Sorvolare il mare glaciale è oggi una formalità, ma a cavallo tra il XIX e il XX secolo, coraggiosi aeronauti si avventuravano nel più favoloso sbaraglio. Un silenzio di alcune ore, dovuto a cause magnetiche, un fenomeno che si verificò anche nella spedizione del Dirigibile “Italia”. Cesco Tomaselli fu uno dei due giornalisti autorizzati a seguire questa spedizione. Nel 1928 il “Corriere” gli aveva affidato il compito di seguire la nuova impresa del generale Umberto Nobile, soltanto due anni dopo il clamoroso successo della trasvolata dell’aeronave “Norge”, capitanata dal duo Nobile e Amundsen e finanziata dall’aereo club di Oslo, da Lincoln Ellsworth e ovviamente dal Regno d’Italia, cui Tomaselli aveva partecipato come inviato di bordo. Fu allora che, per la prima volta dopo svariati tentativi andati a vuoto, un mezzo costruito dall’uomo raggiunse il punto più estremo dell’emisfero boreale. In 70 ore e 40 minuti era stato compiuto un balzo di 5.300 chilometri dalle isole Spitsbergen (oggi isole Svalbard) allo Stretto di Bering, cioè un “passaggio di nord-est”.
Il noto esploratore polare norvegese ci aveva provato più volte ad arrivarci, anche nel 1925 usando due idrovolanti Dornier, così come Salomon August Andrée, l’ingegnere svedese che nel 1897 sorvolò il Polo con un pallone sferico finendo tragicamente la sua corsa nella morsa di nevi e ghiacci. Degli altri pionieri polari va senz’altro ricordato Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, che nel 1899 raggiunse il Polo Nord con la nave Stella Polare. Tuttavia, a causa di alcuni danni sul veliero, provocati dalla pressione dei ghiacci, la spedizione si ridimensionò, ma fu allo stesso modo in grado di raggiungere via terra gli 86° 34’ di latitudine nord, superando di trentacinque chilometri il primato del norvegese Fridtjof Nansen.
Nel frattempo il generale Nobile, diventato un celebre progettista di dirigibili «più leggeri dell’aria», si convinse di ripetere una nuova trasvolata artica. Le trattative furono relativamente facili perché dietro Nobile c’era il governo fascista desideroso che l’Italia aumentasse il suo prestigio partecipando a un evento di risonanza mondiale. Peraltro il Regime del Littorio aveva contribuito significativamente all’impresa del “Norge”, fornendo personale militare e civile e facendosi pure carico di ingenti somme di denaro (quantificate in oltre 250 mila dollari). Tuttavia, dall’altra parte, era condizionato da uno spirito di rivalsa perché i meriti di quella spedizione non furono mai chiariti. A tal proposito Nobile sosteneva che l’impresa si era risolta in un successo aeronautico, ascrivibile solo alle qualità dell’aeroveicolo e alla condotta di navigazione. Amundsen, contrariamente,
dichiarava che quel risultato era frutto esclusivamente della sua esperienza polare, del suo prestigio di esploratore artico e antartico e che il ruolo di Nobile era stato solo quello di un hired pilot (pilota stipendiato).
A Milano il podestà Belloni, auspicando una nuova spedizione, questa volta tutta italiana, s’impegnò coram populo a sostenerne il finanziamento. Da questo clima germogliò il secondo viaggio polare, sul quale continuò la polemica. Così, grazie all’appoggio di un “Comitato finanziatore” cui parteciparono imprenditori dell’editoria milanese legati al Corriere della Sera, Nobile poté organizzare la spedizione secondo il primitivo intento. Dovette, però, subire delle restrizioni che imposero l’uso della radio anche per i fini editoriali. A tal scopo venne stipulato un accordo con la Reale Società Geografica Italiana. L’esclusività dei collegamenti radiotelegrafici fu garantita dalla nave d’appoggio “Città di Milano” cui era stato attribuito il compito di diffondere le notizie della spedizione dietro compenso, allo scopo di consentire l’ammortamento dei capitali fino ad allora investiti. Altra condizione fu quella che dovessero partecipare anche i due inviati Ugo Lago, del Popolo d’Italia (l’organo del Partito fascista) e de Il Secolo XIX, e Cesco Tomaselli, del Corriere della Sera, quest’ultimo richiamato alle armi col grado di capitano degli alpini.
Alla spedizione, comandata dal generale Umberto Nobile, parteciparono l’ingegnere aeronautico Felice Trojani, tre ufficiali della Regia Marina – Alfredo Viglieri, Adalberto Mariani e Filippo Zappi – gli scienziati Aldo Pontremoli, Frantisek Behounek e Finn Malmgren; i sottufficiali motoristi, attrezzatori e marconisti Natale Cecioni, Attilio Caratti, Vincenzo Pomella, Calisto Ciocca, Renato Alessandrini, Ettore Arduini, Giuseppe Biagi e e altre tre persone. Partirono in tutto in venti.
