Ripartire dalla famiglia

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Andrea Fiore

8 Giugno 2017
Reading Time: 3 minutes

Bambini e psicofarmaci

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Qual è lo stato di salute della famiglia, intesa quale nucleo sociale per eccellenza? Da questa domanda volutamente provocatoria, parte una riflessione a più ampio raggio che ci conduce ad affrontare una questione delicata come la somministrazione di psicofarmaci ai bambini.

Utilizzando un semplice sillogismo, è inevitabile che se nella società odierna un numero sempre maggiore di famiglie è in crisi – non dal punto di vista economico, bensì nei rapporti e nelle relazioni al suo interno – la stessa crisi coinvolga anche ciascuno dei singoli componenti. Bambini compresi.

Ma i bambini, per loro natura, a eccezione di rari casi specifici, non nascono con problematiche psichiche o sociali: queste, semmai, sono il risultato di un’interazione complessa in cui gioca un ruolo fondamentale il contesto di crescita. Un aspetto tanto determinante quanto difficile da accettare.

Chi risolve il problema?

I casi di famiglie che si rivolgono ai servizi sanitari per problemi legati ai propri figli sono in sensibile aumento, come dimostra l’esperienza sul campo. Questo perché oggi i genitori preferiscono delegare all’esterno la risoluzione dei problemi. Così rivolgersi a uno psicologo piuttosto che a un neuropsichiatra infantile è divenuto qualcosa di estremamente naturale, nella convinzione che lo specialista saprà individuare e risolvere le problematiche del bambino. Senza tuttavia tenere conto di una questione fondamentale: la presa in carico di un bambino da parte dei servizi equivale alla presa in carico di tutta la famiglia. Perché i problemi dei figli – esperienza insegna – il più delle volte nascono all’interno delle dinamiche familiari.

La diagnosi prima di tutto

Come accennato pocanzi, il numero delle famiglie che si rivolgono ai servizi è in continua crescita. Tuttavia resta invece stabile rispetto al passato un altro dato: il numero dei bambini per i quali viene diagnosticato un problema da richiedere anche un percorso con psicofarmaci.

Un aspetto che conferma il ragionamento iniziale, con genitori che tendono a richiedere all’esterno una soluzione a problemi che non riguardano solo i loro figli, ma l’intero vissuto familiare. Ora invece desidero soffermarmi su quei casi in cui la diagnosi conferma la necessità di una presa in carico. Fortunatamente, nei servizi preposti in Friuli Venezia Giulia operano professionisti dalle riconosciute capacità. La domanda che segue è tanto logica quanto delicata: questi specialisti come intervengono sui bambini con diagnosi neuropsichiatrica? E, soprattutto, in quali casi possono essere somministrati loro psicofarmaci? Per rispondere sono necessarie chiare precisazioni.

Un bambino non è un adulto

Dal punto di vista medico, i farmaci non vanno mai né demonizzati né abusati. Quando parliamo della loro somministrazione ai bambini dobbiamo però tener conto di tre aspetti. Il primo riguarda lo specialista di riferimento. Lo sviluppo cerebrale e cognitivo di un bambino è infatti estremamente diverso da quello di un adulto. Ecco perché la presa in carico non può essere effettuata da un neurologo o uno psichiatra dell’adulto, bensì da un neuropsichiatra infantile o da un neurologo pediatra. Può sembrare una sfumatura, invece è una condizione imprescindibile: lo specialista dei bambini ha una formazione precisa e complessa che non appartiene agli specialisti degli adulti.

Il secondo aspetto, consequenziale al primo, riguarda il dosaggio e il monitoraggio. Il neuropsichiatra infantile, conscio delle caratteristiche fisiche del bambino, valuterà i quantitativi di farmaco da somministrare, monitorando nel tempo con verifiche costanti sia gli effetti che le eventuali controindicazioni.

Infine, se il ricorso al farmaco rappresenta l’extrema ratio del percorso di cura e viene somministrato solo in caso di necessità, affinché la terapia abbia successo è fondamentale il coinvolgimento di tutti gli attori che entrano in contatto con il piccolo paziente nella vita quotidiana: dalla famiglia al mondo della scuola. Se un bambino infatti assume psicofarmaci è necessario che i suoi insegnanti lo sappiano per poter garantire un valido trattamento inglobato e integrato.

Un’accortezza valida per tutti

Visto il tema trattato, desidero chiudere il mio intervento ponendo l’attenzione sulla conservazione dei farmaci (di qualunque genere) in casa, in particolare laddove sono presenti bambini. I farmaci non devono essere facilmente accessibili, né tantomeno mescolati tra loro, onde evitare che, durante l’assunzione, possano essere erroneamente scambiati tra i diversi componenti della famiglia. Può sembrare una banalità, eppure capita più spesso di quanto si pensi.

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