Rinascere e ricominciare in Carnia, nella finzione-realtà del set cinematografico di Paradise del regista triestino Davide Del Degan all’indomani della distruzione vera lasciata dalla tempesta Vaia (ottobre 2018).
Il primo ciak di una storia di spaesamento eroico dopo una necessaria “deportazione” per garantire la vita di un testimone di giustizia che dalla Sicilia viene mandato all’estremo nord del Paese. Calogero, il protagonista, assiste e denuncia un omicidio e viene così spedito il più lontano possibile dalla sua terra, in montagna, via da tutto e da tutti.
Per ambientare e raccontare questa storia di cambiamento e superamento di confini e limiti concreti e astratti, il regista ha scelto le atmosfere di Sauris, dei suoi boschi e del suo lago. Una scelta frutto di lunghi sopralluoghi e studi per entrare in empatia e dialogo con i luoghi e la comunità saurana. Meno di 400 persone che hanno accolto attori e tecnici aderendo alla storia, perché in questa terra difficile nei secoli tante genti hanno trovato una casa dove vivere e crescere, lasciando tracce di sé. La forza della cultura e delle tradizioni si è rivelata duttile ad accogliere una storia che ha registri diversi, serio e ironico-comico, per temi che spaziano dal senso della giustizia alla necessità di ricominciare perdendo tutto, con la voglia di superare i limiti umani e accettare l’incontro con il diverso.
Al regista chiediamo come ha scelto di ambientare la sua vicenda a Sauris di Sopra e di Sotto. «Da triestino – spiega – ho sempre sognato di raccontare storie diverse nei diversi luoghi di questa regione. Ho iniziato a farlo grazie a realtà importanti come il Fondo regionale Audiovisivo e la Film Commission e ora, grazie alla produzione di questo progetto, mi è stata data la possibilità di realizzare questo film immaginato come una porta aperta verso i cambiamenti, non solo di vita ma anche di prospettiva esistenziale. Abbiamo iniziato a girare in condizioni difficili, all’indomani della tempesta che ha flagellato la Carnia e gran parte del nord-est. Ma paradossalmente questo evento tragico ha creato una forte unione fra noi, le genti e il territorio che ci ha ospitato per circa 4 settimane di riprese».
Quanto è durata la preparazione del film?
«Quasi un paio d’anni per individuare i luoghi, studiare il contesto culturale, linguistico ed etnografico di questa zona, così piccola ma grande per elementi di diversità e peculiarità, dal punto di vista non solo naturalistico ma anche di varietà culturali, geografiche e incrocio di culture: tedesca, friulana, italiana e slava».
Che storia racconta Paradise?
«È un percorso di rinascita di un testimone di giustizia che, con atto di eroico coraggio, decide di non nascondersi avendo assistito a un omicidio di mafia. Calogero vende granite in Sicilia, è un uomo semplice mosso da un sincero senso di giustizia che lo sradicherà dalla sua terra per proiettarlo, attraverso il programma di protezione che gli salva la vita, il più lontano possibile dalla sua città e vita. Per questo Sauris ci sembrava perfetto come collocazione, distante dai grandi centri e circondato da monti, il luogo ideale per ricreare il mondo nel quale il protagonista deve adattarsi a vivere, cercando di costruirsi una nuova esistenza».
Il film è una storia di superamento di difficoltà concrete e astratte, per andare oltre confini e limiti che condizionano il vissuto di una persona, offrendo garanzie di solidità, di certezze emotive e psicologiche. Come ha reso questo senso di spaesamento?
«Prima di tutto cercando di comprendere ed entrare nella comunità saurana scelta per l’ambientazione. Una realtà di persone e storia percorse nei secoli da molteplicità di lingue e culture, unite dal rispetto e dall’accettazione dell’altro. Il nostro percorso è stato magico perché abbiamo approfondito la conoscenza con questa terra sorprendente e siamo entrati in questa famiglia-comunità che ha nel DNA la capacità e la volontà di accogliere chi arriva dal mondo, anche se distante. Si è creata un’energia condivisa fra paesani, attori e tecnici: non esagero dicendo che in poche settimane è nata una grande famiglia. Alla fine delle riprese poi ognuno è tornato alla sua vita ma la stessa atmosfera si è manifestata quando, dopo i mesi necessari per il montaggio, ci siamo ritrovati all’anteprima nazionale in occasione del Trieste Film Festival. Questa è la magia del cinema: si creano relazioni forti in poche settimane che poi possono anche finire, ma rimangono nel vissuto di ognuno».
