Attore, regista, lettore, presentatore, drammaturgo, animatore: se dovessimo chiedere a Claudio Moretti di definirsi, quale risposta riceveremmo?
«Un artigiano che cerca, con passione, di dare il meglio di sé nel proprio lavoro, senza mai dimenticare gli insegnamenti ricevuti».
La passione per il teatro quando è nata?
«Per una data precisa tocca tornare al 1982 quando, rientrando da Latisana insieme a Flavia Valoppi dopo aver assistito a Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, estasiati dalla sublime interpretazione, insieme decidemmo che dovevamo fare qualcosa, anche se un’idea precisa non ce l’avevamo».
In realtà poco dopo lei e Flavia fondaste il Teatro Incerto…
«Confrontandoci con altre persone, pensammo di organizzare dei laboratori tematici: clown, dizione e fonetica, acrobatica, tecnica del movimento... Da lì, insieme alla ventina di corsisti coinvolti, decidemmo di dare forma e sviluppo a quelle esperienze, realizzando i primi spettacoli».
Da lì l’evoluzione qual è stata?
«Abbiamo iniziato con il clown, forti degli insegnamenti di Claudio de Maglio, direttore della Civica Accademia d’Arte Drammatica ‘Nico Pepe’ di Udine. Poi, negli anni, il nostro lavoro ha avuto una normale e benefica evoluzione; ci siamo messi a scrivere (anche se ancora oggi non lo consideriamo il nostro mestiere), visto che nel panorama della drammaturgia friulana non trovavamo risposte alle nostre esigenze, urgenze, necessità e desideri di raccontare il mondo, il territorio che ci circonda, e le genti e le storie che ci appartengono. Poi, abbiamo avuto la fortuna di frequentare e diplomarci alla Scuola ‘Fare Teatro’ organizzata dal CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG e frequentata nel triennio 1986-1989. Questa esperienza di studio è stata fondamentale. Ci ha aperto un mondo; abbiamo conosciuto i Maestri e la drammaturgia di Beckett, Pinter, Checov… veri ispiratori del nostro teatro».
Cosa significa fare teatro in Friuli Venezia Giulia?
«Lavorare dove capita, a volte nei luoghi deputati, ma spesso in corti, piazze, cortili, prati, solai… una vera palestra ricca di umanità varia, che ci ha formati, ci ha dato struttura, ci ha resi più forti. Il Friuli, sebbene sia un piccolo territorio, offre tutto, e in questo tutto pure lo spazio di lavoro per tutti. Ormai sono trentacinque anni che siamo sulla scena; il Friuli, come il resto del mondo, è cambiato, eppure le platee si riempiono davanti a noi e noi non possiamo che essere grati a questo popolo di Friulani».
A suo avviso qual è lo stato di salute del teatro in particolare e del mondo dello spettacolo in generale nella nostra regione?
«A ogni piè sospinto tira aria di crisi. Il teatro è una forma di spettacolo, di rappresentazione antica ed è arrivato fino ai nostri giorni, spesso portando in scena il lavoro degli albori. Insomma dimostra grande capacità di resistenza e di proposta».
Per Claudio Moretti cosa significa recitare?
«Essere vero. Il palcoscenico è il luogo della finzione per eccellenza, ma se, e dico una cosa solo all’apparenza paradossale, ci metti tutto te stesso con sincerità, in quel momento così magico, la gente ti crederà, ti seguirà e non ti abbandonerà».
Tra le sue diverse interpretazioni a quale è più legato?
