Il fascino discreto dei manoscritti

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redazione

22 Luglio 2022
Reading Time: 3 minutes

Vanni Veronesi

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Tra fine Trecento e metà Quattrocento l’Europa fu attraversata da due opere identiche, entrambe attribuite a Francesco Petrarca ma scritte in lingue diverse: una ebbe un successo straordinario, l’altra cadde nell’oblio, ma entrambe furono oggetto di fraintendimenti inimmaginabili. A fare ordine provvede ora il cervignanese Vanni Veronesi, assegnista di ricerca all’Università Roma Tre e collaboratore di iMagazine, con la sua monografia intitolata Il De viris illustribus di Petrarca volgarizzato da Donato degli Albanzani: catalogo dei manoscritti e appunti per una nuova edizione (EUT 2021).

Due opere identiche: una, il De viris illustribus, in latino; l’altra, il Libro degli homini famosi, in volgare. Chi ha scritto cosa?

«Nel caso del De viris illustribus ci troviamo di fronte a un’opera che di fatto non è mai esistita: Francesco Petrarca lavorò per tutta la vita a questa ‘enciclopedia’ storiografica, ma non riuscì a concluderla. A disposizione degli eruditi rimasero comunque i suoi materiali preparatori: fra questo mare magnum di carte, l’amico Donato degli Albanzani selezionò 35 biografie, da Romolo all’imperatore Traiano, e le tradusse in volgare. I copisti, tuttavia, omisero quasi sempre il suo nome e a quel punto l’equivoco era inevitabile: il Libro degli homini famosi fu considerato testo ‘definitivo’ di Petrarca, mentre il De viris illustribus fu derubricato a bozza preparatoria in latino».

Un errore che, paradossalmente, ha garantito il successo del Libro.

«Sì, e questo l’aveva già capito Domenico Rossetti nel 1828, che per primo svelò lo sbaglio e contò 21 manoscritti. Nel mio censimento, invece, arrivo a 45, sparsi fra Italia, Città del Vaticano, Francia, Spagna, Polonia, Inghilterra, Germania e USA».

Come si è svolta la tua ricerca sull’opera di Albanzani?

«Alcuni codici (Madrid e Wroclaw) erano riprodotti online; altri (Parigi, Darmstadt, New York e Chapel Hill) me li sono fatti digitalizzare; per uno, custodito a Stoccolma, ho chiesto l’aiuto di un professore residente in Svezia; tutti gli altri (ben 37) sono riuscito a consultarli dal vivo a Trieste, Firenze, Arezzo, Parma, Cesena, Padova, Treviso, Torino, Roma, Città del Vaticano, Napoli, Oxford e Siviglia, prima e dopo le pause imposte dalla pandemia. Nel mio volume descrivo tutti questi testimoni: oltre 500 pagine di notizie, in gran parte inedite, a disposizione degli studiosi di tutto il mondo, dato che il libro è scaricabile gratis dal sito della casa editrice».

Quali risultati hai ottenuto?

«L’analisi mi ha permesso di scoprire nuovi manoscritti, individuare le copie più importanti sulle quali condurre una nuova edizione dell’opera e retrodatare il Libro di oltre dieci anni rispetto alla tesi condivisa dalla critica (1397). Dalla ricerca, inoltre, sono emersi manoscritti che si ritenevano perduti e testi letterari mai recensiti dagli studiosi».

Da dove nasce questa passione per i manoscritti?

«Amo studiare la trasmissione della cultura, quel filo sottile che, ad esempio, ci permettere di leggere Platone dopo duemilaquattrocento anni. Mi è capitato di toccare un frammento di papiro risalente al II sec. d.C., sfogliare un vangelo del VI secolo, ammirare un volume copiato da una principessa bizantina: sono grato alla vita per queste esperienze meravigliose, ma tutti noi dovremmo essere grati a quegli eroi silenziosi che per secoli, nei monasteri e nelle università medievali, hanno salvato le opere dell’antichità».

Tanto più che, prima dei caratteri mobili, realizzare un libro era una vera impresa…

«Bisognava scuoiare un gregge di pecore, conciare le pelli, creare i fogli di pergamena da sovrapporre e rilegare, procurarsi una copia da trascrivere, affidare la copiatura a un professionista, miniare il volume con oro e lapislazzulo. Ho avuto fra le mani dei codici che oggi costerebbero più di una Ferrari, ma sono molto più interessato alle copie ‘dimesse’, confezionate da committenti squattrinati che però volevano acculturarsi: il loro desiderio di riscatto sociale me li rende molto simpatici».

Alla presentazione del libro di Vanni Veronesi, avvenuta a Trieste, presso la Sala ‘Bobi Bazlen’ di Palazzo Gopcevich, sono intervenuti il professor Lucio Cristante, già ordinario di Letteratura latina all’Università di Trieste; Alessandra Sirugo, direttrice del Museo Petrarchesco Piccolomineo di Trieste; Fabio Romanini, docente di Linguistica italiana all’Università di Ferrara; l’assessore Nicole Matteoni in rappresentanza del Comune di Trieste.

 

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