Vogliamo avviare il dibattito, partendo da una semplice domanda: cosa significa il termine “lavoro”? Da dizionario, il lavoro è “impiegare energie fisiche o mentali in un’attività produttiva”. Questa prima definizione ci porta a concepire il lavoro come ciò che genera un frutto, non necessariamente un oggetto o qualcosa di tangibile.
Se ampliamo la nostra ricerca tra i sinonimi del termine lavoro (quali impiego, mestiere, compito, incarico, responsabilità, impegno, occupazione, prestazione, opera, prodotto, fatica e sforzo), si apre un panorama ancora più affascinante, in quanto foriero di scenari molteplici e ricchi di valore sociale, etico, morale e pure economico. Infine, allarghiamo lo sguardo ai termini contrari alla parola “lavoro”: riposo, pigrizia, hobby, svago, divertimento, disoccupazione, festa, pensione.
Stando così la questione, per quale ragione, ad oggi, la parola “lavoro” porta con sé un vissuto negativo, quasi di oppressione e di costrizione? Come mai, si è persa quella connotazione positiva e propulsiva che il termine racchiude in sé? Perché il lavoro è il pilastro su cui si fondano le società se fa male alle persone? La stessa Costituzione italiana lo pone come diritto fondamentale per l’uomo: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, recita l’articolo 1 del testo.
Una risposta la possiamo trovare nell’etimologia del termine; dal latino labor, ossia fatica. Il resto lo ha fatto la storia. L’alternarsi delle vicende politiche e sociali e dei modelli economici hanno definito il lavoro, sottolineandone il valore in termini monetari e dunque identificando il lavoro essenzialmente come ciò che produce denaro. Sulla base di questo ragionamento, viene spontaneo chiedersi come definire ciò che l’uomo fa, pur impiegando energie fisiche e mentali, senza produrre denaro. Ma cosa ha rappresentato nel corso della storia il lavoro? E oggi, nel contesto informatizzato, robotizzato e globalizzato che gli uomini hanno creato per loro stessi, quale peso ha il lavoro? Una breve rassegna, certamente non completa ed esaustiva, del valore e del ruolo del lavoro per l’uomo, rileva alcuni aspetti significativi che, nel corso del tempo, ritroviamo collegati al concetto di lavoro.
Il primo riguarda il lavoro come orologio dell’individuo. Se chi lavorava in campagna scandiva la propria giornata con il percorso del sole e la propria attività lavorativa e personale con l’alternarsi delle stagioni, l’operaio e l’impiegato vedono scandita la propria giornata e la propria esistenza dal modello 8+8+8, ossia 8 ore da dedicare esclusivamente al lavoro, 8 ore da impiegare per attività personali slegate dall’attività lavorativa e 8 ore per il riposo. Tale strutturazione attribuisce al lavoro la funzione di regolatore del tempo, fornendo all’individuo uno schema in cui inserirsi e in cui riporre le proprie certezze.
Come ogni schema, però, anche tale modello priva l’individuo di libertà di movimento e di azione, poiché lo ingabbia in un meccanismo al cui interno ha pochissima libertà di movimento. In alcuni casi, si è parlato di alienazione dettata dal lavoro; il film Tempi moderni ne è un valido esempio.
Nello stesso momento, tale schema ha dato origine alla rete dei servizi collegati e contribuisce alla stabilità di alcune certezze, di cui l’uomo per sua natura necessita. Ad oggi, tale concezione del lavoro viene in contrasto con le nuove professionalità e con le continue richieste di flessibilità che lo stesso sistema produttivo avanza; flessibilità che determina quella che è stata definita, con termine che lascia all’uomo di strada poca speranza, incertezza esistenziale. La compresenza di questo modello lavorativo con un sistema più flessibile, diverso per requisiti di base e obiettivi dal mondo dell’imprenditoria e dei lavoratori autonomi, mette anche in discussione la concezione del lavoro come fatica, ma apre la prospettiva di libertà dal lavoro o addirittura, per alcuni, di libertà nel lavoro.
Il secondo significato vede il lavoro come strumento di distinzione sociale. Nel corso della storia moderna, abbiamo assistito a più dicotomie (operai vs. impiegati; colletti bianchi vs. tute blu; professioni manuali vs. professioni intellettuali), alcune delle quali sono divenute anche oggetto di cinematografia di rilievo come specchio della società.
Ci permettiamo di citare il caso del ragionier Ugo Fantozzi, come emblema di lavoratore, archetipo dell’italiano medio del suo periodo, divenuto simbolo di una classe sociale. Tale visione porta a sottolineare il concetto monetario del lavoro, per considerare che si è quello che si fa; chi possiede in misura maggiore dei beni materiali, assume un rilievo maggiore nella società che gli permette, in un circolo vizioso, di ottenere sempre di più. In tale caso, la valorizzazione delle cose materiali ha determinato la svalutazione dell’immateriale. La produzione di oggetti ha avuto il predominio sull’immaterialità.
Il terzo significato vede il lavoro come uno strumento di valorizzazione e di realizzazione sociale. Il lavorare pone l’individuo nella condizione di ricoprire un ruolo nella società, di essere riconosciuto e, non da poco, di riconoscersi come tale. In altri termini, l’individuo è tale perché fa qualcosa. Inoltre, se il lavoro porta alla valorizzazione nella società, come mai alcuni lavori portano con sé un vissuto negativo e di disprezzo sociale? Quante ricerche, soprattutto relative al mondo giovanile e alla mancanza di lavoro, sottolineano come i giovani oggi si ritrovano in una condizione di inoccupazione e/o disoccupazione perché non disposti a svolgere alcuni lavori socialmente disprezzati? È il lavoro in sé che è degradante oppure il valore che a esso viene attribuito?
A nostro avviso, riprendendo un pensiero dell’epoca capitalistica, il lavoro è al centro dell’uomo. Rispetto al passato, si è modificato il quadro entro cui il lavoro si realizza. Ad oggi, infatti, il lavoro è meno sicuro, più articolato, si inserisce in percorsi più accidentati; d’altro canto è più in linea con i nuovi modi di vivere e con i rinnovati valori e concezioni del pensiero. Quello su cui ciascuno di noi dovrebbe riflettere è l’individuazione della meta da raggiungere tramite il lavoro. Dovremo cioè riappropriarci della capacità di poter scegliere il tipo di lavoro e di vita che vogliamo vivere attivamente. Se, come riconosciamo, il lavoro è uno strumento, dobbiamo capire a cosa ci serve e farne l’uso che crediamo più appropriato alle nostre aspettative e ai nostri desideri giornalieri per essere noi stessi.
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