Madonna di strada e la devozione popolare
L’affascinante chiesa campestre di Madonna di Strada a Viscone ci racconta di una fede antica e di un luogo di passaggio dove trovava posto anche un ospitale per malati e pellegrini retto dall’ordine dei Templari. Legato a questo luogo anche il voto fatto dalla popolazione locale [i capi famiglia] e decretato ufficialmente dall’arcivescovo Francesco Borgia Sedej nel 1919, che doveva e deve tutt’oggi essere sciolto il lunedì dopo Pentecoste. Un voto che lega le genti di Viscone al santuario di Madonna di Strada, un ringraziamento sentito alla Madonna per la salvezza del paese che non subì gravi devastazioni durante i quasi cinque anni dell’atroce primo conflitto mondiale e un ricordo per chi non è tornato dalla guerra. Proprio il lunedì dopo la Pentecoste venne stabilito quale momento migliore per ritrovarsi come famiglia e comunità cristiana e così scriveva nel suo decreto l’arcivescovo Sedej: “Ai Venerabili Vicari, circa l’adempimento del voto che si obbligarono i capi famiglia di costì, permetto che ogni anno si tenga una processione votiva alla Chiesa della “Madonna di Strada”; si celebri ivi la Messa bassa o cantata, si ritorni alla Chiesa vicariale ove dipoi si potrà esporre il Ss.mo, impartire la benedizione solenne con il Santissimo”.
Ma questo è uno dei segni recenti di devozione del santuario di Madonna di Strada della cui remota origine non si hanno che poche tracce, infatti questo luogo è stato sempre venerato e riconosciuto come santo: sono innumerevoli le indulgenze papali e gli ex voto per grazia ricevuta che riempiono le mura del presbiterio. Si racconta che nella chiesa trovarono sede i cavalieri Templari; così scriveva il professor Nilo d’Osualdo di Chiopris nel 1986: “I Templari arrivarono alla chiesetta di Viscone sul tramonto del 14 agosto 1150. Scesi da cavallo e cedute le briglie ai servi ben allineati, in attesa e pronti a riceverle, si mossero su due file con davanti il prete che reggeva il vessillo. Dopo aver slacciato dalla cinta la spada, la reggevano davanti al petto, come una croce. Entrarono in chiesa, raggiunsero il presbiterio e si disposero in piedi quattro per lato. Il sacerdote salì all’altare e vi collocò al centro il vessillo. Sceso s’inchinò lungamente, seguito dall’inchino di tutti gli altri. Poi, tutti eretti nella persona, intonarono in tedesco un canto di lode alla Vergine. Finito il canto il sacerdote iniziò, in latino, la litanie dei santi: alle singole invocazioni del sacerdote il coro rispondeva ora pro nobis”. Lo stesso d’Osualdo ricordava che i Templari rimasero a servizio dei pellegrini sul tratto di strada che collegava Aquileia a Cividale per quasi due secoli, dal 1150 al 1312, e che i primi nove Templari “vennero sepolti a fianco della chiesa, vicino a quella Madonna di Strada alla quale si erano consacrati con un giuramento d’amore feudale e religioso”.
I Templari a difesa dei viandanti
I Templari erano coadiuvati da dei servi che vivevano separatamente e divisi dalla strada. Tutto ciò che serviva alla vita materiale era compreso dentro un recinto in muro al di là della strada. Al di qua, tutto intorno alla chiesetta, si apriva una serie di vani in forma di chiostro. All’esterno la costruzione appariva come una cinta di mura con delle finestre rettangolari molto alte e protette da inferriate. Unica apertura un robusto cancello di ferro in corrispondenza della porta d’entrata della chiesetta. Il cancello era sempre bloccato dall’interno; restava aperto solo le domeniche e gli altri giorni festivi durante la messa perché potessero accedere i servi e gli estranei. La compostezza immobile e statuaria degli otto Templari in piedi nel presbiterio, quattro per lato, creava un’atmosfera di severità che non permetteva rumori o disturbi da parte degli estranei, che assistevano alla messa stando nell’aula. Severissimi con sé stessi, i Templari esigevano sempre severità da parte di tutti. Orari precisi e cadenzati regolavano la vita dell’Ordine dovunque esso si trovasse sparso nell’Europa, così anche a Madonna di Strada. Puntuali e metodici, alle cinque, quattro Templari uscivano dalla porta della chiesetta, un servo aveva già spalancato il cancello; quattro servi tenevano per le briglie quattro cavalli lucidi e scalpitanti. Senza una parola, cedevano le briglie ai Templari, che, saliti in groppa, partivano al galoppo. Al più presto possibile dovevano giungere due nelle vicinanze di Cividale, altri due in quelle di Aquileia. I commercianti e i viandanti in genere usavano coprire quella distanza in un giorno, con una fermata sul mezzogiorno a Viscone presso la casa messa a loro disposizione dai Templari e utilizzavano solo le ore di luce per il viaggio. La notte faceva paura perché si prestava alle insidie dei banditi.
