Il vento freddo che spira dall’Asia ci coglie di sorpresa. Anche ad Amman il mese di gennaio ci ricorda che siamo in inverno, sebbene soli cento chilometri dividano la capitale della Giordania dal clima ben più mite del Mar Morto.
Nonostante la temperatura rigida, la bellezza di questa città di oltre un milione di abitanti (poco meno di un sesto dell’intera popolazione del Paese) si dischiude ai nostri occhi senza timori reverenziali. Come senza timori scorre la coesistenza pacifica tra la maggioranza musulmana (il 95% del popolo) e la minoranza cristiana.
Se dovesse servire un’immagine simbolo da diffondere in tutto il Medio Oriente, Amman sarebbe in grado di accontentare le esigenze iconografi che più complesse.
Per comprendere il mio pensiero è sufficiente una visita alla maestosa Moschea di Re Abdallah, dall’imponente cupola blu e dalla forma ottagonale. A colpire non sono solamente i due alti minareti che la affiancano, ma la chiesa cattolica situata dall’altra parte della strada, quasi a sottolineare il dialogo pacifico e costruttivo ormai instaurato tra i fedeli delle due religioni.
La minoranza cristiana risulta infatti molto stimata sia per l’apporto che fornisce alle attività culturali sia, e soprattutto, per il sostegno alle opere sociali, in particolar modo l’assistenza ai profughi.
Proseguendo nel centro della capitale, saliamo sulla collina di Jabef al-Qala dov’è possibile ammirare l’antica Cittadella e visitare il Museo archeologico, con reperti provenienti da tutta la Giordania. Al suo fianco si ergono le colonne con architrave (ora restaurate) appartenenti al grande tempio romano di Ercole, che un’antica scritta collega a Marco Aurelio.
Durante i primi scavi effettuati nel 1927, invece, venne scoperta la piccola chiesa bizantina a tre navate, con mosaici del VI-VII secolo posizionati in quella centrale. E a nord della chiesa ecco visibile il grande Palazzo Omayyade, il cui ingresso ricco di decorazioni si ipotizza venisse utilizzato come sala delle udienze. La nostra prima giornata ad Amman si conclude con la visita al maestoso Anfiteatro Romano.
L’indomani è tempo di mettersi in marcia: destinazione l’antica città greco-romana di Jerash, per un tragitto di trenta chilometri. L’antica Gerasa è la capitale dell’omonima regione giordana, nel nord del paese; nell’antichità, assieme ad altre nove città, fece parte della Decapolis: un sodalizio commerciale e militare che garantì fulgido splendore nei primi anni dell’epoca cristiana. Grazie alla presenza del fiume Wadi Jerash, le prime tracce di abitanti risalgono addirittura al Neolitico.
I resti che tutt’oggi affiorano dai siti archeologici, d’altronde, secondo gli studiosi appartengono a un ventaglio storico aperto dall’età del bronzo a quella romana. Ai tempi di Adriano, nel 130, la città contava circa 20 mila abitanti. Una crescita che si arrestò con la modifica delle vie di comunicazione: quando le rotte marine che collegavano la città con l’Oriente vennero sostituite da quelle terrestri, infatti, la decadenza divenne inesorabile.
Lo scenario tutt’attorno muta radicalmente proseguendo verso Ajilun, attorniata da una vasta foresta di pini. Questa imponente area verde dominata dall’alto dal maestoso Castello degli Ayyubidi, ha rappresentato un luogo inespugnabile, dove perfino i Crociati furono costretti alla resa otto secoli fa. Il maniero fu fatto costruire nel 1184 da uno dei generali di Saladino, allo scopo di controllare le locali miniere di ferro e scongiurare eventuali invasioni da parte dei Franchi. La sua inespugnabilità ha così garantito per lungo tempo la protezione delle rotte commerciali tra Giordania e Siria.
Una vetta più alta e ancora più affascinante è quella che raggiungiamo il giorno seguente: 817 metri sul livello del mare, il Monte Nebo. Fu qui sopra, secondo quanto riportato nel Deuteronomio, che Mosè ebbe la visione della Terra Promessa che Dio aveva destinato al suo popolo. E sempre su questo monte, secondo le tradizioni ebraico-cristiane, lo stesso Mosè venne sepolto. La certezza, ai giorni nostri, è il panorama sulla Terra Santa e sulla Valle del Giordano ammirabile da qui. Nelle giornate più nitide, si riescono a scorgere anche le città di Gerico e di Gerusalemme.
