In occasione del Giorno del Ricordo, commemorato come ogni anno il 10 febbraio, abbiamo intervistato il direttore dell'Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata di Trieste, Piero Delbello.
Direttore Delbello, pochi giorni fa è stato commemorato il Giorno del Ricordo: che significato ha questa ricorrenza per l’I.R.C.I.
“Il Giorno del Ricordo, istituito ufficialmente il 30 marzo 2004 con la legge n. 92, è un momento di riflessione, di commemorazione nazionale poiché – come recita la legge stessa – intende “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Ma il 10 febbraio rappresenta per l’I.R.C.I. anche un’occasione per parlare pubblicamente e apertamente di un capitolo strappato al grande libro della Storia; un capitolo che racchiude in sé non solo il dramma di essere stato rimosso ma anche di essere stato luogo di terribili vicende che siamo soliti personificare nell’immagine di una grande bestia a tre teste: le foibe, l’esodo di massa e i C.R.P. (Centri di Raccolta Profughi). È un giorno per raccontare, per testimoniare, per dare voce a quanti sono rimasti in silenzio, andando per le scuole, tenendo conferenze, organizzando incontri o persino andando in onda su canali televisivi locali e nazionali. È di per sé una preziosa opportunità per ripristinare un passato troppo a lungo taciuto e restituire dignità morale a coloro che ne sono stati sventurati protagonisti”.
L’istituto da lei diretto si occupa di recuperare, conservare, studiare e sviluppare ogni tratto della popolazione istriana, fiumana, dalmata. In che modo?
“Dal momento della sua fondazione l’I.R.C.I. è votato al restauro, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-culturale della popolazione istriana-fiumana-dalmata e si propone, quindi, di promuovere idonee iniziative riguardanti sia ogni aspetto etnologico, demografico e demologico delle terre dell’Istria, Quarnero e Dalmazia, sia ogni espressione letteraria, artistica o architettonica di suddette terre, che ogni aspetto della loro storia, seppure con particolare attenzione alle vicende del Novecento e alle tematiche attinenti l’esodo. Ne consegue che l’I.R.C.I. espleta, innanzitutto, i propri fini istituzionali in merito al recupero e conservazione del patrimonio culturale delle popolazioni dell’Istria, Quarnero e Dalmazia attraverso l’ampliamento e l’organizzazione sia della propria biblioteca, che a oggi vanta più di 10.000 titoli, sia del proprio archivio a carattere storico - etnografico, che di per sé costituisce un prezioso e ricco centro di documentazione. L’Istituto, poi, attua la propria missione in termini di studio e sviluppo della storia e della cultura della gente istriana mediante una cospicua attività di ricerca ed approfondimento, che trova poi espressione sia in seminari e convegni di studio, di cui l’ultimo, recante il titolo “Visioni d’Istria, Fiume, Dalmazia nella letteratura italiana”, ha avuto luogo il 7 e 8 novembre 2019, sia in pubblicazioni, che dal 1992 sono quasi arrivate alla quota duecento”.
Quali le più importanti?
“Sono sicuramente degne di nota le collane “Studi e memorie dell’Irci” e “Tempi & Cultura”, riviste che, redatte e prodotte dallo stesso Istituto, intendono rivolgersi a un pubblico vasto, proponendo una serie di articoli che spaziano nel vasto concetto antropologico di cultura. Infine, per tener fede agli obiettivi di promozione e valorizzazione del patrimonio storico, etnografico e culturale della Venezia Giulia e Dalmazia, l’I.R.C.I non solo incentiva manifestazioni folkloristiche, musicali o teatrali, come il fortunato spettacolo “Magazzino 18”di Simone Cristicchi, ma cura anche l’allestimento di mostre e rassegne espositive, che prendono vita al piano terra del Civico Museo della Civiltà Istriana – fiumano – dalmata in via Torino 8 e che vedono in alcuni casi anche la collaborazione di istituti similari. Ultima in termini temporali ma non certo per importanza la mostra dedicata ai 150 anni della Modiano che, inaugurata il 1 agosto del 2020, intende rendere omaggio al segno indissolubile di un marchio inconfondibile della Venezia Giulia”.
Dopo l’Esodo istriani, fiumani e dalmati si sono dispersi in ogni parte del mondo. Oggi questa popolazione da quante persone è formata e in quali aree è maggiormente dislocata?