Il ritorno alla sede poteva essere al passo o al trotto a seconda delle necessità di seguire o tener d’occhio i viandanti del giorno. Al contrario avveniva per il turno del pomeriggio. Partivano al passo o al trotto, sempre per accompagnare o seguire eventuali viandanti, ma sul tramonto, quando generalmente si trovavano rispettivamente vicino ad Aquileia o vicino a Cividale, ripartivano al galoppo per essere presenti a tempo debito all’incontro serale delle venti in chiesa, per ringraziare la Madonna per il giorno appena trascorso. Non abbandonavano mai la strada e non scendevano mai dal cavallo, né mangiavano né bevevano. Raramente parlavano tra loro, mai si intrattenevano con i viandanti, salvo la necessità di farlo o perché interpellati. Se serviva l’aiuto di altri, uno restava sul posto e l’altro o si rivolgeva al villaggio vicino o rientrava alla sede per condurre con sé i servi e i mezzi che la situazione richiedeva. Se non era proprio necessario, si astenevano al massimo di intervenire personalmente nell’aiutare i viandanti, dai quali si tenevano sempre appartati. Però, se potevano sembrare indifferenti per le comuni necessità, quando si profilava o si presentava un pericolo di aggressione, si scatenavano con una decisione e una violenza temerarie. Sembrava non temessero i pericoli, anzi li volessero cercare anche se gli aggressori erano numerosi. Spesso qualcuno ci rimetteva la vita, senza che ciò provocasse emozione o dolore da parte dei compagni. Era come se fossero da sempre preparati alla morte e che morire fosse il coronamento della loro esistenza e del loro onore.
I banditi li temevano fin da subito, mentre i signori locali ci misero del tempo a comprendere il loro servizio e lo capirono a loro spese. Dopo i primi morti, i Templari fecero capire coi fatti che era pericoloso uccidere uno di loro.
La prima vittima fu il signore del castello di Cormòns che aveva fatto massacrare al guado del Sosò, vicino Manzano, due Templari che la mattina erano diretti a Cividale. I banditi avevano teso un agguato e con le balestre, nascosti nel bosco, avevano colpito cavalli e Templari, assalendoli e uccidendoli. I Templari rimasti, non vedendo rincasare i loro compagni, inviarono dei servi a cercare notizie e dopo essere venuti a conoscenza di ciò che era accaduto inviarono un messaggio scritto al signore di Cormòns dove lo sfidavano a un duello riparatore: per loro non erano colpevoli gli esecutori ma il mandante. Il signore non accettò e poco tempo dopo quaranta Templari con ottanta servi al seguito fecero capitolare il castello e uccisero il vile signorotto dopo averlo costretto a combattere fino alla morte con un cavaliere dell’Ordine scelto a sorte.
I Templari non davano fastidio ad alcuno. Non si intromettevano fra contendenti; non parteggiavano per alcuno.
Scattavano unicamente quando incontravano armati e violenti che aggredivano dei deboli e indifesi. Se venivano richiesti, si prestavano volentieri come intermediari e pacieri, specialmente se a richiederli erano i deboli che pativano un sopruso. Non andavano però in cerca di cause da difendere, avevano il loro compito e quello eseguivano scrupolosamente e assiduamente. Eccettuata la domenica e le altre feste religiose di precetto, durante le quali non uscivano in servizio di perlustrazione, tutti i giorni dell’anno iniziavano il giorno con la sveglia alle 4 del mattino, estate e inverno, pioggia o bel tempo. Dopo la preghiera d’invocazione di aiuto e di protezione alla Vergine, e una sostanziosa colazione, alle cinque partivano per la loro attività. Dopo il pranzo erano di turno fino alle otto della sera, al rientro una breve preghiera in chiesa a ringraziamento della giornata trascorsa. Seguiva la cena durante la quale la comunità si espandeva in una conversazione che poteva essere seria, se trattava di problemi o di programmi, ma anche spiritosa e allegra.
