Di recente la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44855 del 19 novembre 2012, ha avuto occasione di ribadire nuovamente un proprio precedente orientamento, in base al quale è da escludere che il reato di molestie, come previsto e punito dall’art. 660 c.p., possa configurarsi qualora l’elemento materiale della molestia si concretizzi nell’invio di posta elettronica; l’invio di posta elettronica mancherebbe infatti del carattere di invasività.
Nel caso di invio di posta elettronica, infatti, la modalità della comunicazione è asincrona (Cass. Pen. 24510/2010), nel senso che “l’azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo in una determinata locazione della memoria dell’elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario; la comunicazione si perfeziona se e quando il destinatario, connettendosi a sua volta all’elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e provveda alla lettura del messaggio”; ciò peraltro accade similmente anche con la corrispondenza epistolare cartacea. Il messaggio di posta elettronica non comporta – a differenza della telefonata o dell’invio dei cosiddetti sms su utenze telefoniche mobili – alcuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né vi è una diretta intrusione del primo nella sfera di attività del secondo.
Le condotte materiali rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 c.p. consistono infatti nelle molestie telefoniche, nonché in quelle perpetrate a mezzo invio di sms. Per la rilevanza penale di tali molestie ai sensi dell’art. 660 c.p., oltre al turbamento del destinatario delle stesse, è necessaria la ricorrenza delle ulteriori circostanze contemplate dalla suddetta norma incriminatrice, ovvero il luogo pubblico o l’uso del telefono, posto che la punibilità è sancita per “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”; tali elementi però mancano nel caso in cui la molestia avvenga a mezzo e-mail. Nel precedente del 2010 la Suprema Corte ha poi avuto cura di precisare che ove l’inoltro di posta elettronica avvenga col mezzo del telefono, poiché la posta elettronica utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza ma non il telefono, ciò non costituisce applicazione della linea telefonica che invece, in maniera sincrona, consente la trasmissione di voci e/o suoni.
Si osserva peraltro che il caso affrontato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 44855/2012, ovvero la configurabilità o meno del reato di cui all’art. 660 c.p. in caso di invio di e-mail “moleste”, è relativo a fatti avvenuti tra la fine del 2007 ed il 2008. A quel tempo non era ancora stato introdotto nel nostro ordinamento il reato di atti persecutori (stalking), di cui all’art. 612 bis c.p. (inserito dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11); tale norma punisce chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Con l’introduzione del reato di atti persecutori, anche le molestie perpetrate a mezzo dello strumento delle email potranno, ricorrendone anche gli ulteriori elementi previsti dalla norma incriminatrice, essere punite.
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