«Ne dovrei citare tre: Four del 1997, racconta la storia di tre tifosi di calcio rimasti fuori dallo stadio, in attesa dei biglietti che non arrivano. Fu il primo di tre spettacoli, diventati poi ‘la trilogia’ che ha fatto maturare in noi la consapevolezza del fare teatro e la ricerca puntigliosa della scrittura drammaturgica. Poi c’è Maratona di New York di Edoardo Erba, tradotto in friulano e adattato per noi da Paolo Patui. Uno spettacolo dove sul palcoscenico Fabiano Fantini e io corriamo per circa un’ora e un quarto; oltre cento repliche di una meravigliosa fatica. Infine, uno spettacolo che non è targato Teatro Incerto, vale a dire I Turcs tal Friul di Pier Paolo Pasolini, testo regalato da noi stessi a Elio de Capitani, regista del Teatro dell’Elfo di Milano e nostro insegnante alla scuola ‘Fare Teatro’. Elio venne folgorato da quelle parole, tradottegli in italiano da Fabiano, e lo spettacolo ne divenne, nella sua semplicità e linearità, una immensa opera».
Non solo teatro: Claudio Moretti è un personaggio anche in tv, come dimostrano le collaborazioni con diverse emittenti locali. Cosa significa per lei lavorare in televisione?
«C’ho lavorato, ora non più. Capita ogni tanto di riapparire, ma sono momenti sporadici. La televisione ha tempi diversi, devi saperli riconoscere. Partivo comunque avvantaggiato grazie all’esperienza teatrale e radiofonica che ti permettono di lavorare sull’improvvisazione con solide basi».
Qual è il rapporto di Claudio Moretti con il “suo” Friuli?
«È una terra che amo e che mi fa incazzare; sforna talenti spesso incatenati alle stesse radici. A mio avviso non siamo propensi a fare squadra e questo può essere un limite. Ogni tanto l’ho abbandonato, per poi ritrovarlo in diversi luoghi che ho avuto la fortuna di visitare per lavoro».
E il rapporto con la lingua e la cultura friulana?
«Sono aspetti che mi appartengono, ne vado fiero. Il friulano è lingua del nucleo familiare, del rapporto con gli amici, del teatro, dei sentimenti e delle corde più profonde. Anche quando parlo in italiano, credo che il mio esprimermi sia frutto di una traduzione dal friulano. E la cultura è un modo di osservare le cose, un punto di vista sul mondo, una prospettiva».
Attraverso il suo teatro, infatti, lei promuove e diffonde anche la cultura friulana…
«Non è una scelta, è la normalità. Noi – Elvio, Fabiano ed io – raccontiamo storie ed è questo che ci piace; storie che ci riguardano, ambientate in Friuli, ma potrebbero capitare in qualsiasi luogo del mondo».
Qual è la risposta del pubblico?
«Da trentacinque anni percorriamo da nord a sud, da est a ovest questo Friuli; sono rare e si possono contare su una mano le volte che, per ragioni che magari poco ci riguardavano, abbiamo avuto una sala deserta. Eppure noi continuiamo a fare teatro in friulano, da molti anni ormai. La lingua accomuna noi sul palco e la gente in platea. Ci sentiamo tutti parte della stessa comunità. Non finiremo mai di ringraziare tutta questa fiumana di gente».
Nel mondo del teatro e dello spettacolo ci sono persone a cui è particolarmente legato?
«Ce ne sono diverse, ma preferisco tenerle per me. Cito solo i miei compagni di cammino, Elvio Scruzzi e Fabiano Fantini, insieme a Flavia Valoppi e tutte quelle persone che hanno dato vita a questa splendida avventura».
Lei è stato anche in Sudamerica ospite di famiglie friulane emigrate: come l’hanno accolta?
«Dico sempre che, soprattutto in Sudamerica, ho casa. ‘Mi casa es tu casa’ me lo hanno detto poche volte ma lo hanno fatto bastare con le azioni concrete. Ho imparato da questa gente il senso vero dell’ospitalità e dell’accoglienza. L’Argentina, dove sono stato numerose volte, è la mia seconda patria, Colonia Caroya il mio secondo paese».
L’esperienza non si è limitata a una semplice visita: da allora lei coordina in quei luoghi campi scuola con ragazzi discendenti da friulani. In cosa consiste concretamente l’attività?
