Erba è scrittore sensibile e ironico, acuto osservatore della realtà contemporanea, di cui dipinge con comprensione tenerezze e fragilità e critica violentemente cinismo e aridità: tutti tratti riconoscibili in questo nuovo spettacolo, diretto a quattro mani da Triestino e Pistoia e deciso a toccare – con piglio mai scontato – i difficili temi della malattia e della morte.
Ma gli spettatori non si devono attendere un testo intriso di cupezze: tutt’altro. In Trote è l’ironia a far da padrona, assieme allo sguardo talvolta disincantato e praticone, talaltra commosso sulla vita che appartiene alla “gente semplice” abituata ad affrontare gli sgarri dell’esistenza. Roma fa da sfondo alla vicenda e il divertente accento dialettale dei protagonisti diviene ulteriore occasione di stemperare la tensione di certi dialoghi. Il caso che fa incontrare il meccanico arricchito Maurizio (Paolo Triestino) e l’operaio Luigi (Nicola Pistoia) è un referto medico che lascia poche speranze, scambiato per errore. Lo ritira Maurizio credendolo proprio e, preso dal panico, “rivoluziona” la sua vita egoista: confessa alla moglie (De Vito) i suoi tradimenti, si mostra per un attimo non interessato al denaro. Quando scopre di non essere lui l’oggetto del referto, ritorna quello di prima, ma l’esperienza lo ha toccato: vuole consegnare la cartella allo sconosciuto proprietario... Lo trova in riva all’Aniene intento a creare una sorta di “perfezione zen” nella pesca delle trote: è il principale passatempo di Luigi, lo “disintossica” dai ritmi inumani della catena di montaggio e gli permette – senza mutare, beninteso, il suo atteggiamento ringhioso – di guardare con entusiasmo al pensionamento e al prossimo matrimonio con una donna rumena. La commedia si sviluppa con la vivacità del corso del fiume e seguendo il filo della filosofia della pesca, a cui il neofita Maurizio – conoscendo meglio Luigi – si appassiona: tanto da non sentirsi più in grado di restituirgli il terribile referto.