Le tempeste dello spirito

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Vanni Veronesi

18 Dicembre 2015
Reading Time: 7 minutes

Pier Paolo Vergerio

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Gli studi e l’avvio della carriera diplomatica

«Della cerchia dei patrizi capodistriani, Giacomo Vergerio non figurava tra quelli più in vista. La sua casa […] si ornava dell’emblema di famiglia, ma guardava con dignitosa soggezione al palazzo dei ricchi Grisoni che si prendeva l’intero lato opposto allo slargo. I sette fi gli che vi nacquero […] ne avrebbero potuto rinforzare il lustro su cui poggiava, ma non aggiungerle un’opulenza che non aveva mai conosciuto. Soltanto al quinto e ultimo figlio maschio nato alle soglie del Cinquecento il nobiluomo decise di assegnare lo stesso nome del grande avo umanista, maestro di greco a Firenze e Padova».

Inizia così Il male viene dal Nord, splendido romanzo di Fulvio Tomizza dedicato alla vita di Pier Paolo Vergerio, nato a Capodistria nel 1498. Avviato alla carriera ecclesiastica negli ordini minori, nel 1517 si iscrive a Legge all’Università di Padova, proprio mentre nella tedesca Wittemberg, il 31 ottobre, il frate Martin Lutero affigge le sue 95 tesi contro papa Leone X, reo di aver favorito la vendita di indulgenze per fare cassa. Ma la gaudente Padova è lontana dalla severa Germania e nel 1526, conclusi gli studi, Vergerio sposa Diana Contarini.

Che però muore a solo un anno dalle nozze, spingendo Pier Paolo a ripensare la propria vita e a dedicarsi completamente a Dio. Nel 1532 si ritrova dunque ambasciatore papale a Venezia, mentre nella primavera 1533 viene promosso a nunzio apostolico presso la corte viennese di Ferdinando I d’Asburgo.

La missione tedesca

Nel frattempo l’Europa centrale è sconvolta dal vento protestante; intere regioni passano alla nuova fede, i sacerdoti vengono perseguitati e i riformatori si moltiplicano: Huldrych Zwingli e Jean Cauvin (alias Giovanni Calvino) fanno concorrenza allo stesso Lutero; gli Anabattisti distruggono le immagini dei santi; la chiesa d’Inghilterra, dopo il noto divorzio di Enrico VIII, è ormai indipendente da Roma. Dal suo osservatorio privilegiato Vergerio capisce che è arrivato il momento di agire; si fa quindi nominare da papa Paolo III ambasciatore presso i principi tedeschi, allo scopo di sondare il loro gradimento su un eventuale concilio di tutta la cristianità.

Per Vergerio, che si sente investito del ruolo di pacificatore, è la missione della vita e, salvo rare opposizioni, i suoi sforzi sembrano godere del favore dei luterani, che nel capodistriano trovano un interlocutore sensibile alle loro richieste: da buon avvocato, per ognuno di essi trova le parole giuste, elargisce promesse di ascolto in sede conciliare e dimostra che anche sul versante cattolico c’è desiderio di rinnovamento. In questo viaggio da Salisburgo a Berlino, da Liegi a Praga, da Friburgo ad Halle, Vergerio intesse una preziosa rete di conoscenze sul fronte avversario, ma nei palazzi romani questa attività viene vista con sospetto: troppo ingombrante e disinvolto quel nunzio arrivato da terre mezze slave con le pezze nel sedere, senza contare che nessuno gli ha dato l’effettivo consenso per puntare verso Wittemberg, città dell’anticristo Lutero. Obiezione tanto vera quanto ottusa, insopportabile per un uomo d’azione attento ai risultati, coraggioso al punto da incontrare frate Martino. Ma il faccia a faccia si rivela deludente: Lutero si dimostra rozzo, ottuso, inconsapevole di essersi ridotto a semplice strumento nelle mani dei potenti.

Gli anni del rinnovamento spirituale

Nel 1536, con una classica promozione-rimozione, Vergerio viene nominato vescovo per obbligarlo a rientrare. Gli affidano Modrussa, vicino a Fiume: una miseria per un ambasciatore. Se ne rende conto lo stesso Ferdinando I d’Asburgo, che si muove in favore dell’amico per far sì che gli venga concessa la ben più prestigiosa Capodistria. Così avviene, ma sulla sede grava l’obbligo di pagare una lauta pensione di 50 ducati al segretario del cardinale Alessandro Farnese: l’ingrato Antonio Elio, che proprio i Vergerio avevano adottato nell’infanzia. Pur di starsene lontano, dal 1536 al 1541 Pier Paolo si sposta ovunque: a Trieste, dall’amico vescovo Piero Bonomo; a Mantova, dove si lega a Ercole e Ippolito Gonzaga; e a Roma, nella quale conosce i cardinali Gasparo Contarini e Reginald Pole, il legato apostolico Alvise Priuli, l’umanista Marcantonio Flaminio e la poetessa Vittoria Colonna. Figure accomunate da una fede in Dio tanto intensa quanto travagliata,   sostanzialmente cattolica ma aperta alle nuove idee di giustizia e moralità provenienti dalla Riforma; li chiameranno ‘spiritualisti’ e Vergerio sta diventando uno di loro.

