Un momento fondamentale del progetto che lo Stabile volge alla stanzialità della produzione e incentra sulla forza della drammaturgia contemporanea, è rappresentato dall’allestimento di Fiona di Mauro Covacich.
L’autore triestino – che ha firmato romanzi di successo (anche Fiona nasce in questa forma, nel 2005) – vi tratteggia un quadro della realtà contemporanea, attraverso una scrittura tagliente, ricca d’induzioni, talvolta allucinata e assumendo il punto di vista del protagonista, Sandro. Un uomo d’oggi, ritratto nel suo caos interiore, nel suo smarrimento che si perde nella patologia psicologica. Un mal di vivere restituito – nell’efficace lavoro di adattamento e regia di Andrea Liberovici, artista di grandissimo interesse, apprezzato regista lo scorso anno de L’ultima notte di Raul Gardini di Corrado Augias – anche dalla costruzione dello spettacolo: un flusso di coscienza dai ritmi frenetici e spezzati, come un inquietante “zapping”... Ed in effetti per Sandro il linguaggio della televisione è il pane quotidiano: è uomo in carriera a Milano 2, dove va in onda Habitat, un reality show di successo di cui è autore. Un reality crudo, tanto più seguìto, quanto più diviene specchio del vuoto di valori e di pensiero della società. Ma Sandro è anche marito irreprensibile di Lena, con cui condivide ricordi di gioventù, tenerezza e l’abissale frustrazione di essere genitori adottivi di Fiona, una bimba haitiana che rifiuta ogni contatto affettivo, non parla, rosicchia tutto, quasi a colmare una metaforica fame. Infine Sandro ha un profilo oscuro, inquietante, imprevedibile, grazie al quale lo spettacolo vira verso inattesi toni noir...
La televisione, specchio del vacuum quotidiano, i supermercati – totem della solitudine contemporanea, alleviata dalla febbrile corsa al consumo – e una famiglia che diviene luogo di ansie e non di pacificazione, fanno da attualissimo sfondo al malessere di quest’uomo eccellente e assieme oppresso. In un allestimento che pur incentrato sugli attori si avvarrà anche di video e di una pluralità di codici espressivi, dà sostanza scenica al protagonista Luciano Roman, capace di arricchire ogni interpretazione d’intelligente introspezione e di sensibili sguardi sulla realtà che ci appartiene. Il suo personaggio, perseguitato dalla sua vita alienata, dai suoi incubi, dal suo autodistruttivo disorientamento, spera in una sorta di “liberazione”, di anestesia dall’ansia quotidiana e tenta infine di far “esplodere” la propria situazione nella dimensione che oggi, penosamente, rischia di restare la sola ad offrirci la consapevolezza della nostra identità.