Non è facile trattare di un contemporaneo: non ci sono solo gli scritti che parlano.
Idee, confidenze, relazioni umane, in consonanza o in dissonanza con l’ambiente, sono elementi difficili da valutare; tutto si complica quando si tratta di personaggi - segno di contraddizione, come Rolando Cian. Dunque, ci solo spunti di riflessione.
C’è stata la necessità di raccogliere le ultime testimonianze orali delle persone che lo conobbero a Ruda, “suo” paese, come a Gorizia, Cormòns, Salerno, Napoli, Trieste, Roma. Sono il tessuto connettivo delle fonti e, talvolta, elemento indispensabile.
Un dato che colpisce in lui è l’attenzione al documento scritto, ora drammaticamente in calo. Ha lasciato una quantità imponente di manoscritti.
Rolando Cian nasce a Milano il 27 febbraio 1918. Il padre, Giacomo, ci era andato, per non prestare servizio militare in Austria; fu raggiunto dalla moglie Ermenegilda Valent, che gli diede cinque figli (tre morti da piccoli).
Fanciullezza come tante altre, con l’intelligenza che si avverte.
Più in là si fece notare lo spirito di paese: canti, poesie; il piacere di tornare; la sua pietà, con indelebili venature popolari…Lo rivelano la passione per suonare l’organo, dirigere il coro, stare insieme, partecipare ai pellegrinaggi… Pare una religiosità, la sua, che abbia sempre davanti l’aspetto mistico, l’angolatura del francescanesimo.
Inizia la vita tra rivolgimenti epocali per le nostre terre: cambiano stato, provincia, regime, guida pastorale.
Dopo le elementari, in Seminario a Gorizia; anni di grandi cambiamenti per la Chiesa goriziana: nel ’31 si dimette il grande Principe Arcivescovo Francesco Borgia Sedej (muore un mese dopo, dissero di crepacuore). La sede rimane vacante: amministratore apostolico Sirotti, da cui si passa a mons. Carlo Margotti, che inizierà in diocesi un processo di “romanizzazione”, con forti resistenze fra clero e fedeli.
Vita dura in seminario (esce alla fine del ginnasio); inizia la sua passione per la musica e la formazione, già accennata a una sfumatura mistica del carattere. Un anno di pausa, poi carriera scolastica (brillante, ricca di sacrifici). Alla fine degli Anni Trenta, studia giurisprudenza: voleva diventare l’avvocato dei poveri. La osservazione della realtà della Bassa, dominata dal latifondo, l’approfondimento della dottrina sociale cristiana, lo portano a prepararsi alla vita politica.
La Bassa, in cui, anche se non in maniera uniforme, si era sviluppato un forte movimento cattolico, ha situazioni pesanti, ma esempi luminosi di sacerdoti, laici impegnati nella politica nella cooperazione ai tempi dell’Austria (e un ricco retroterra prepolitico). L’attività educativa in senso civile e religioso, tra i cattolici, non mancava; debole l’azione sociale.
Rolando Cian si laurea nel 1942: 110/110 e la lode. La sua adesione a ideali di giustizia è reale; la sensibilità per le sofferenze altrui non è romantica: dopo che un amico in guerra gli scrive che dorme in tenda su terreno ghiacciato, lo imita dormendo sul pavimento, con pochi indumenti, per condividere le sofferenze. Intanto agisce tra le associazioni di A. C., parlando di temi sociali e perfino d’Europa (non c’erano programmi chiari per un dopoguerra di impegno politico e sociale). Dotato e preparato (non sempre la cultura scolastica è sinonimo di sensibilità), emerge per capacità d’ analisi nella A.C.
Don Luigi Pontel parlò di riunioni con lui ad Aiello e Ruda, dove si dibattono questioni come la persona umana, il diritto di proprietà come cintura di libertà. Il popolarismo, ormai nebuloso, sarà cinghia di trasmissione tra passato e futuro. In campo agrario, è per il superamento della mezzadria, con un contratto di colonia parziale, e da don Mario Virgulin viene mandato a Grado da Giuseppe Bugatto (il deputato popolare a Vienna che aveva presentato una legge alla dieta provinciale di Gorizia), con un contratto a colonìa parziale da proporre a tutte le chiese della diocesi (Virgulin lo adottò per primo).
Il 20 gennaio 1945 sposa Gianna Pinat di Aiello
Dopo la liberazione, tre volte viene invitato dai comunisti a presentarsi, una volta fu liberato da un ufficiale neozelandese. Chiamato da Cian, che ha parlato con Alfredo Berzanti, commissario politico, arriva a Ruda un reparto della Osoppo, per bilanciare la presenza comunista. Tempi duri e battaglie politiche.