I Templari avevano diversi cavalli ma ognuno ne possedeva uno e lo conosceva per nome, erano legati nell’amicizia e nel servizio fino alla morte, il servo e la spada erano pure personali. Le sette ore libere che a turno avevano nella giornata erano dedicate alla pulizia personale, all’esercizio fisico e alle gare. Erano fanatici della pulizia, portavano i capelli tagliati corti, la barba e i baffi invece erano lasciati crescere liberamente. Si lavavano sempre con acqua fredda che era stata filtrata prima, bollente, attraverso la cenere. Oltre agli esercizi fisici e ai duelli, agli addestramenti nei combattimenti e alla lotta libera, se invitati dal patriarca partecipavano con passione alla caccia, non avendo loro boschi a disposizione.
Accanto alla chiesa di Madonna di Strada i Templari avevano fatto costruire un ampio locale rettangolare a un piano, che veniva usato come luogo di ristoro e di ricovero per la notte a disposizione dei viandanti. Nell’unico grande stanzone c’erano solo diversi sacchi di paglia, un tavolo e diversi sgabelli. Per il servizio indispensabile erano incaricati un paio di servi.
In caso di epidemie o peste o guerre nei paraggi, a turno i servi armati di balestra prestavano servizio di guardia nella zona circostante, vietando a tutti anche di passare sulla strada che attraversava i due settori. Non accettavano ospiti viandanti se c’era un’epidemia o la peste.
Venuta a mancare la ragion d’essere del loro servizio, per la quasi totale paralisi dei traffici e dei movimenti di persone, il controllo sulla strada veniva sospeso. Se la malattia infettiva era grave, diffusa e prevista di lunga durata, i Templari venivano informati dai loro medici, esercitati in Oriente dove la peste era frequente. I Templari per non restare in trappola e dover morire per fame o contagio, quando le scorte stavano per finire, facevano caricare sui muli e sui cavalli quanti alimenti possibili e si avviavano con tutti i loro servi verso il castello-deposito al nord, isolato tra i monti e di proprietà dell’Ordine. Da quello venivano loro gettate le tende e i viveri necessari per sistemarsi. Ogni comitiva doveva accamparsi nelle vicinanze, ma rigidamente separata dalle altre comitive. Ogni contatto arbitrario era punito con la morte. Così se in una comitiva si manifestava il contagio, non danneggiava le altre e veniva subito isolato.
I Templari se ne andarono da Madonna di Strada il 16 agosto del 1312, le genti locali li videro partire diretti verso il nord, ordinati, disciplinati, splendidi nei loro mantelli bianchi. Tutto ciò avvenne per volontà di papa Clemente V che aveva sciolto l’ordine, obbligato da Filippo il Bello che temeva la potenza templare.
A Viscone non possedevano nulla, avevano ottenuto solamente dal patriarca Pellegrino l’autorizzazione di costruirvi i fabbricati e di risiedervi. Sciolto l’ordine, avevano chiesto e ottenuto di entrare nell’ordine dei cavalieri Teutonici che combattevano contro i pagani dell’Europa nordorientale.
Anche i patriarchi friulani si batterono affinché l’ordine non venisse sciolto, il patriarca Ottobono fece parte di una commissione di cardinali e vescovi per evitare lo scioglimento dei Templari, ma la storia ci dice che l’ordine venne scomunicato e mai più risorse.
La chiesa di Madonna di Strada
A tanti secoli di distanza ci restano poche testimonianze e certamente della chiesa originaria di Madonna di Strada si è persa la struttura. Ciò lo notava anche don Beppo Marchetti a pagina 251 del suo libro “Le chiesette votive del Friuli”: “La Madonna di Strada è una costruzione primitiva difficilmente databile: potrebbe risalire al Trecento, ma è quasi del tutto scomparsa sotto le ricostruzioni e i rimaneggiamenti posteriori. Un generale rimaneggiamento con costruzione della facciata e aggiunta del coro pare assegnabile al 1600; altro restauro con ampliamento o apertura di porte, finestre e aggiunta della sacrestia è del 1700”. Ma certamente come ricorda don Albino Bilibio: “Il Santuario di Madonna di Strada è stato sempre un centro di preghiera, di celebrazioni eucaristiche, di varie solennità annuali, per le comunità di Viscone, di Chiopris, di Medeuzza, di Nogaredo al Torre, di Medea, di Jalmicco, di Trivignano Udinese”.
L’ultimo lunedì di Pentecoste, lo scorso 21 maggio, si è aperto un giubileo che vedrà il suo culmine nei primi mesi del 2019, quando verranno ricordati i 100 anni dal ritorno della Madonna di Strada nella sua chiesa (23 febbraio 1919) dopo il doloroso fatto accaduto ai danni della venerata statua della Santa Vergine (che dei ladri mutilarono pesantemente, tagliandole mani e testa), il lunedì di Pentecoste 2019 saranno celebrati anche i 100 anni dall’istituzione del voto che lega i capifamiglia al Santuario.
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