Il capo corrispondente medico della CBS News, Jon LaPook, è appena stato insignito dell’Emmy award per aver esaminato nei suoi articoli l’impatto sui pazienti della carenza di farmaci oncologici a cui si sta assistendo non solo negli USA ma anche in Italia.
Ancora oggi anche nel mio istituto siamo in carenza periodica di un farmaco, la carmustina, fondamentale per il trapianto di midollo nei linfomi. Per la prima volta ne denunciai la carenza nel 2011, quando fu impossibile il trapianto a nove pazienti con linfoma che già erano in attesa del trapianto di midollo e che furono o trattati con terapie alternativi con farmaci sperimentali o, nei casi meno urgenti, si optò per allungare i tempi.
Da allora periodicamente in Italia sono mancati farmaci come il 5-fluorouracile, usato nei tumori gastroenterici e del capo e collo, la bleomicina, usata in certi linfomi e nel tumore del testicolo, e la doxorubicina liposomiale, usata nel carcinoma dell’ovaio e nel mieloma.
Dal 2006 negli Stati Uniti la carenza periodica di farmaci affligge pazienti e medici non solo in oncologia costringendo i medici a ritardare i trattamenti o a scegliere terapie disponibili al momento. Le ragioni addotte dalle aziende farmaceutiche sono problemi di qualità di produzione, soprattutto dei farmaci in fiale: il sospetto, tuttavia, è che il vero problema sia il basso costo e quindi le basse remunerazioni. Negli Stati Uniti vi è l’obbligo per le industrie di avvisare sei mesi prima della mancanza dei farmaci, ma questo intervento è una vera e propria istigazione all’accaparramento dei farmaci da parte di certe piccole aziende che poi li rivenderanno a costi molto più elevati agli ospedali che ne avranno necessità.
È interessante notare che mentre in Italia non esistono statistiche al riguardo, negli Stati Uniti il 44% degli ospedali americani riferiscono di 21 e più farmaci dei quali hanno evidenziato la carenza negli ultimi sei mesi con un ulteriore 13% che hanno avuto da 16 a 20 farmaci carenti e un altro 19% da 11 a 15 farmaci carenti, ovviamente includendo non solo i farmaci oncologici ma anche di altre specialità (questi dati si riferiscono al giugno 2011).
È veramente necessario che il Ministero e l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) organizzino una discussione con le aziende farmaceutiche coinvolgendo le associazioni degli oncologi medici italiani (AIOM, CIPOMO). Un argomento molto convincente che sia negli Stati Uniti che in Italia potrebbe essere messo sul tavolo è quello di non approvare più i farmaci, in particolare quelli biologici oncologici, prodotti dalle multinazionali e venduti a prezzi stratosferici quando queste e le loro piccole filiali non producessero più farmaci oncologici tradizionali, i cosiddetti chemioterapici vecchi che costano poco ma dei quali si sente la mancanza, perché in grado di contribuire a guarire certe malattie oncologiche come le leucemie acute, i linfomi e i tumori dei testicolo.
Si potrebbe inoltre costituire un magazzino/banca centrale, dipendente dal Ministero della Salute ed in collaborazione con l’Ospedale Militare di Firenze (che potrebbe produrre in parte questi farmaci), che tenga come scorta quei farmaci che si sa possono venire a mancare negli ospedali italiani, che costano molto poco ma che sono essenziali non solo in oncologia ma anche in altre branche della medicina.
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