«Insieme agli amici Alessandro Montello e Guido Carrara, abbiamo intrapreso questa strada pensando alle nuove generazioni. È stato grazie all’intuito di Ferruccio Clavora, allora direttore di Friuli nel Mondo. Il pensiero di fondo del progetto partiva dal fatto che i ragazzi non frequentavano i Fogolȃrs, proprio per questo pensammo di realizzare campi scuola che permettessero di apprendere e conoscere il mondo dell’emigrazione, che aveva visto coinvolti i loro avi. Spettacoli, mostre fotografiche, ricerche di materiali, concerti plurilingue, laboratori e altro ancora scandivano i giorni delle molteplici attività realizzate da Nord a Sud dell’Argentina, con puntate anche in Uruguay. La normale conseguenza era l’agognata tournée che prevedeva anche 10.000 chilometri in pullman nell’arco di una decina di giorni. Quei ragazzi, che allora potevano avere all’incirca una quindicina d’anni, oggi sono madri e padri di famiglia, imprenditori, amministratori locali e, spesso, grazie anche a questa presa di coscienza sul loro luogo di origine, hanno instaurato un rapporto privilegiato culturale e perfino commerciale con il Friuli».
Torniamo alle nostre latitudini. Claudio Moretti ha partecipato anche alla realizzazione di libri e soggetti per l’infanzia: attraverso di loro quali messaggi desidera trasmettere ai bambini?
«Questo è merito soprattutto della professoressa Silvana Schiavi Fachin dell’Università di Udine, che ci coinvolse nella realizzazione di varie produzioni, dedicate al mondo dell’infanzia, per l’apprendimento della lingua friulana. Con il fondamentale supporto di Alessandra Kersevan e Giancarlo Velliscig realizzammo video, audiocassetta, libri con illustrazioni di Altan e persino alcune animazioni; ricordo, e ho ancora i costumi, di aver interpretato uno sbilf (folletto, ndr) nascosto in un bosco e scoperto dai bambini, con grande meraviglia, durante un momento di attività scolastica all’aperto. Il piacere, da sbilf, di dialogare con quei bimbi, di rispondere alle loro curiosità, ce l’ho nel cuore e lo ritengo un momento impagabile».
Nella sua carriera lei ha recitato dappertutto: carceri, manicomi, night, ospedali e persino al circo. Quale esperienza le è rimasta più impressa?
«Ce ne sono tantissime e ognuna, in qualche modo, singolare; ricordo con particolare piacere ed emozione una replica di Maratona di New York in Australia. A un certo punto Steve, uno dei due personaggi, si rivolge a Mario, suo compagno di allenamento, e lo incita con questa frase a tener duro, a non mollare: “Non senti, quelli del Fogolȃr Furlan di New York che gridano ‘Go, go, go’”. Ebbene, in quel mentre dalla platea,in modo assolutamente spontaneo, si levò a ripetere lo stesso grido: “Go, go, go”. Non vorrei aggiungere altro, lascio solo immaginare».
Dal passato al futuro: quali sono i prossimi progetti di Claudio Moretti?
«Il Teatro Incerto in questo periodo è in sala prove; la prossima primavera debutteremo con Blanc, il nostro nuovo lavoro. Abbiamo ricevuto una proposta assolutamente interessante per il 2019. Per quanto riguarda me, mi ritengo una persona fortunata, che da questo mestiere ha avuto tantissimo. Ricevo molteplici proposte di lavoro che spaziano dalla regia ai laboratori, dalle collaborazioni ai progetti tematici».
Dal futuro ai sogni. Le concedono di realizzare un desiderio: quale esprime?
«Chiedo un po’ salute per me, per i miei cari. Chiedo un po’ di pace per l’umanità. Il teatro mi ha dato talmente tanto al punto che non trovo giusto chiedergli ancora qualcosa in più».
Commenta per primo