I dati tecnici del Dirigibile “Italia” erano impressionanti. Concepito come alternativa italiana ai colossali Zeppelin tedeschi, era un semirigido lungo 106 metri e rimpinzato con 18.500 metri cubi di idrogeno. Manovrarlo nelle nebbie artiche significava possedere abilità e doti di coraggio straordinarie. I modesti tre motori da appena 250 CV di potenza consentirono all’aeronave di raggiungere una velocità di 90 km orari, anche se grazie alla forza del vento poteva arrivare a ritmi più sostenuti.
Il 15 aprile 1928 il Dirigibile “Italia” con il suo equipaggio partì da Milano Bresso verso la Pomerania, e dopo 17 giorni di sosta forzata a Stolp, in Polonia, volando sopra la Lapponia norvegese, il 6 maggio pervenne alla Baia del Re, nelle Isole Spitsbergen. Un’ora e mezzo più tardi l’aeronave raggiunse l’hangar di Ny-Ålesund. A causa delle raffiche di vento fortissime ormeggiò sul celebre pilone, ancora oggi esistente. Era il primo apparecchio partito dall’Italia che ammarò il 79simo parallelo.
Raggiunta la base artica, il programma prevedeva tre esplorazioni della calotta, da compiere a ventaglio, nell’allora inesplorata Severnaja Zemlja fino a pervenire al Polo Nord. Sebbene ogni missione facesse riferimento alla Kings Bay, causa avversità atmosferiche e problemi di carico, Nobile decise di trasportare sedici persone limitando la presenza a un solo giornalista. Così, Tomaselli e Lago decisero di avvicendarsi nelle tratte giocando a testa e croce. La moneta da 5 lire rimbalzò sull’assito macchiato d’olio e incrostato dal ghiaccio: Lago, che aveva una vista acutissima, non ebbe nemmeno bisogno di chinarsi e, facendo una piroetta di gioia, capì che la faccia uscita era quella che aveva prescelto.
Fu quindi lui a guadagnarsi il volo per il Polo, mentre Tomaselli, grazie anche all’intermediazione di Nobile, partecipò alle prime due missioni. Padre Gianfranceschi, che in disparte assisteva al singolare sorteggio, raccontò di aver provato, in quell’istante, l’impressione che si stessero giocando la vita. Le prime trasvolate si svolsero senza incidenti, ma raggiunto il Polo Nord, durante il rientro dalla terza trasvolata, il 25 maggio, causa l’imbattersi in una violenta tempesta, l’“Italia” urtò la banchisa polare sfasciando la cabina di comando, dalla quale caddero alcuni viveri, diversi attrezzature, la cagnetta Titina e nove membri dell’equipaggio, tra cui Mariano, Viglieri, Zappi, Trojani, Biagi, Malmgren, Nobile e Cecioni (questiultimi due,
peraltro gravemente feriti) con Pomella che perì sul colpo; fu destino più avverso per gli altri uomini dell’equipaggio che rimasero intrappolati sulla navicella che si allontanò senza governo e non vennero più ritrovati. Tra questi anche lo sfortunato inviato del Popolo d’Italia.
Le otto persone rimaste sulla banchiglia riuscirono in qualche modo a sopravvivere grazie alla tenda che l’industriale milanese Ettore Moretti aveva preparato per il preventivato sbarco al Polo, poi colorata di rosso per essere più visibile nel pack. Ma anche grazie ai meriti di quel mezzo di comunicazione allora non del tutto conosciuto e affermato: la radio. Quest’ultima cadendo a terrà si guastò, ma le abilità manuali di Biagi e Troiani consentirono di rimetterla in funzione. Cosi cominciò il supplizio di questi “eroi”, trascorso in un “inferno bianco” facendo la guardia agli orsi polari, razionalizzando le provviste e cimentandosi nei vani tentativi di contatto radio, circa ogni ora, con la nave “Città di Milano”. Giornate terribili e angoscianti che comportarono momenti di disperazione e di euforia. Cinque giorni dopo, tre uomini - Mariano, Zappi e Malmgren - lasciarono il campo e iniziarono una disperata marcia verso sud. Ma il destino avverso stava fortunatamente cambiando. Partito il terzetto, gli sventurati della tenda rossa, grazie al segnale lanciato dal marconista Biagi, vennero finalmente intercettati da un radioamatore russo.
Scattò una gigantesca caccia ai naufraghi che coinvolse sei nazioni e migliaia di uomini (tra cui il gruppetto del capitano Sora) che si concluse il 12 luglio con l’intervento cruciale del rompighiaccio sovietico Krassin. Nobile, salvato per primo, verrà accusato d’aver abbandonato i suoi uomini. Alla fine il bilancio della spedizione contò 17 vittime: nove nel piccolo esercito di soccorritori, due norvegesi (tra cui lo stesso Amundsen che andò generosamente in loro soccorso ma scomparve in mare senza mai essere più ritrovato), quattro francesi e tre italiani, e otto nel gruppo dell’“Italia”: Pomella, Malmgren e i sei dispersi, compreso Lago. Tomaselli da inviato continuò a seguire le vicende, prendendo sempre le difese di Nobile. Successivamente venne istituita una commissione di disciplina che giudicò il generale Umberto Nobile responsabile della tragedia. A quel punto Nobile, amareggiato, si trasferì in Unione Sovietica e successivamente negli Stati Uniti per progettare nuovi dirigibili. Dopo la guerra fu riabilitato dall’aeronautica ed eletto deputato del PCI della prima Assemblea Costituente. Alla drammatica storia del Dirigibile “Italia” il grande cinema ha dedicato il noto film La tenda rossa.
