Polmonite da Covid, da Trieste nuovo trattamento

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redazione

20 Agosto 2020
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Sarà presentato nel corso di ESOF

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La Pneumologia di Trieste, diretta dal professor Marco Confalonieri, presenterà a Esof 2020 (il Festival Europeo della Scienza in programma a Trieste) sabato 5 settembre uno studio multicentrico sul trattamento con Metilprednisolone a basso dosaggio prolungato in pazienti con polmonite COVID-19 grave. Il protocollo di trattamento è stato ideato e attuato dalla struttura di ASUGI, con la partecipazione di 14 studi italiani e seguito successivamente dallo studio britannico del Recovery Trial sul cortisone che ha coinvolto 176 ospedali del Regno Unito, confermandone la validità.

“Questo studio dimostra che si può fare un lavoro di squadra rispondendo a una emergenza nazionale con un approccio scientifico appropriato. Ringrazio tutto il team che ha consentito di gestire al meglio i nostri pazienti. Con questo protocollo abbiamo potuto aiutarli tempestivamente e efficacemente”, ha dichiarato il vicepresidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi.

Alla polmonite da COVID-19, che porta all’insufficienza respiratoria acuta con necessità di ventilazione meccanica invasiva, è associata una significativa morbilità e mortalità a causa di una grave infiammazione sistemica. Il protocollo di trattamento precoce e prolungato con cortisonico a dosi fisiologiche può accelerare la risoluzione della malattia, diminuendo la necessità di ricovero in terapia intensiva e mortalità.

Si è osservato che il trattamento è stato associato a un rischio di morte significativamente inferiore (71%) ed è diminuita la dipendenza dal ventilatore. Lo studio randomizzato del Regno Unito Recovery ha confermato questi risultati. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'Italia è stato il primo Paese europeo travolto dalla pandemia SARS-CoV-2 a subire un carico difficile da sostenere per il sistema sanitario. L'impatto iniziale maggiore è stato sulle unità di terapia intensiva, poiché il 16% dei casi ospedalizzati è stato ricoverato in terapia intensiva con grave insufficienza respiratoria e la necessità di ventilazione meccanica protratta per settimane con alto tasso di mortalità. Lo schema di intervento triestino, utilizzato anche nel resto della regione, ha frapposto tra i reparti infettivi e la rianimazione le unità pneumologiche che hanno fatto da cuscinetto nei casi di polmonite grave.

Durante questa emergenza globale senza precedenti, anche i paesi con sistemi sanitari avanzati raggiungono rapidamente la saturazione delle terapie intensive e gli intensivisti si sono trovati costretti a prendere decisioni etiche difficili che sono estremamente rare al di fuori delle zone di guerra. Qualsiasi intervento diretto a diminuire la dipendenza dai ventilatori e la mortalità nei pazienti COVID-19 è un imperativo etico e ha un significativo impatto globale sulla salute pubblica.

Negli ultimi decenni, l'Italia ha costruito una rete diffusa di strutture pneumologiche per la respirazione assistita che trattano anche pazienti con insufficienza respiratoria grave da polmonite, con un monitoraggio continuo e ventilazione non invasiva. Durante la pandemia, queste strutture sono state fondamentali nel ridurre il trasferimento in terapia intensiva per i pazienti con progressione della malattia che richiedono intubazione endotracheale.

Lo studio, coordinato da ASUGI, è stato accettato per pubblicazione sulla rivista della Società Americana di Infettivologia.

Il prof. Confalonieri afferma che “questo protocollo ha cambiato il corso degli eventi in molti ospedali italiani. In una eventuale recrudescenza del virus sarà però importante anche il rapporto con i medici di medicina generale e la telemedicina connessa all'ospedale per le persone fragili”.

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