Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione restrittiva dell’art. 660 c.p. che sanziona la molestia od il disturbo alle persone, statuendo “chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a € 516”.
La norma in questione mira a proteggere l’ordine pubblico tutelando la quiete privata, poiché coloro che singolarmente si trovano esposti alle condotte moleste o di disturbo di terzi potrebbero avere delle reazioni pericolose. In particolare, la Suprema Corte, argomentando sulla possibilità del destinatario di un insulto di sottrarvisi, ha stabilito che le e-mail richiedono tecnicamente più tempo (rispetto ad esempio ad una telefonata o ad una citofonata) per giungere al destinatario. Ciò comporta che non vi sia un’immediata interazione tra mittente e destinatario, né un’intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo, con conseguente minor lesione e turbamento della privacy del destinatario e della sua quiete.
Analizzando gli elementi del reato, tra questi vi è la “pubblicità del luogo”. E ciò significa che le condotte moleste o di disturbo debbano avvenire in un luogo che di fatto o di diritto sia accessibile a tutti. Ad esempio, di recente, la Suprema Corte (con sentenza del 16 giugno 2009, n. 28853), statuendo che “si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti” e ha concluso affermando che devono essere considerati luoghi aperti al pubblico pure l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni. Peraltro, il reato sussiste tanto se sia il molestatore a trovarsi in luogo pubblico quanto se invece vi si trovi la vittima (ed il molestatore, ad esempio, sia invece in un luogo privato). Ancora, affinché il reato possa dirsi sussistente è inoltre sufficiente che il soggetto destinatario di dette condotte percepisca il disturbo, essendo invece irrilevante che lo stesso sia presente al momento delle stesse.
Ovviamente la percezione del suddetto disturbo dovrà essere vagliata alla stregua della psicologia normale e media delle persone, cioè secondo il modo comune di vivere delle stesse. Di molestia o disturbo si può parlare in caso di petulanza, ovvero di un comportamento impertinente, arrogante, insistente, pressante, indiscreto che reca un’inopportuna interferenza nell’altrui sfera di libertà, produttiva di una fastidiosa intromissione nella vita privata della vittima. Il biasimevole motivo, invece, deve essere inteso come un motivo riprovevole in sé o in rapporto alle qualità o condizioni della vittima. Ai fini della sussistenza del reato previsto e punito dall’art. 660 del c.p. non è necessaria l’abitualità nella condotta, essendo al contrario sufficiente anche solo un’azione di molestia o di disturbo, come statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 36 del 12 novembre 2009, secondo la quale “anche una sola telefonata effettuata dopo la mezzanotte è da considerarsi alla stregua di “molestia” ed integra, pertanto, il reato di cui all’art. 660 c.p.”.
Affinché, infine, il reato possa dirsi integrato è necessaria, da parte dell’agente, la consapevolezza dell’idoneità del proprio comportamento a molestare o disturbare ed alcun rilievo avrà la sua eventuale convinzione di operare per un fine non biasimevole o magari poiché ritiene di soddisfare un proprio diritto. Oltre alle condotte moleste in luogo pubblico o aperto al pubblico, il reato sussiste quando queste vengano perpetrate mediante l’utilizzo del telefono. Nella dizione, generica, “col mezzo del telefono” di cui all’art. 660 c.p. la giurisprudenza ha ricompreso anche altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza (come per esempio il citofono).
Anche l’invio di sms (“short messages system”) potrebbe integrare il reato di molestia e disturbo alle persone, poiché, a differenza di quanto avviene generalmente per lo strumento epistolare, il destinatario dei “messaggini” può leggerne il contenuto prima di identificare il mittente e questo, per ciò che concerne il turbamento ed il disturbo che ne può derivare al destinatario, li rende assimilabili allo strumento della comunicazione telefonica tradizionale (in tal senso si è pronunciato la Corte di Cassazione nel 2006). Così come è stato ritenuto sussistente il reato di molestie pure a carico di chi aveva scattato fotografie, anche per una sola volta, al proprio vicino di casa ed ai suoi ospiti contro la loro volontà (sentenza della Cassazione penale del 24 febbraio 2009, n. 10409). Come già riportato in premessa, si è ritenuto che non integrano ipotesi di molestia o disturbo delle persone (ferma restando la sussistenza di eventuali diversi reati, come per esempio l’ingiuria), le e-mail. Infatti, con la recentissima sentenza del 30 giugno 2010, n. 24510, la Cassazione ha assolto, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, un quarantunenne di Cassino che aveva inviato ad una sua conoscente un’e-mail contenente apprezzamenti gravemente lesivi della dignità della integrità personale e professionale del suo convivente.
La Suprema Corte ha escluso che l’invio di e-mail possa integrare lo strumento attraverso il quale molestare taluno poiché, pur ammettendo che la posta elettronica utilizza la rete telefonica e la rete cellulare, la stessa non utilizza il telefono e ciò, considerando che il telefono è caratterizzato dalla modalità sincrona di voci e di suoni (come per il citofono), impedisce che si possa realizzare un’immediata interazione tra mittente e destinatario, con conseguente violazione della privacy e turbamento nella vittima (e pertanto molestia o disturbo). In tal senso, invece, il mezzo telefonico è rilevante proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi (al pari degli sms) se non disattivando l’apparecchio, con conseguente lesione della propria libertà di comunicazione. Con l’e-mail, al contrario, alla stregua della corrispondenza epistolare, vi è, secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione, una comunicazione asincrona, nel senso che “la comunicazione si perfeziona solo e quando il destinatario, connettendosi a sua volta all’elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio”.
Pertanto, proprio in virtù del principio di stretta legalità e tipizzazione delle condotte lecite, la Suprema Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione restrittiva dell’art. 660 c.p. tale per cui la ricezione di posta elettronica, anche se non gradita o anche se in grado di provocare nel destinatario turbamento o fastidio, non è comunque equiparabile alla molestia eseguita col mezzo del telefono.
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