le probabilità che possa avere nella propria vita problemi alcolcorrelati. Il fenomeno del bere dei giovani, che non è solo di questi ultimi anni ma data qualche decennio, andrebbe affrontato occupandosi del bere degli adulti, che sono principalmente i genitori e i nonni. Viviamo in una realtà dove c’è una forte pressione culturale nei confronti del bere, mentre non si fa quasi nulla per disincentivare il consumo di bevande alcoliche a tutti i livelli. Solo politiche strutturali di riduzione dei consumi generali di bevande alcoliche possono portare a una progressiva riduzione del bere, anche nelle fasce più giovani della popolazione. Ricordiamo che il consumo di alcolici rappresenta in Europa la prima causa di morte prematura nei giovani dai 15 ai 29 anni».

La vostra realtà opera sul territorio da più di 40 anni: dal punto di vista sociale, la dipendenza da alcol come si è evoluta in questo periodo?

«Anche qui torniamo al concetto scientificamente provato che maggiori sono i consumi di alcol in una data popolazione più alto sarà, in quella popolazione, il numero dei forti bevitori e di conseguenza di coloro che avranno problemi alcolcorrelati. Dagli anni ’80 fino alla metà circa degli anni ’90 si è verificato in Italia un progressivo calo del consumo di alcolici, che successivamente ha invece invertito la tendenza. Possiamo dire che è diminuito il consumo di alcune bevande (vino) e aumentato quello della birra e degli aperitivi. Negli ultimi due decenni è anche notevolmente aumentato il bere femminile (anche tra le giovanissime) e ovviamente tutto questo porterà a una serie di problemi di salute in queste fasce di popolazione».

Dietro a una persona dipendente da alcol c’è il dramma dei famigliari. Come vengono coinvolti nel percorso di recupero?

«L’approccio ecologico-sociale su cui si basa il lavoro dei Club Alcologici Territoriali è prima di tutto un approccio famigliare ai problemi alcolcorrelati. Sin da subito viene coinvolta la famiglia nel percorso di sobrietà e cambiamento dello stile di vita. Viene chiesto a tutti i famigliari che frequentano il Club di fare una scelta di completa astinenza dall’alcol. Qualche volta semplicemente questa richiesta ci fa capire quanto il problema coinvolga l’intero nucleo famigliare, sia per le sofferenze provocate dal problema, ma anche per il forte legame con l’alcol presente in altri famigliari. Quindi diventa indispensabile che tutta la famiglia, qualunque cosa si intenda con questo termine, inizi un percorso di crescita e maturazione per raggiungere la sobrietà e una migliore qualità di vita famigliare, relazionale, comunitaria, libera dall’alcol».

Le due presidenti ACAT Cervignanese e Palmarina con il direttivo e alcuni servitori insegnanti (ph. C. Pizzin)

Se aveste la possibilità di vedere esaudita una richiesta per rendere ancora più efficace il vostro servizio, cosa chiedereste?

«Avere una maggiore collaborazione con i servizi pubblici, le amministrazioni comunali, i medici di base e le altre associazioni del territorio al fine di mettere in atto delle strategie comuni, per favorire l’ingresso nei Club delle tante famiglie presenti nelle nostre comunità che ancora soffrono a causa dei problemi alcolcorrelati».

Sul sito www.arcatfvg.it è possibile reperire i contatti di tutti i Club Alcologici Territoriali del Friuli Venezia Giulia

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