Che cosa avete approfondito della realtà saurana e inserito nel film?
«Tutto quello che poteva far vivere l’atmosfera di Sauris; dal punto di vista linguistico l’uso del dialetto che ha origini nel tedesco del XIII secolo, mescolato al friulano, allo sloveno, all’italiano e al siciliano del protagonista. Le tradizioni culturali come la produzione e uso delle maschere intagliate nel legno e il rapporto con la natura dei boschi e del lago, ma anche il senso della famiglia che qui si respira forte, oltre al rispetto dell’altro venuto da lontano».
Le atmosfere che avete riscontrato sono state capite?
«Direi di sì: fino a oggi è stato presentato con successo al Torino Film Festival e a Pusan, in Corea, uno dei mercati e festival più importanti dell’Oriente. Il film è stato capito e molti hanno voluto sapere di più di Sauris, dove si trova e quali sono le radici delle sue tradizioni. In particolare le maschere, cui è dedicata una scena molto importante nel film, hanno riscosso forte interesse».
Sauris è terra di confine geografico: questa peculiarità ha aiutato a mettere in scena i confini e i limiti da superare per accettare di lasciare tutto per l’ignoto?
«Questo è un altro tema del film: la volontà, la capacità e difficoltà di conoscere e supere i confini e i limiti che ognuno di noi ha, coscientemente o meno. Il Friuli Venezia Giulia è terra di confini che, soprattutto negli ultimi anni, ha saputo fare delle diversità una forza di crescita. Siamo fortunati: siamo piccoli, un puntino rispetto all’Europa, ma abbiamo così tante ricchezze. Per questo siamo una terra dove si raccontano molte storie e molti registi vengono da noi per raccontare le proprie».
Le sue storie, i suoi film non potrebbero dunque nascere altrove?
«Ognuno deve seguire i propri impulsi, il mio primario è di cercare le diversità nella terra che conosco meglio. Quindi possiamo dire che qui nascono le mie narrazioni».
Dove si è documentato per il film?
«Ho parlato con dei magistrati e fatto ricerche bibliografiche. C’è molto materiale ricco di elementi reali sulla vita dei testimoni di giustizia che, sradicati, si ritrovano senza punti di riferimento. Quando arrivano in una destinazione sicura assumono altre identità; senza un passato e un curriculum difficilmente trovano un lavoro. Diventano non persone, fantasmi anche per la burocrazia. Impensabile per il nostro protagonista poter vendere granite come faceva in Sicilia, ma anche difficile fare altro. La nostra comunque è una storia di fantasia senza riferimenti a persone reali».
È già pronta una nuova storia?
«Sto lavorando a vari soggetti che hanno come live motive una storia d’amore, ma nessuna mi ha fatto ancora innamorare».
Laureato in Scienze Politiche all’Università di Trieste, Davide Del Degan inizia a lavorare come cameraman in diverse produzioni documentaristiche per tv regionali e nazionali, partecipando a diversi film come assistente alla regia, lavorando anche come montatore per documentari e programmi tv regionali. Alla fine degli anni ’90 l’esordio alla regia, seguito da una lunga formazione internazionale che spazia dall’Acting Center di Lubiana ai seminari di fotografia di Dante Spinotti e di Greta Seacat, di cui è stato anche assistente, ma anche seguendo workshop di registi internazionali. Ha diretto diversi corti e mediometraggi, tra i quali Interno 9, Habibi, Il prigioniero. L’ultima spiaggia del 2016 è stato presentato a Cannes.
Candidato al David di Donatello nel 2004 con Interno 9, sezione cortometraggio, ha vinto l’Hellenic Film Academy Award per il miglior documentario. Collabora con la Compagnia ArteffettoDanza per la quale ha realizzato il video per gli spettacoli teatrali Farewell e Q - la vertigine della fantasia. Paradise è il suo primo lungometraggio.
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