“Da esule diventare emigrante. Un altro dramma nel dramma. Prima abbandonare la propria casa, la propria terra; rinunciare ai propri averi, ai propri beni, ai propri ricordi; lasciare indietro, a volte, anche i propri cari, troppo vecchi o troppo legati al loro paese, alla loro città, per separarsene, e partire, partire per restare italiani. Poi ricongiungersi con la Madre Patria e trovare un’accoglienza fredda, indifferente, insofferente; trovare i C.R.P. – Centri di Raccolta Profughi – dove la vita è scandita dal ritmo delle file: file per i pasti, file per i bagni, file per le docce… Ed è allora che si preferisce, con coraggio, compiere un altro grande salto nel vuoto. Emigrare. Passare dalla condizione di esule allo status di migrante. Due concetti così vicini da essere scambiati per sinonimi ma la cui differenza, per quanto sottile possa sembrare, è di per sé abissale. L’esule è colui che è costretto ad abbandonare la propria terra per non farvi più ritorno. Il migrante, invece, compie una scelta; una scelta difficile, dolorosissima, terribile, ma è pur sempre una scelta. Decide di lasciare la propria casa e scommettere sul proprio futuro, trasferendosi in un paese straniero o sbarcando persino su un altro continente. E proprio così fece una grande fetta degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Dei circa 350 mila che lasciarono le terre dell’Istria, Quarnero e Dalmazia tra il 1943 e il 1954, ben 80.000 prolungarono il proprio esodo, emigrando ai quattro angoli del mondo, in Belgio, in Gran Bretagna, in Australia, in Sudafrica, in Argentina, in Brasile, in Uruguay, in Venezuela, in Canada e così via”.
Come furono accolti?
“Tutti questi sono paesi dove gli esuli giuliano-dalmati si sono ritrovati a lottare con una lingua straniera, una cultura sconosciuta e un ambiente estraneo, formato da usi e costumi del tutto differenti, al solo scopo di potersi inserire ed affermare in un nuovo contesto sociale. In fin dei conti, l’aria che si respirava in quei paesi non era tanto diversa da quella respirata in Italia: gli esuli erano e restavano agli occhi dei loro nuovi concittadini dei profughi, venuti a “strappare” il latte e il pane ai loro figli e “rubare” i già pochi posti di lavoro disponibili. E così dovettero rimboccarsi le maniche, ricominciare daccapo, accontentandosi anche di svolgere lavori umili, come andare nei a tagliare le canne da zucchero, e ricostruirsi una nuova vita, senza mai dimenticare le proprie origini. Ecco perché, ancora oggi, questi stessi paesi sono i luoghi dove le comunità di esuli italiani dalle terre dell’Istria Quarnero e Dalmazia tentano, per quanto dispersi nel mondo, di mantenere integro il proprio patrimonio storico-culturale attraverso le molteplici attività organizzate dai loro circoli, come, per esempio, i circoli dell’Associazione Giuliani nel Mondo”.
Qual è il legame di queste persone con le loro origini e la loro storia?
“Casa è sempre casa. È quel pezzo di terra che si porta nel cuore. È una parte intrinseca del nostro essere; è quel che ci rende ciò che siamo. È il luogo dove si nasce e dove si affondano le proprie radici; è il luogo dove si cresce, dove si forma la propria identità; è il luogo dove si vorrebbe vivere per sempre. Eppure non sempre va così. Non è andata così per le popolazioni italiane dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia, che si sono ritrovati ad abbandonare le proprie terre per pagare il prezzo della sconfitta dell’Italia. Ecco perché molti esuli istriani, fiumani, dalmati si ritrovano spesso nell’immagine di un albero sradicato. Il loro corpo, il loro tronco, continua a sopravvivere altrove, per quanto lacerato, ma le loro radici rimangano strenuamente ancorate a quel pezzo di terra di cui si conosce ogni imperfezione ma di cui ormai non si riconosce più l’odore, il sapore, la forma. Ed è così. Gli esuli sono proprio degli alberi sradicati dal loro passato e scaraventati con forza in un presente che sa più di nuovo che di quotidiano. Eppure sono stati – e lo sono ancora – degli uomini e delle donne eccezionali. Hanno manifestato e protestato pubblicamente perché avevano perso tutto; hanno raccontato ai figli e ai nipoti la loro tragedia perché non venisse dimenticata; hanno lottato contro una società ostile e hanno ricostruito da zero, magari altrove, ma hanno avuto successo. Alcuni sono persino diventanti dei personaggi di spicco nel mondo dello sport, come il pugile Nino Benvenuti, nel mondo del cinema, come l’attrice Alida Valli, nel mondo della moda, quale lo stilista Ottavio Missoni o nel mondo della musica, basti pensare al violinista Uto Ughi. Altri ancora si sono distinti nell’ambito letterario, come lo scrittore Fulvio Tomizza, o nell’ambito imprenditoriale, come la famiglia Luxardo o la famiglia Bracco. Insomma hanno combattuto a lungo ma ce l’hanno fatta. Una parte almeno. Perché poi – come ogni medaglia – c’è sempre una controparte, di cui a volte si preferisce non parlare ma che di per sé non è di poco conto. È la faccia della sconfitta, del silenzio, dell’oblio; è la faccia di chi non è riuscito a raccontare, di chi si è chiuso nel proprio dolore. E quando non si parla è perché si vuole nascondere qualcosa. E così molti esuli istriani-fiumani-dalmati non hanno parlato perché ormai si sentivano uomini e donne senza più una propria identità”.
