Anche quest'estate molti turisti (ben 24 milioni dall'estero) hanno scelto le città d'arte e le spiagge del belpaese come destinazione per le proprie vacanze. Isole e coste del Sud sono state le mete predilette, e il trend sembra rimanere positivo anche per il mese di settembre (periodo dell'anno in cui sempre più italiani organizzano le proprie ferie). Sebbene tutto ciò rappresenti un fattore assolutamente positivo per il settore del turismo, c'è una nota dolente che rimane nello sfondo. Per far sì che anche le generazioni future possano godere di questi paradisi naturali è importante che queste cose vengano preservate da una minaccia che arriva da un mondo spesso poco associato con il bagnasciuga, quello dell'edilizia.
Le radici di questa problematica sono strettamente legate al continuo bisogno di sabbia marina per la produzione del calcestruzzo, fondamentale nel settore delle costruzioni. La sabbia proveniente dalle coste è l'unica capace di aggregarsi con il cemento, mentre quella proveniente dal deserto è troppo liscia e tondeggiante per servire lo scopo. Non c'è da stupirsi, quindi, se anche una città come Dubai, in pieno deserto, abbia bisogno di sabbia proveniente dall'Australia per le sue mastodontiche costruzioni.
Nonostante sia innegabile il bisogno di strutture abitative e infrastrutture, specie a fronte della continua urbanizzazione, se si continua con il ritmo corrente dell'estrazione, le spiagge potrebbero essere molto presto un mero ricordo del passato (addirittura entro la fine del secolo). A sostegno di questa nefasta ipotesi c'è il caso della Cina, capace di utilizzare nel biennio 2016-17 più cemento di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti nell'arco di tutto il XX secolo.
La riduzione del bagnasciuga ha la sua ragione principale nel divario che c'è tra i crescenti ritmi delle estrazioni e il lento ciclo naturale di sostituzione della sabbia. Un granello può impiegare dai 100 ai 1000 anni per arrivare dalle rocce erose alle coste; tempi inimmaginabili se si vuole tenere il passo con il settore edile.
Trovare una soluzione a questo problema è un compito arduo, dato il conflitto d'interessi tra le nazioni e il mercato nero che si espande a macchia d'olio. In molti lavorano all'elaborazione di materiali alternativi, prendendo in considerazione anche l'opzione del riutilizzo del calcestruzzo, una volta demolita una struttura preesistente. A queste soluzioni alternative va aggiunta l'idea che l'argilla possa essere un valido sostituto, come anche la polvere di vetro o la millenaria tecnica del pisé.
La strada è sicuramente in salita, ma la speranza che si possa trovare una via d'uscita è ancora presente (che sia con un'alternativa o con politiche votate alla sostenibilità).
Per fonti e dati, e una panoramica sul tema, si può consultare il report elaborato da Trademachines.
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