Il futuro dell’Europa e quello del lavoro

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redazione

14 Febbraio 2017
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Inaugurato il Future Forum

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Con un omaggio al sociologo polacco Zygmunt Bauman, recentemente scomparso e protagonista proprio del Future Forum 2016, si è aperta la quarta edizione del forum sul futuro organizzato dalla Camera di Commercio di Udine. Nel prologo, il video su Bauman seguito da una storia a tappe dell’innovazione, come spinta propulsiva per uscire dalle crisi, a cura di Luca Massidda. Quindi l’introduzione, con il “padrone di casa”, il presidente della Cciaa Giovanni Da Pozzo, assieme al sindaco Furio Honsell, all’assessore regionale alle infrastrutture e territorio Mariagrazia Santoro e il magnifico rettore dell’Università di Udine Alberto Felice De Toni.

«Quando abbiamo avviato Friuli Future Forum – ha ricordato Da Pozzo – volevamo aprire una riflessione e una proposta continua sul futuro e in quattro edizioni abbiamo ospitato a Udine moltissimi interventi e interlocutori da tutto il mondo. In questi giorni più che mai abbiamo bisogno di guardare al futuro: mi è dispiaciuto molto – ha aggiunto – sentire Moscovici dire che l’Italia ha la più bassa crescita in Europa. Per quanto riguarda il Fvg, noi sappiamo bene che sul territorio tanti imprenditori, attraverso l’innovazione e l’internazionalizzazione, rappresentano assi vincenti e sono cresciuti anche in questi anni di crisi. Eppure ci ritroviamo con dati Unioncamere, diffusi pochi giorni fa, sulle imprese che nascono e cessano, e quei dati, che parimenti mi dispiacciono, certificano che siamo gli ultimi in Italia. Se non c’è nascita di nuove imprese, se non ci sono giovani che aprono attività, questo non può rappresentare un fatto positivo, per un futuro proattivo, nemmeno in una regione piccola come la nostra. “Ripartire”, dunque, deve rappresentare la capacità, come classe dirigente, di indirizzare il riavvio. Nessuno può chiamarsi fuori da questa responsabilità né dare colpe: dobbiamo metterci insieme in un contesto in cui non può esserci l’uomo solo al comando (anche se c’è questa tentazione). Ripartire vuol dire riunire le forze di chi, nei vari settori, ha una visione e vuole impegnarsi affinché si possa individuare un percorso di crescita, diverso da quello del passato, ma che deve puntare allo sviluppo economico e sociale e soprattutto a dare prospettive ai giovani. Troppi quelli costretti ad andare a lavorare all’estero perché qui non trovano prospettive – e pure costretti ad ascoltare affermazioni sul tema, da parte di rappresentanti del Governo, che ritengo offensive. Sono dunque tanti i temi che vogliamo affrontare con il Future Forum, sui grandi cambiamenti che non sono governabili a livello locale. Bisogna però che poniamo grande attenzione a essi, la politica in particolare, e anche qui, perché le ricadute si sentono anche sui piccoli territori»

 Parlando di evoluzione della nostra storia, Massidda ha evidenziato che «nei momenti in cui c’è stato un grave deficit politico si produce innovazione, ma il momento determinante è quello in cui si va a raccogliere e redistribuire i “dividendi” di quella innovazione. Il problema è chi governa questo momento? Oggi la politica non sembra capace di gestirlo. Ma c’è un fattore positivo: una straordinaria opportunità di uscire dalla crisi. La città, le reti non sono mai state così effervescenti. Informalità, apertura, cooperazione come dice Bauman: è tutto ciò che serve per produrre innovazione e con l’innovazione possiamo uscire dalla crisi».

Nel secondo momento di questa prima giornata, il Future Forum ha visto l’intervento del sociologo barcellonese Joan Subirats, in dialogo con Giacomo Russo Spena, giornalista di Micromega. «L’Europa – ha affermato Subirats – finora ha cercato di combinare globalizzazione e sovranità, ma in questo senso ciò che si è perduto è la democrazia e ai cittadini manca il senso di protezione. La domanda di protezione è una domanda difensiva, reattiva di fronte alla globalizzazione». Per Subirats l’Europa deve dunque «democratizzare di più le sue istituzioni e far rientrare l’eguaglianza all’interno dei temi comunitari, non dei singoli Stati. L’idea è rinforzare una nuova Europa basata di più sul coinvolgimento popolare e un’idea comune del senso di protezione della gente».

Sul futuro del lavoro Subirats ha evidenziato come «le forme che abbiamo messo in campo per trattare i conflitti di lavoro fino al 20esimo secolo non sono adatte a rispondere, oggi, e i sindacati non sono stati in grado di trovare ancora nuove forme di risposta a questo nuovo lavoro. È un problema importante e bisogna trovare il modo per dare risposte nuove dove il sistema tradizionale non le dà più». Se si è detto a favore della sharing economy, Subirats si è detto contrario alle troppe imprese «estrattive del valore aggiunto che la gente è in grado di dare in questa economia condivisa. Sono invece d’accordo con la sharing economy che crea basi sociali ed economiche con impianto locale molto importante».

Ma siamo pronti a questo cambiamento? Stiamo già vivendo il tramonto della globalizzazione o dobbiamo ancora costruirla? Come possono muoversi le nostre imprese all’estero? Come stanno cambiando gli assetti geopolitici, con l’Europa in bilico tra exit e integrazione, con equilibri che cambiano, dalla Cina agli States, dalla Russia all’America del Sud, con il così conflittuale e differenziato rapporto con i Paesi del Medioriente, di cui così poco sappiamo (anche quando ci troviamo a gestire i flussi migratori), o ancora con quelli dell’Africa subsahariana, Paese di Paesi a più velocità e livelli di democrazia, che si stanno però trasformando in un continente di speranza, partendo dal totale “afropessimismo” degli anni ’90? A confrontarsi su queste domande, ancora apertissime, sono stati gli ospiti dell’ultimo incontro della prima giornata del Future Forum. Coordinati dal giornalista Toni Capuozzo, si sono alternati l’esperto di Medioriente, professore iraniano-italiano Pejman Abdulmohammadi, Giovanni Carbone dell’Università di Milano e Responsabile del Programma Africa dell’Ispi, Niccolò Locatelli, editorialista di Limes, esperto di Americhe Latine, Sergio Vento, già Ambasciatore italiano all’Onue a Washington (e definito da Capuozzo “un mito”, caposcuola della diplomazia italiana) e Roberto Cocchi, presidente Iscos Fvg, ong che si occupa di cooperazione allo sviluppo.

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