Nel 1945 e 1946, è tra i più attivi nella Bassa; a Cervignano, nel 1945, tiene una conferenza ai quadri delle sezioni D.C. per illustrare programmi e idee. Il 25 luglio 1946, sul “Nuovo Friuli”, organo della D.C. di Udine, esce una mozione conclusiva di una riunione convocata a Ruda un mese prima; il documento è ispirato da lui. Lo si capisce dalla maturità politica con cui è redatto: “…constatato che la grave situazione politica in cui versa la Bassa, friulana, pur risentendo dei cantieri di Monfalcone e della propaganda filoiugoslava svolta da ben noti elementi, rispecchia evidenti ingiustizie sociali (disoccupazione, bracciantato agricolo, mezzadria); rilevato che per l’incomprensione e l’irrigidimento di grandi proprietari della zona, la soluzione di problemi sociali viene ritardata con conseguente danno non soltanto delle classi lavoratrici, ma anche dell’economia e dell’ordine generali; rivolge un caldo appello ai legali rappresentanti nella costituente, cui con il voto espresse la fiducia dei suoi aderenti e simpatizzanti perché usino del loro mandato al fine di sollecitare dagli organi governativi immediati provvedimenti a favore del popolo lavoratore, e in particolare: 1) un vasto piano di lavori pubblici per assorbire la mano d’opera disoccupata; 2) una soluzione legislativa della agitazione mezzadrie; confida che l’invocazione dei democratici cristiani di Ruda in lotta ai confini della patria contestata per il buon nome del partito e dell’italianità sia ascoltata e tradotta in realtà”. Nel 1946, con il trasferimento a Gorizia, comincia una vita di altri impegni, sempre con il carattere anticonformista che non accettava - sono parole di Vittorio Pozzar - di annacquare, di diluire la sua fedeltà alle idee ed ai principi nei quali credeva e per i quali si impegnava…”.
Fu tra i fondatori dei sindacati liberi e poi della Cisl (nei sindacati unitari aveva voluto che ci fossero i comunisti e gli Sloveni). Svolse una azione notevole nelle lotte dei braccianti della Bassa friulana e non solo (I convegno dei braccianti a Ronchi), con un’epica lotta a Isola Morosini (sostenuta apertamente dall’Arcivescovo Margotti).
Campi di attività furono i cotonifici di Ronchi e di Gorizia, i Cantieri di Monfalcone. Quando don Mario Virgulin fu trasferito da Ruda a Ronchi, così si rivolgeva a lui in un indirizzo di saluto, gravido anche delle sue responsabilità di sindacalista il 31 agosto 1952: “… non riuscivo a scrivere. Come si fa a scrivere di cose buone quando si licenziano ottocento persone dai due Cotonifici di Gorizia e di Ronchi? Proprio nella nuova parrocchia destinata alle sue cure. Don Mario troverà qualche centinaio di disoccupati in più. Con la visione di tanta miseria, di disagio e di ingiustizie, anche il cuore di chi cerca di operare il bene finisce per indurirsi. Ma pensando a don Mario, alla sua perenne fiducia, alla sua instancabile attività, lo scetticismo che mi sorprende in questo momento svanisce”.
Mi sono soffermato su questa prima parte della vita; ci sarebbe tanto da dire. Aderisce all’invito di Pastore a prendere in mano la federazione Cisl di Salerno. Pastore aveva un disegno sul Meridione: far crescere e cambiare la mentalità locale, trasferendo dal nord gente già formata (per esempio, Nicolò Reverdito, poi sindaco di Grado, lavora fra le braccianti agricole del Cosentino, in Calabria). A Salerno, Cian va con la famiglia. Vita dura, ma tante soddisfazioni nel far crescere soprattutto il mondo femminile delle tabacchine, che poi emanciperà e farà continuare il lavoro nelle risaie dell’Alessandrino (sempre controllando trattamento e diritti), talché a Salerno gli hanno dedicato l’auditorium della Cisl. Da lì, va a Napoli, segretario regionale della Cisl. Si scontra con i potentati locali della D.C. ed è sacrificato dalla dirigenza nazionale CISL, da cui dopo sempre diffiderà. Gli offrono un posto di formatore a Roma. Ma anche lui voleva “sentire l’odore delle pecore”. Rinunciò e tornò in Friuli; fu assunto all’assessorato regionale alla programmazione di Gino Cocianni. Anche qui la preparazione, con studi, confronti con chi c’era già passato, per esempio in Sardegna. Studi profondi sulla realtà regionale e nel contempo ripresa dell’interesse politico, sempre con una venatura religiosa sul piano della giustizia. Fu il primo (Feltrin) ad avere rapporti con un gruppo culturale jugoslavo; fondò il Circolo “Frontiera aperta”, quando esperimenti del genere erano guardati in maniera, che, benevolmente, si potrebbe definire sospetta. Diede l’ultimo contributo quando avrebbe potuto insegnare ancora tanto (nei diari dimostra che se ne rendeva conto): se non altro capì la mostruosità della “Grande Udine” e collaborò per la ricostituzione delle comunità. Ragione, mente e cuore parleranno di lui solo se, nel mondo cattolico, e non solo, molti si renderanno conto che c’è stato e molti di quelli che l’ hanno conosciuto non faranno finta di non sapere.
Per chi volesse saperne di più, c’è il libro: Rolando Cian, uomo di frontiera, a cura di Paolo Feltrin, con testi di F. Tassin, F. Bentivogli, C. Moretto ed. Biblolavoro, 2013, pp. 216, € 18.
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