Gli incontri con la storia sono però solo all’inizio. Riprendiamo il viaggio lungo la Kings’ Highway, una pista solcata da 5.000 anni, percorrendo uno degli itinerari più memorabili della Terra Santa, che conduce a città dall’origine antichissima. La prima di queste è Madaba, la città dei mosaici. Il più famoso è situato all’interno della chiesa ortodossa di San Giorgio: un mosaico bizantino del VI secolo che rappresenta Gerusalemme e altri luoghi sacri. Con una mappa di 25 metri per cinque, era formato da circa due milioni di tessere di pietra colorata, di cui solo un terzo hanno resistito fino ad oggi.
La tappa seguente ha un nome che non necessita altre precisazioni: Petra. Indescrivibile è invece l’emozione suscitata dalle note della musica di Indiana Jones che accompagna l’arrivo alle sue rocce monumentali.
“Immenso, echeggiante e divino” furono invece le parole utilizzate da Thomas Edward Lawrence, per tutti Lawrence d’Arabia, per descrivere Wadi Rum. Un luogo stupefacente, dai paesaggi incontaminati, dove il tempo e il vento hanno scavato nella roccia imponenti e maestosi grattacieli. Un dedalo di formazioni rocciose monolitiche che si innalzano in un territorio desertico fi no ad altezze di 1.750 metri, divenendo una sfida naturale anche per gli scalatori più esperti. Coloro che amano semplicemente camminare possono invece godersi la tranquillità di spazi sconfinati, esplorare canyon e pozzi d’acqua o scoprire disegni scolpiti sulla roccia oltre 4.000 anni fa. In quest’atmosfera magica la sera degustiamo la cena seduti nelle tipiche tende locali, ascoltando le nostre voci amplificate tra le pietre millenarie.
Ma le emozioni non sono ancora finite. L’indomani raggiungiamo infatti le rive del Mar Morto per un’esperienza irripetibile in qualunque altro luogo del pianeta. Spiegare a parole la salinità di queste acque è impossibile, così come far comprendere cosa si prova a stare a galla senza muoversi, addirittura in difficoltà nel cercare di rimettersi in posizione eretta. L’acqua troppo salata impedisce la formazione di qualsiasi forma di vita, eccezion fatta per i batteri (da qui il nome Mar Morto). Si tratta di un mare chiuso, con alcuni fiumi come immissari, ma senza alcun emissario. La sua salinità aumenta con la profondità: a 40 metri risulta essere dieci volte superiore a quella degli oceani; verso i 100 metri viene raggiunto il punto di saturazione e il sale precipita accumulandosi sul fondo del mare. Queste acque, le cui qualità curative erano già note ai tempi dei Romani, vengono tutt’oggi utilizzate per la produzione di cloruro di potassio. Il fango della spiaggia viene invece condiviso dai turisti per “dipingersi” la pelle e scattare le immancabili foto ricordo.
Il giorno successivo ci attendono momenti fortemente simbolici. Difficile aggiungere altro quando si percorre la Valle del Giordano. Il silenzio avvolge i nostri passi mentre camminiamo lungo le strade di Betania, verso il punto in cui, secondo i Vangeli, Giovanni Battista ha battezzato Gesù Cristo. Ci si potrebbe aspettare di imbattersi in un corso d’acqua impetuoso, invece il Giordano è un fiume largo non più di cinque metri.
Un fiume di storia, ma anche di confine. Sull’altra sponda vigilano infatti, all’apparenza invisibili, i soldati israeliani. Ad osservare anche loro, poco distante, c’è il Colle di Sant’Elia, in onore del profeta che da quest’altura ascese al cielo su un carro di fuoco. Un luogo simbolo per il sacramento del Battesimo: qui sorgono i resti di un monastero bizantino con chiese, ampie vasche battesimali e un sistema di serbatoi per l’acqua. E sempre qui, un edificio del III secolo, impreziosito da un mosaico pavimentale, è stato probabilmente uno dei primi posti al mondo dedicato alla preghiera dei cristiani.
Il viaggio sta per finire. L’ultimo giorno in Giordania lo trascorriamo nella città di Aqaba, lungo le vie trafficate del mercato locale, tra i bazar e le boutique. Su una bancarella avvisto un cavallo in metallo che un astuto mercante tenta di vendermi per argento. Declino e mi allontano. Come usanza, l’uomo mi segue iniziando a contrattare sul prezzo di partenza: 100 euro. Dopo un trattativa tanto estenuante quanto divertente, acquisto il monile per 5 euro. E seppur con il sorriso sulle labbra, dentro di me si fa largo una convinzione: alla fine, tra i due, l’affare non l’ho fatto io.
Commenta per primo