Riqualificare gli edifici per rinascere

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redazione

15 Febbraio 2017
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La proposta dell’Associazione Friuli Europa

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Un piano da cinque miliardi di investimenti in cinque anni, per la maggior parte privati. Per spingere l’economia attraverso il volano di una riqualificazione degli edifici vetusti, che passa dunque per l’edilizia, ma che deve coinvolgere una strategia più ampia di riqualificazione del “capitale territoriale e umano” della regione.

Secondo Sandro Fabbro, vicepresidente dell’Associazione Friuli Europa, intervenuto al primo degli appuntamenti della seconda giornata di Future Forum, «negli ultimi anni la capacità della regione di produrre ricchezza ha subito un arretramento più forte che in altre regioni: è 15esima in termini di perdita di Pil. Occorrono dunque almeno due misure di investimento, una di breve e una di lungo periodo, per uscire dalla gabbia in cui il territorio è finito».

A discutere del tema assieme a Fabbro, dopo i saluti del componente di giunta camerale Graziano Tilatti, anche Alessandro Colautti, componente della IV commissione consiliare regionale, Roberto Muradore, segretario generale della Cisl dell’udinese e della Bassa friulana, Roberto Contessi, capogruppo della sezione “Industrie costruzioni edilizie” aderenti a Confindustria Udine, intervistati dal giornalista Paolo Mosanghini.

Il “Piano  straordinario regionale anticrisi” sarà presentato nei dettagli operativi il 3 marzo dall’Afe ed è un percorso avviato già dal 2014. L’obiettivo è, prioritariamente, «il forte rilancio dell’occupazione attraverso la rigenerazione del capitale territoriale regionale. Le risorse per finanziare il piano – ha precisato Fabbro – dovrebbero essere prevalentemente private, attivate da una significativa leva finanziaria pubblica regionale». Alla strategia a lungo termine (10-20 anni) Fabbro unisce una «tattica da attivare subito per “rimettere in piedi il malato” e dargli le forze» per muoversi da solo in pochi anni.

In regione ci sono 300 mila edifici residenziali precedenti agli anni ‘70. Ipotizzando di recuperarne anche solo un terzo, a 50 mila euro di costo medio per intervento di riqualificazione energetica, si genererebbe un piano da 5 miliardi, senza conteggiare gli interventi per la sicurezza antisismica, la difesa idrogeologica e il recupero dei monumenti storici, che pure andrebbero integrati in un piano di rigenerazione territoriale. È un investimento diffuso e con rilevanti effetti occupazionali, ambientali, insediativi e di volano economico su una ampia filiera produttiva e tecnologica. Solo uno di questi 5 miliardi in 5 anni sarebbe di spesa pubblica regionale. Un impegno, per il bilancio regionale, di almeno 200 milioni l’anno, per Fabbro «del tutto sostenibile».

Il «Piano straordinario anticrisi» di legislatura «deve cominciare a programmare – ha proseguito –, su una prospettiva pluridecennale, anche la messa in sicurezza del patrimonio esistente esposto a rischio sismico».

 Ma ci vuole un cambio di passo in tutto il sistema, hanno convenuto tutti i relatori, a partire da una burocrazia che si è avvitata su se stessa, a discapito di cittadini e imprese. E non solo. Secondo Muradore, «per costruire oggi il futuro della regione va compresa la specificità dei singoli territori. E non l’abbiamo ancora fatto». E se per Contessi dovremmo anche cominciare a guardare a chi fa meglio di noi, come il Trentino Alto Adige, con tutte le differenze del caso, Colautti ha evidenziato come quella regione abbia «messo un filtro nella contribuzione al debito nazionale. Fino al 10% e poi – ha detto con una metafora – lo Stato deve “suonar loro il campanello” e chiedere il permesso. Mentre noi non abbiamo messo una soglia. E questa è una battaglia da fare».

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