Numerosissime sono le riforme tese a rilanciare l’Economia del nostro Paese: tra queste riveste fondamentale rilievo la tutela del Made in Italy. Nella guerra economica conseguente alla globalizzazione le diverse organizzazioni criminali transnazionali hanno copiato a 360° i marchi italiani creando un business miliardario a danno della nostra stessa economia: ciò anche per l’incapacità dei grandi competitors globali (Cina e USA), che non permettono di raggiungere accordi efficaci a combattere tale fenomeno.
Per l’Italia la mancanza di regole ha creato ulteriori problemi - nonostante l’indubbia qualità dei prodotti universalmente riconosciuta – che si aggiungono alla competitività dei Paesi emergenti (Cina) che possono contare su bassi costi di manodopera e quindi sui prezzi finali dei prodotti estremamente vantaggiosi, ancorché qualitativamente inferiori. Dopo la legge n° 99 del 2009 sulla marcatura del Made in Italy – punitiva delle aziende italiane che non specificano il luogo di provenienza della produzione della merce – un ulteriore passo verso la valorizzazione delle aziende che fabbricano interamente in Italia è dato dalla Legge n° 55 dell’8 aprile 2010 che prevede “Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n° 92 del 21.04.2010.
La legge vuole garantire la tracciabilità di ciascuna delle fasi della lavorazione di un prodotto, al fine di identificare e qualificare l’impresa produttrice e al fine di consentire ai consumatori finali di avere maggiori e dettagliate informazioni sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti acquistati. È stato regolamentato il sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell’indicazione Made in Italy, nonché le modalità per l’esecuzione dei relativi controlli, anche attraverso il sistema delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura.
Lo scopo della normativa è quello di tutelare la corretta informazione dei cittadini-consumatori e di punire al tempo stesso l’ingannevole o scorretto utilizzo dei marchi, tale da indurre – nel consumatore – l’erronea convinzione che si tratti di un prodotto italiano: nella sostanza si obbligano le imprese produttrici a dichiarare l’origine del prodotto ed il tipo di lavorazione che caratterizza lo stesso. I settori che potranno avvalersi dell’indicazione di origine interamente italiana dei prodotti – ossia il rinomato 100% Made in Italy – possono coinvolgere ogni categoria merceologica: dalle calzature agli accessori per la moda, dall’arredamento agli alimentari, dai cosmetici ai giocattoli etc. La Legge in argomento consta di soltanto quattro articoli. Il primo di essi istituisce un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti ed intermedi, intendendosi per tali quelli che sono destinati alla vendita, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna singola fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi. Ciò al fine di consentire al consumatore finale, colui che acquisterà l’oggetto in negozio, di ricevere un’adeguata informazione sul processo di lavorazione dei prodotti, informativa peraltro imposta dallo stesso Codice del Consumo (D. Lgs. n° 206, 6 settembre 2005: all’art. 6 prevede che i prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale, riportino chiaramente visibili e leggibili almeno le indicazioni relative: a) alla denominazione legale o merceologica del prodotto; b) al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell’Unione Europea; c) al Paese di origine se situato fuori dall’Unione europea; d) all’eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all’uomo, alle cose o all’ambiente; e) ai materiali impiegati e ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto; f) alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione d’uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto).
Sull’etichetta del prodotto l’impresa produttrice dovrà quindi fornire in modo chiaro e sintetico le informazioni circa la conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, garantendo il rispetto delle convenzioni siglate in seno all’Organizzazione Internazionale del Lavoro lungo tutta la catena di fornitura, nonché la certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, l’esclusione dell’impiego di minori nella produzione, e il rispetto della normativa europea e degli accordi internazionali in materia ambientale. L’impiego dell’indicazione “Made in Italy” è permessa esclusivamente per i prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione (descritte nella Legge specificamente per ogni merceologia) hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità. Il secondo articolo prevede l’emanazione da parte dei Ministri competenti di un regolamento contenente le caratteristiche che ciascun sistema di etichettatura debba avere, nonché le modalità di impiego dell’indicazione “Made in Italy” e le modalità per l’esecuzione dei relativi controlli, anche attraverso il sistema delle Camere di Commercio.
Particolarmente severo è il regime sanzionatorio per le eventuali irregolarità: l’art. 3 comma 1 stabilisce che la violazione delle disposizioni sopra esposte comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da € 10.000 a € 50.000, con un aumento della sanzione fino a due terzi nei casi di maggiore gravità, con la confisca ed il sequestro delle merci stesse. Se a commettere le violazioni di cui sopra è un’impresa, la sanzione può arrivare fino a € 70.000, con un aumento fino a due terzi nei casi più gravi, con la sospensione dell’attività per un periodo da un mese ad un anno nei casi in cui la violazione venga reiterata. Se la reiterazione riguarda le violazioni di cui al comma 1, si applica la pena della reclusione da uno a tre anni, e se tali infrazioni sono commesse attraverso attività organizzate, la reclusione sarà da tre a sette anni. L’art. 4 infine è norma processuale priva di rilevanza sostanziale. Il consumatore potrà finalmente avere certezza e garanzia sulla vera origine e qualità del prodotto italiano e quindi la garanzia del 100% Made in Italy. Tutte le merci che hanno i segni distintivi 100% Made in Italy potranno considerarsi vero prodotto italiano. Solo i negozianti in possesso delle vetrofanie, dei cartelli vetrina e dei segnaprezzo con il marchio 100% made in Italy, sono ufficialmente autorizzati alla vendita del “vero prodotto italiano”.
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