Nei viaggi e nei soggiorni di lavoro o di piacere entriamo in contatto con contesti e relazioni che ci arricchiscono e ci fanno riassaporare il gusto della scoperta, dell’esplorazione e del confronto con realtà diverse.
Spesso il tempo a disposizione non è molto, ma armati dell’apposita “cassetta degli strumenti” (mappe e cartine, GPS, guide, contatti personali, social network, tablet e smartphone, ecc.) cerchiamo di cogliere l’essenza, lo spirito dei luoghi, il genius loci, ottimizzando percorsi e incontri.
Il genius loci è quell’insieme di caratteristiche socio-culturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che connotano un luogo, un ambiente, una città, e la loro evoluzione nel corso della storia. Per incontrarlo bisogna ascoltare, osservare, riconoscere. Non esistono ricette su come avvicinare e approcciare il genius loci. Ciascuno di noi ha un suo modo di immergersi in tale esplorazione.
Recentemente, sempre più spesso, mi è tuttavia capitato di vivere sensazioni di spaesamento. Una sorta di spaesamento temporale e spaziale che distrae e disorienta i sensi nell’interazione con il luogo e la sua identità, nel contatto con il genius loci. Non so se si tratti di uno spaesamento di natura esistenziale, angoscioso, come quello definito da Martin Heidegger (Essere e Tempo, Longanesi, 2005). È comunque un sentirsi fuori posto, un cambiamento dell’abituale percezione della realtà che il contesto induce mediante l’uso di particolari rappresentazioni e architetture comunicazionali e narrative. Uno straniamento che genera una domanda: dove sono?
Nella piazza con il monumento millenario, sul selciato di arenaria lucidata a specchio da calpestii secolari, di fronte alle costruzioni dalle architetture uniche e irripetibili campeggiano sovrapponendosi i segni della nostra realtà globalizzata, tanto tangibile quanto virtuale nella sua pervasività.
In passato le stratificazioni culturali, sociali e politiche erano rintracciabili, interpretabili ed era possibile farle proprie e riconoscerle sotto l’agire di un tempo dilatato che le scolpiva e le restituiva alla consapevolezza delle vite quotidiane: passato, presente e anche futuro.
Solo per un attimo, di fronte ai tabelloni degli orologi che riportano l’ora delle principali città del mondo, riusciamo a ricollocarci nello spazio tempo del luogo in cui ci troviamo, ma immediatamente ci ritroviamo immersi nel flusso dei luoghi sincronizzati, della nuova intelaiatura della realtà fatta di un mondo di punti in rete. Nelle strade di Roma, Milano, Parigi, Londra, Hong Kong, Shanghai, Berlino, Mosca si trovano le stesse vetrine, prodotti, marchi, messaggi. L’omologazione globale si sovrappone a luoghi caratteristici attraverso circuiti che giganteggiano sui pannelli di pareti virtuali di palazzi storici e grattacieli di vetro, con patrimoni informativi immateriali e immagini che disegnano e ridisegnano in tempo reale le architetture dei luoghi.
Ristoranti con le più varie cucine del mondo: da quella italiana, ovviamente, a quelle delle regioni interne della Cina,
dalla cucina messicana alla thailandese, alla libanese, alla uzbeca, tutte mappate e commentate dalle più svariate app.
Quella difficile da trovare è l’osteria tipica. Va a finire che preferisci un Mc-Donald’s, globalizzato però. Se poi si volesse optare per qualcosa di semplice e frugale basta entrare in un supermercato o in un centro commerciale per ritrovare ciò che hai sotto casa. Si trova di tutto per soddisfare il maggior numero di stili di vita e di comportamenti.
L’offerta è smisurata e polverizzata. Ma qual è la migliore? Sulle strade proliferano segnalatori governati dalla banda larga. I marciapiedi diventano percorsi virtuali che i navigatori satellitari proiettano con ricchezza di particolari che rendono superflua la relazione con le persone.
Anche il viaggio del marinaio oggi è soggetto a tali sovrapposizioni e divaricazioni. Ricordo con qualche nostalgia un
viaggio in barca in cui dovevo fare il punto nave e tracciare la rotta utilizzando il GPS e la cartografia elettronica.
Il pilota automatico o computer di bordo avrebbe fatto il resto: condurti a destinazione.
Il comandante di grande scuola marinara però non si fidava; rifaceva di continuo punto nave e rotta manualmente utilizzando bussola, carta nautica e squadretti per controllare la mappa virtuale, in realtà per mantenere vivo il senso del navigare. Più che vivere lo spazio e il paesaggio stiamo vivendo la tecnica. La geografia dei luoghi viene banalizzata, facendosi sovrastare da culture superficiali, semplificatrici, che dicono ciò che è utile (la marina con distributore aperto), ma che non possono dire ciò che è bello.
La mappa conta più del territorio, la direzione più della destinazione, il tempo più dello spazio. Come dice Marc Augè (Il Futuro, Bollati Boringhieri, 2012): “Non parliamo più in termini di distanza chilometrica, ma di tempo di percorrenza. Tre ore di volo. Due di alta velocità. Quattro di autostrada. E i nostri riferimenti sono globali, non più nazionali. Città e non paesi. (…) L’insieme forma una nuova geografia, un’inedita territorialità virtuale. In questo senso l’economia e la tecnologia sono più veloci e potenti della politica”.
Il genius loci diventa lo sfondo, i luoghi e le città si trasformano snaturati delle loro specificità originarie. Le vestigia sono forse ancora rintracciabili nei musei, anch’essi sempre più virtualizzati, e nei centri storici quando non ancora ridotti a parchi a tema sul modello Disneyland. Il genio dei luoghi viene depotenziato, come un quadro antico che si smarrisce ricoperto dalla patina del tempo virtuale, perdendo la sua forma caratteristica, originaria.
I luoghi e le città che abbiamo conosciuto esisteranno ancora? Le città interconnesse e sincronizzate superano il concetto di luogo classicamente inteso, fisico e sociale, e questo cambiamento porta a una trasformazione non solo del nostro percepire individuale, ma anche del senso sociale e delle modalità di convivenza.
I corpi sociali ed economici della nostra Europa sono assimilabili a tanti orologi che segnano ore diverse e che si muovono con diverse velocità. Essi sono però sottoposti alle fortissime pressioni dei ritmi sincronizzati e globalizzati dei loro centri nevralgici, incardinati nell’intelaiatura di un mondo virtuale sovraordinato e finanziarizzato.
Ma il disegno europeo si fonda e potrà realizzarsi compiutamente se le pietre miliari su cui poggia, la moneta unica e la valorizzazione delle culture locali, possono evolvere in tempi compatibili e sostenibili. Potremmo anche dire che il successo di un’operazione unica nella storia si fonda sul rispetto del genius loci dei territori dell’Unione affinché non venga sfigurato e uniformato in una virtualità senza corpo.
E in questa prospettiva, come ci dice Heidegger, l’angoscia dello spaesamento può essere una risorsa: ci rimette alla nuda radice di noi stessi, lasciandoci perciò liberi di progettare la nostra esistenza.
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