In occasione del 90esimo anniversario e per la prima volta dopo 90 anni, i discendenti dell’equipaggio del Dirigibile “Italia” (tra cui il cervignanese e nostro collaboratore Michele Tomaselli in rappresentanza di Cesco Tomaselli) si sono radunati a Roma il 3 maggio presso la sede della Società Geografica italiana. Alla presenza del Presidente del CNR Massimo Inguscio, della giornalista scientifica del CERN, Paola Catapano, del professor Gianluca Casagrande dell’Università Europea, sono stati invitati nel mese di agosto alla “Base artica Dirigibile Italia” di Ny Alesund, presso le isole Svalbard, per ricordare degnamente le imprese dei propri avi. Tale commemorazione si svolgerà in occasione del passaggio presso Kings Bay della spedizione scientifica PolarQuest 2018, promossa dal CNR.
Nel mese di giugno, invece, Michele Tomaselli è stato invitato al CERN di Ginevra per assistere alle fasi preparatorie della spedizione PolarQuest 2018. “A Ginevra – racconta Tomaselli – sono stato intervistato e ho partecipato anche a un corso di tiro per scongiurare ogni possibile attacco degli orsi bianchi. Alle Svalbard vivono circa 2.000 persone ma ci sono almeno 3.000 orsi polari”.
PolarQuest2018 è un’impresa velistica estrema a impatto ambientale nullo, con finalità di ricerca scientifica in ambito storico, geografico, ambientale e di Fisica fondamentale. L’imbarcazione Nanuq, da luglio a settembre 2018, si dirigerà al Polo Nord sulle tracce del Dirigibile “Italia”. La partenza è prevista il 21 luglio dall’Islanda per raggiungere le isole Svalbard nei primi giorni di agosto. Il 4 del mese salperà dal porto di Longyearbyen, tentando la circumnavigazione delle isole, con una breve tappa presso la base scientifica di Ny Alesund e diverse soste osservative lungo le coste settentrionali di Nordaustlandet. La missione indagherà anche la presenza di microplastiche nei mari dell’artico, particelle che penetrano nel sangue degli organismi marini, costituendo una minaccia sia per l’ambiente sia per la nostra catena alimentare. Utilizzando il rilevatore di raggi cosmici PolarquEEEst del centro Fermi, si effettuerà la prima misura del flusso di raggi cosmici oltre il circolo polare; inoltre con alcuni droni e Sonar 3 D multibeamer si eseguirà la mappatura dettagliata delle isole e delle coste della parte nordest delle Svalbard. Infine, se le condizioni dei ghiacci lo permetteranno, Nanuq si porterà più a nord, in mare aperto, per ricercare il Dirigibile “Italia”, il cui relitto non è stato mai individuato.
Francesco Ugo Tomaselli, detto Cesco, classe 1893, veneziano ma di origini friulane (suo padre Angelo era nato a Sacile e raggiunse la città lagunare per dedicarsi all’insegnamento), era arrivato alla carta stampata a 28 anni, dopo una laurea in lettere conseguita alla fine della Grande Guerra. Durante quel periodo prese servizio come ufficiale di complemento nel Battaglione Vicenza e, a fianco di Cesare Battisti,
si guadagnò sul campo due medaglie al valor militare. Ritornato alla vita civile, fu assunto come cronista, dapprima alla Gazzetta di Venezia poi al Secolo di Milano e infine al Corriere della Sera. Qui incominciò la sua collaborazione, come inviato speciale, che durò quasi quarant’anni, fino a quando, nel novembre del 1963, una fitta al petto gli fermò il cuore.
Alpinista e grande viaggiatore, ha saputo restituire racconti sempre lucidi, puntuali, appassionati. Un reporter le cui cronache, ancora oggi, sono di sorprendente attualità. Fu testimone di alcuni tra i più importanti avvenimenti del Novecento: dalla Prima guerra mondiale al viaggio del “Norge”; dalla drammatica spedizione del Dirigibile “Italia”, alla feroce, implacabile, cruda corrida delle balene nei mari del Sud; dalla campagna d’Etiopia, alla Guerra civile spagnola e a quella di Russia con l’8ª Armata fino all’ascesa di Mao Tse-Tung in Cina, al viaggio col veliero nell’Atlantico. E poi le infinite e seguitissime corrispondenze dall’Unione Sovietica, dalle Americhe, dal Giappone, dal Medio Oriente, dall’Africa e dall’Europa intera. A Cesco Tomaselli è dedicato il noto premio nazionale di giornalismo che porta il suo nome.
Commenta per primo