L’I.R.C.I. coordina anche l’attività inerente al Magazzino 18 a Trieste: cosa si desidera trasmettere attraverso questo luogo?
“Magazzino 18 è il simbolo materiale, concreto, che si può toccare con mano del momento lunghissimo dell’esodo istriano-fiumano-dalmata. È qualcosa di unico, che non si può trovare altrove. Magazzino 18 non è né tantomeno vuole essere un museo; è solo un magazzino del Porto Vecchio di Trieste dove le masserizie degli esuli istriani-fiumani-dalmati sono state ammassate l’una sopra l’altra e lì sono rimaste per oltre cinquant’anni. Ma è proprio nell’infinità ripetitività di oggetti di vita quotidiana, tutti uguali tra loro, che prende corpo il senso della tragedia del popolo giuliano-dalmata. Questi oggetti, infatti, non hanno senso se presi singolarmente, perché sono oggetti che si possono trovare anche a casa dei nostri nonni; questi oggetti acquistano significato solo nel loro insieme perché danno misura dello svuotamento delle case, dei paesi, delle città, perché trasmettono l’immagine di un abbandono in massa di una terra. Ecco perché le masserizie hanno un valore morale, un valore simbolico altissimo, poiché sembra di entrare in quelle case, di quella gente, in quelle città, in quei paesi, prima dell’esodo. Eppure Magazzino 18 è il risultato di un esodo. Il Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste è, quindi, una perfetta fotografia della quotidianità della società istriana che, come quella di Pompei, si interrompe bruscamente in un preciso momento storico, quello dell’esodo. Qui è depositato tutto quello che la gente dell’Istria si è portata via, compreso l’ultimo oggetto, magari comprato il giorno prima di partire, ma non c’è nulla del giorno dopo. Tutti quegli oggetti mai ritirati, ammassati in file infinite, come a scandire un ritmo quasi monotono, sono, sì, testimoni della cultura istriana, fiumana, dalmata ma sono anche simboli dell’Esodo, da intendersi non solo in termini specifici come la diaspora giuliano-dalmata ma anche in termini universali”.
Sempre a Trieste I.R.C.I. gestisce il Civico Museo della Civiltà Istriana Fiumana e Dalmata: cosa si trova al suo interno?
“Allo scopo di tener fede alla propria missione di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle popolazioni italiane dell’Istria, Quarnero e Dalmazia, l’I.R.C.I., grazie ad un accordo con l’Amministrazione comunale di Trieste, ha trovato nell’immobile di via Torino 8 non solo uno spazio adeguato alla collocazione dei propri uffici - archivio e biblioteca compresi - ma anche e soprattutto un edificio adatto ad ospitare un museo dedicato alle terre dell’Adriatico orientale, che vengono raccontate attraverso la loro storia, le loro culture, le loro tradizioni e i loro costumi. Nello specifico, il museo si articola in 11 sale tematiche che, distribuite lungo due piani, propongono un viaggio nel cuore dell’Istria, Quarnero e Dalmazia attraverso una selezione accurata e studiata di fotografie, documenti, opere figurative e letterarie, oltre che delle masserizie degli esuli istriani-fiumani-dalmati, provenienti direttamente dal Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste. Tuttavia, nell’attuale prospettiva abbracciata dall’I.R.CI., il Museo è in procinto di essere accorpato all’insieme di masserizie depositato al sopracitato magazzino portuale in un nuovo allestimento, che prenderà vita nelle sale del restaurato Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste. Ne consegue che l’immobile di via Torino 8 diventerà a pieno titolo la sede ufficiale dell’I.R.C.I., dove, grazie ad un programmato ampliamento ed organizzazione della biblioteca e dell’archivio istituzionale, si potrà dar vita ad un vero e proprio centro di studi, funzionale a conoscere, approfondire e divulgare non solo le tematiche inerenti l’esodo giuliano-dalmata ma anche tutti gli aspetti pluridisciplinari della civiltà istriana-fiumana-dalmata”.