Sempre più infastidito dalla corruzione capitolina, affronta l’ennesima missione diplomatica, stavolta nella Parigi di Francesco I. Il re lo incarica di presiedere alla Conferenza di Ratisbona, che dovrebbe sviluppare un documento comune tra cattolici e protestanti, ma l’incontro si conclude con un nulla di fatto. Per colpa di Lutero, dicono da Roma; per colpa del boicottaggio vaticano, pensa Vergerio. Il quale, tornato nella sua Capodistria nell’estate 1541, rivoluziona la diocesi con provvedimenti radicali: lotta alla compravendita di indulgenze, cacciata di monaci macchiatisi di peccati carnali, ridimensionamento del culto di miracoli e reliquie nel nome di un ritorno alle Sacre Scritture. Immancabilmente, contro lo scomodo vescovo scatta l’accusa di eresia, subito caduta nel vuoto.

L’appuntamento con l’Inquisizione, però, è solo rinviato; nel dicembre 1545, infatti, basta che Vergerio vada a Brescia, ospite dello spiritualista Fortunato Martinengo, per far sì che un vescovo cretese, ribattezzato ‘il Grechetto’, lo denunci per diffusione del luteranesimo. Il capodistriano non se ne cura, e sbaglia. Perché nel gennaio 1546, quando bussa al cardinale di Trento per partecipare al Concilio appena inaugurato in città, trova le porte sbarrate: i lavori sono interdetti ai sospettati di eresia. A guidare il nuovo processo contro Vergerio è l’autore del celebre libro del Galateo: monsignor Giovanni Della Casa, inquisitore e gentiluomo che fra un precetto di buoni costumi e l’altro confezionerà un dossier con 34 capi d’accusa.

La grande fuga

Mentre Pier Paolo prepara la sua difesa, nella veneta Cittadella si sta consumando una tragedia. Dopo una vita da simpatizzante luterano, l’avvocato Francesco Spiera è stato costretto ad abiurare, vittima di un lavaggio del cervello che l’ha portato alla pazzia: convinto di essere destinato alla dannazione eterna, muore di inedia il 27 dicembre 1548. Al suo fianco nelle ultime settimane di vita c’è proprio Vergerio. Che di fronte a questa mostruosità, sommata al dolore per la morte del fratello Giovanni Battista e alla nomina a vescovo di Pola dell’infido Antonio Elio, capisce di non aver più nulla a che spartire con l’Italia.

Il 1 maggio 1549 passa quindi in Svizzera, appena in tempo per sfuggire alla condanna dell’Inquisizione, che emanerà la sua sentenza il 3 luglio. La notizia fa il giro d’Europa e suscita grande scalpore: il vescovo ribelle, che i riformatori ricordano con stima dai tempi della missione in Germania, è ormai una celebrità. Ma per Vergerio non c’è pace nemmeno nel piccolo borgo riformato di Vicosoprano, dove si è stabilito come predicatore: gli scontri teologici fra luterani, zwingliani, anabattisti e calvinisti sono all’ordine del giorno e l’unico collante è l’odio anticattolico. Così, di fronte alla sua nuova produzione libellistica, che comprende pamphlet antipapali, poesie satiriche e testi religiosi, l’accoglienza degli stessi connazionali fuggiti dall’Inquisizione è fredda, se non ostile. E quando a Ginevra, nell’ottobre 1553, Giovanni Calvino condanna al rogo lo spagnolo Michele Serveto come eretico, dimostrando che certi crimini non sono un’esclusiva papista, Vergerio decide di trasferirsi nella più sicura Germania. A Tubinga riprende le sue pubblicazioni: traduce in italiano alcuni testi luterani, rivolgendosi «ai nostri italici, specialmente alla gioventù», e scrive la struggente Historia di Francesco Spiera, che diventa un best seller anche grazie a una immediata traduzione in latino.

Gli ultimi anni

Tra il 1556 e il 1557 Vergerio si sposta in Prussia Orientale, tra Polonia e Lituania: è in missione per conto del duca  Cristoforo del Württemberg, come ai tempi della nunziatura apostolica, ma stavolta per rafforzare i luterani perseguitati dalla Controriforma. Incontra la famiglia reale e partecipa a un sinodo, ma il dialogo è ormai interdetto. Tornato deluso in Germania nel 1558, si butta a capofitto nella produzione libraria e assieme al suo conterraneo Primus Trubar, già autore nel 1550 del primo libro a stampa in sloveno (il Katekizem), fonda una tipografia a Urach dalla quale usciranno la prima traduzione del Nuovo Testamento in sloveno, nonché altre 37 opere dottrinali in italiano, sloveno e croato, per un totale di ben 25.000 copie.

L’ultimo viaggio di Pier Paolo, come in una storia romantica, è nelle sue terre: a Trieste, nella cattedrale di San Giusto,   assiste alle nozze di una nipote. Da lassù avrà forse guardato il suo mare, puntando lo sguardo verso Capodistria un’ultima volta, prima di tornare a Tubinga per guardare in faccia la morte: Il 4 ottobre 1565 Pier Paolo Vergerio “salì in cielo”, “vomitò lo spirito”, “raggiunse la Beatitudine del padre”, “crepò” […]. Il nipote Ludovico riferì che era spirato serenamente, assistito da Primus Trubar, “il quale come conterraneo gli aveva prestato il sollievo spirituale fino all’ultimo respiro perché salisse a quella meta a cui tendeva: la vita eterna”. Il curioso destino che aveva fatto ritrovare i due uomini nell’esilio, e li aveva voluti riconciliati sul letto di morte, quattro secoli dopo disporrà che al riformatore sloveno venisse intitolata la strada in cui il capodistriano aveva aperto gli occhi alla luce e che a Vergerio, quasi per compensazione, solo il popolo di Trubar erigesse un monumento (Fulvio Tomizza, Il male viene dal Nord).

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