Non è difficile notare come ultimamente le società occidentali siano tornate a disparità preottocentesche. Il mito della ricchezza, l’ambizione al matrimonio e alla sistemazione da parte di molte donne, l’assenza di orizzonti non preconfezionati nella testa dei giovani, l’idea del privilegio come effetto fisiologico della gestione del bene pubblico, sono effetti molto presenti ma che sembravano allontanarsi dalle società evolute. E non solo la sfera occidentale, anche il resto del mondo sembra vivere un’involuzione, il fatto ad esempio che le società che hanno scelto l’islamismo si rivolgano alle forme più rigide di questo pensiero del mondo, sta a significare che l’insicurezza per il futuro porta inevitabilmente al trionfo della superstizione.
Stiamo tornando all’inizio, stiamo passando dal via. Come possiamo raccontarci tutto questo senza cedere allo sconforto? Solo il teatro può farlo, attraverso la commedia, attraverso l’arte della risata.
Velodimaya è una specie di mappa del pensiero contemporaneo, attraverso un tempo indefinito, nel vortice degli uomini e delle nazioni. Le nazioni moderne non sono nazioni, sono affari. E in tutta questa compravendita, qual’è la verità? Navighiamo attraverso il racconto dei desideri e delle paure dei nostri attuali compagni d’avventura in questo lembo di terra. Stiamo giocando a un gioco in cui le carte sono truccate e le regole sono tutte da scoprire, è un gioco antico che, quando sembra fare un passo avanti, sta solo prendendo la rincorsa per tornare al punto di partenza.
Siamo dentro un film, ciascuno di noi recita un personaggio, chi meglio, chi peggio, ma tutti facciamo finta.
A questo punto il nostro personaggio è costretto a indagare, come fosse il detective di un film giallo, ci sono solo prove indiziarie, il quadro non è chiaro.
Visti da lontano, in questo nostro affannarci, anche nel nostro inciampare, facciamo ridere.
Natalino Balasso