Il poeta marchigiano Fabio Strinati ha voluto dedicare ad Alessandro Boris Amisich, musicista di origini istriano dalmate nato a Udine e scomparso nel 2008. A dieci anni dalla sua morte, Strinati ha voluto dedicargli una poesia scritta con il Lipogramma, senza utilizzare la lettera D.
Perché una poesia dedicata ad Alessandro Boris Amisich?
“È il minimo che io potessi fare: Alessandro è stato un musicista di ottima levatura, un artista di livello perentorio in grado di far sospirare la chitarra senza nessun artifizio, e come uomo, si è spinto persino oltre. È stato in grado di distribuire altissima e genuina sensibilità attraverso il solo sguardo, e come chitarrista è stato a dir poco geniale”.
Qual è stato il suo rapporto con il musicista scomparso?
“Ho sempre considerato Alessandro un maestro di assoluto livello e un modello da seguire sotto ogni punto di vista. Un maestro raffinato, un concertista dalla maestria assoluta: il suo pensiero musicale non ha avuto confini e come musicologo ha saputo curare la sua ricerca curando ogni minimo dettaglio, ma senza scendere nella maniacalità. Un autentico professionista, un esempio veritiero”.
Qual è il ricordo più significativo che ha di lui?
“La sua passione sterminata per le note musicali e il costante impegno che metteva nella sua professione. Amava i giovani Amisich e il suo metodo di insegnamento era pacato, calmo, preciso, così ordinato, che metteva perfino soggezione. Con lui riuscivi a captare persino gli odori di una melodia”.
Che messaggio desidera trasmettere con questo testo?
“In realtà il testo è ispirato alla chitarra preferita di Amisich, una LeBlanc francese costruita nel 1824. Uno strumento d’epoca elegante, dal fascino ineguagliabile; sicuramente, il messaggio è da ricercare all’interno di questa dimensione così lunare e fluttuante... così profondamente surreale, sistematicamente distante”.
Il testo è stato scritto con il Lipogramma, senza utilizzare la lettera D. Perché questa scelta?
“Dolore costante, Dispiacere enorme, Desolazione indescrivibile. Alessandro ci manca Davvero tanto, tantissimo”.
Il musicista
Suono nella notte
lamina sottile,
gitante armonica
chitarra sulla soglia
in rime l’abito
giornèa filo al vetro
luminoso,
che spazia e tratteggia
fittézza l’animo
alunno che scruta
oltre la matassa
e si riflette, il tuo perigònio
ora nel cielo ambrato.
*
Sensibile ampio cuore
ribolle corale
ora venusiano essere
taumatùrgico, colore immagine
nota asciutta i polpastrelli
in una sécchia assoluta
esperta risuona e s’infila:
sfuggono pensieri
sul pentagramma sforzi...
una pena afferra pane
nel cesto quantizzare
pùlica, assortita trama
ne rimane asfissìa.
*
Gli occhi solisti
luce un fascio palpita
ptòsi e vibra vertigine,
al tocco una eco
febbrile stanza
pianoforte spigolo scava
in un’ombra l’ebulliòmetro
foglio su foglio
una spina alcolica, scolorisce
scala il tuono smarrita trave
s’apre naviga la cavatina.
*
Spifferi cameristici
o verticali flauti,
orizzontali tabelline
o cèbo acrobatiche
scimmie linee
sopra partitura
è l’impronta sacra: l’alba un’ala
scuote bolèto o la falena
macchia tracce sulla sera
l’orchestra graffia,
sonnambulo lo specchio estèta
l’orario metronomo inatteso.
Commenta per primo