La vostra biblioteca vanta un patrimonio di oltre 10 mila libri. Di che volumi si tratta?
“Dal momento della sua nascita la biblioteca dell’I.R.C.I. è riuscita ad accogliere più di 10.000 volumi dei più vari temi ed argomenti, ponendosi così all’avanguardia per qualunque tipo di ricerca e consultazione. Tale successo è da attribuirsi ai numerosi fondi ad personam che, una volta giunti in Istituto, hanno costruito volume dopo volume il ricco e prezioso patrimonio bibliotecario dell’I.R.C.I. Si tratta, nello specifico, di lasciti, donazioni o persino acquisizioni che rimangono intitolate ai loro benefattori e che costituiscono vere e proprie perle di cultura, come – per citarne alcuni - la produzione completa dello storico Giovanni Quarantotti e del figlio, lo scrittore Pierantonio Quarantotti Gambini, il nucleo di opere del Tommaseo o ancora il corpus dannunziano. Ma di certo è solo con le recenti donazioni di Stelvio Polita e Maria Laura Iona che la biblioteca dell’I.R.C.I. ha acquisito maggior rilevanza, aggiungendo ai propri scaffali un nucleo prezioso di volumi estremamente rari, firmati da grandi letterati giuliani dell’800 e dei primi del ‘900. In particolar modo la cospicua donazione affidata dalla signora Iona all’I.R.C.I. costituisce di per sé un vero e proprio tesoro poiché si compone di circa cinquemila titoli, provenienti in gran parte dalla biblioteca del notaio Camillo Depiera (Antignana d’Istria, 1861 – Capodistria, 1943), che spaziano dall’area giuridica, come il “Bollettino generale delle leggi ed atti del governo per l’Impero d’Austria” (1849-1918) o la raccolta di statuti delle società e imprese di area compresa fra Gorizia, Trieste e l’Istria a cavallo tra ‘800 e ‘900, sino all’ambito scientifico, geografico e artistico, come l’”Atlas Universel” stampato a Parigi fra il 1757 e il 1758 o Le Fabbriche e i Disegni di Andrea Palladio raccolti e illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi (1786)”.
Tra le iniziative promosse dall’I.R.C.I. spiccano i corsi di aggiornamento per insegnanti e i convegni divulgativi. In che modo narrate l’Esodo e le vicende del popolo istriano, giuliano e dalmata affinché non cadano nell’oblio?
“Nonostante uno dei compiti statuari dell’I.R.C.I. sia conservare, studiare e divulgare le vicende consumatesi il secolo scorso lungo il confine orientale italiano, soffermandosi con particolare attenzione sulla tragedia delle foibe, dell’esodo di massa e dei C.R.P. – Centri di Raccolta Profughi, l’Istituto si è anche prefisso di approfondire ogni aspetto relativo alla civiltà istriana-fiumana-dalmata (sia esso archeologico, etnografico, letterario ecc.) ed allargare così il proprio campo di ricerca anche allo studio dei diversi contributi che nei secoli passati le genti delle terre dell’Istria, Quarnero e Dalmazia hanno donato alla civiltà sia italiana che europea. Ed è proprio in virtù di tale obiettivo che nel corso degli anni l’I.R.CI. ha ospitato diversi convegni divulgativi, aventi cadenza annuale e respiro internazionale, che hanno saputo affrontare sia tematiche inerenti le vicende della diaspora giuliana dalmata, quale il convegno “L’esodo giuliano-dalmata nella letteratura” (28 febbraio – 1 marzo 2013), che argomenti letterari, quali “Giani Stuparich. Tra ritorno e ricordo” (20-21 ottobre 2011) o “Letteratura dalmata italiana” (27-28 febbraio 2015). Ne consegue che, sì, la divulgazione della tragedia dell’esodo istriano-fiumano-dalmata sia un elemento portante dell’attività del nostro Istituto, come dimostrano le molteplici visite programmate a Magazzino 18 o le conferenze che organizziamo o a cui siamo invitati a partecipare sul tema della diaspora giuliana-dalmata, ma è altrettanto vero che il compito dell’I.R.C.I. non si limita unicamente al racconto di questa tragica vicenda e degli eventi ad essa connessi ma si amplia anche al racconto tutti gli aspetti che hanno reso tale la società istriano-fiumana-dalmata”.
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