«Se non dovessimo costruire qualcosa noi, la crisi non sarà mai superata, non si verificherà "il passaggio della nottata". Nel dopoguerra il Paese è ripartito sulle macerie delle case, ora ci sono da sistemare quelle delle imprese, e da questo dobbiamo muovere. Nessuno ci dirà cos'è il futuro, non aspettiamocelo, ma scopriamolo noi, con le nostre competenze».
È questo il messaggio che ha caratterizzato l'intervento di Bruno Lamborghini, presidente dell'Aica (Associazione italiana per l’informatica e il calcolo automatico) e docente all'Università Cattolica di Milano, alla Sala dell'Economia della Camera di Commercio di Udine nell’ambito del Future Forum.
Per Lamborghini sono sette le caratteristiche attorno alle quali deve svilupparsi la capacità lavorativa del futuro, per permettere alle "persone" («non più al capitale umano, come siamo malamente abituati a dire») di essere competitive: innovazione, ricerca e libertà creativa, capacità di operare condivisione e conoscenza, cultura del cambiamento e coraggio di cambiare, coscienza sociale, gusto della bellezza e apertura al mondo.
Più si riuscirà a essere fedeli a questi dettami maggiori saranno le possibilità e le occasioni, «in un lavoro che non esiste più come fosse quella cosa immobile di cui parlano imprenditori e sindacati». Il contesto nel quale operare non è certo semplice, tutt'altro. Secondo i dati analizzati da Lamborghini «il quadro di sviluppo economico del 2014 è drammatico. L'occupazione non crescerà. Se dovesse andare bene non calerà, la brutta notizia è questa. Il lavoro dequalificato non esiste più, è fuori dal mondo. Se noi non ci muoviamo immediatamente le giovani generazioni non avranno un lavoro. I ragazzi di adesso fanno fatica a gestire la propria conoscenza, è fondamentale imparare a farlo».
Ma in che ambienti dovranno operare, e come? «Il concetto di ambiente lavorativo e di grande fabbrica, di produttività come è pensato adesso, con il vecchio modello, è fallimentare, non ha più ragione di esistere. Anche i cinesi stanno capendo che non possono più andare avanti così. Al posto del lavoro come è inteso adesso dobbiamo mettere competenza, professionalità, capacità di ciascuno di noi. Il posto può cambiare, la competenza no, e bisognerà andare dovunque si possa lavorare per arricchire la competenza personale: Cina, Usa, Africa, non ha importanza».
Uno dei grandi nodi da risolvere per muovere in questa direzione è quello del rapporto tra lavoro e scuola. «Per come è organizzata in Italia, la scuola non prepara per il lavoro, questo è il suo grande problema. Quando insegnavo all'università costringevo i miei studenti a fare le tesi presso un'azienda. I miei colleghi, anche i più giovani, mi guardavano male, sostenendo che il valore scientifico fosse trascurato a scapito di quello pratico. Ma quanti sono quelli che producono saggi inutili solo per far carriera? Io invece sono felice che i ragazzi abbiano trovato da fare. Non esiste un rapporto tra scuola e lavoro. I tedeschi hanno saputo creare un sistema di interazione tra istruzione e lavoro. I giovani sono tutti su Facebook e Twitter, ma il sistema scuola non garantisce ancora la digitalizzazione necessaria».
Un lavoro che è necessario costruirsi, anche a scapito di alcuni "sacrifici" particolarmente diffusi in Italia. Per Lamborghini vanno interpretati come opportunità, non come ridimensionamenti. «Bisogna lavorare comunque, anche non pagati all'inizio, perché così si acquisisce competenza. Vi fanno servire caffè ai dirigenti? Ottimo, così li conoscete! Poi vi fanno fare le fotocopie? Bene, così sbirciate nei documenti dell'azienda! Non è vero che non ci sarà lavoro per voi, ma ve lo dovete costruire».
Lamborghini è convinto che il settore sul quale bisognerà insistere sarà «quello della tecnologia. È fondamentale puntare su questo settore. Per ogni posto high tech se ne creano cinque accanto. Le città che sapranno puntare su questo vivranno e prospereranno, le altre no. Guardate negli stati Uniti. A San Francisco e Seattle il settore prospera, a Detroit la città fallisce. Anche in Italia è possibile. Nel nostro Paese si è persa la capacità di andare e guardare in avanti che, come diceva Adriano Olivetti - per il quale il lavoro avrebbe dovuto rappresentare una gioia e non un tormento -, dovrebbe esserci anche in tempi di crisi».
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