Le statistiche ufficiali rivelano che il costo dei prestiti alle imprese si è gradualmente ridotto dall’inizio dell’anno. Dai sondaggi condotti in primavera sono emersi segnali di attenuazione delle difficoltà di accesso al credito. Tuttavia i miglioramenti restano incerti e prosegue la debolezza delle quantità erogate anche a valle delle operazioni di rifinanziamento a tre anni dell’Eurosistema: tali operazioni hanno ridotto i rischi che si potessero verificare problemi nella liquidità delle banche e che questi potessero innescare una crisi sistemica, ma le tensioni sul debito sovrano continuano a influire negativamente sulla raccolta all’ingrosso delle banche italiane.
Le minori difficoltà di accesso al credito vanno anche lette alla luce di una domanda stagnante che, se da un lato riflette criteri restrittivi nell’erogazione del credito, dall’altro esprime l’indebolimento dell’attività produttiva come evidenziato dai ricorrenti aggiornamenti sulla decrescita del PIL.
Le statistiche ufficiali sembrano comunque evidenziare andamenti tipici di un contesto restrittivo, ma non così drammatici come emerge invece dai sondaggi con le imprese. Sembra esserci un problema di capacità delle banche di selezionare le imprese meritevoli, per cui la stretta creditizia si abbatte in modo indifferenziato su imprese di ogni dimensione e livello di rischio.
Dall’analisi dei risultati di un sondaggio condotto da Financial Innovations (www.financial-innovations.com) nel mese di marzo 2012, è emerso, infatti, che il primo segnale percepito dalle aziende come stretta creditizia è stato
l’aumento delle condizioni applicate. Secondo le imprese, però, la stretta creditizia si è manifestata anche con il rifiuto al rinnovo o all’aumento delle linee di credito. Da tale sondaggio si rileva che per migliorare il rapporto banca-impresa serve in particolare:
- un set informativo più completo da parte delle imprese;
- maggiore conoscenza dell’attività aziendale da parte delle banche;
- la disponibilità dell’imprenditore a ottimizzare la struttura finanziaria dell’azienda.
Le imprese dichiarano la loro consapevolezza circa l’importanza di migliorare il set informativo da presentare alle banche. In particolare, riconoscono la necessità di migliorare la quantificazione del fabbisogno finanziario futuro, la
trasparenza sull’effettivo valore dei crediti commerciali e sulle prospettive industriali dell’azienda (business plan). Le aspettative delle imprese sono di banche più attente sia a fornire il supporto finanziario a progetti di sviluppo dell’impresa sia a dotarsi di una maggiore capacità di selezionare le imprese che meritano credito.
Solo in misura inferiore, invece, ci si attende tempi di risposta più brevi da parte delle banche e migliori condizioni (tassi di interesse e commissioni) alle imprese migliori (ovvero meno rischiose).
In conclusione, la situazione è tipica dei momenti di discontinuità in cui si diffonde una certa confusione nei criteri di valutazione del merito di credito, per cui la percezione delle imprese è peggiore della situazione effettiva, indice che le banche stanno adottando approcci poco selettivi. Ad avviso di chi scrive, la ripresa di un dialogo costruttivo tra Banca e Impresa richiede impegno da entrambe le parti e tempi spesso non compatibili con le condizioni e i fabbisogni strutturali che caratterizzano larga parte del sistema finanziario e industriale italiano. La situazione va infatti letta anche in relazione alla maggiore dipendenza strutturale delle imprese italiane dal credito bancario rispetto ad altre fonti di finanziamento: il debito delle imprese italiane sul PIL ha superato l’82% e la quota del debito verso le banche ha raggiunto circa il 60%. Dal 2007, queste stesse incidenze sono aumentate di 8-10 punti percentuali sul PIL.
Il debito continua a salire in una situazione recessiva, in presenza di oneri crescenti al servizio del debito e di compressione di margini e autofinanziamento. L’eccesso di leva finanziaria è una debolezza che riguarda entrambe le parti in causa (imprese e banche) e rappresenta un peso che può inficiare qualsiasi intervento per la crescita.
La necessità di forme alternative di finanziamento
Spread elevati e carenza di offerta di finanziamenti a medio termine da parte del sistema bancario aprono una “finestra di mercato” interessante su forme alternative di funding (finanziamento) per le piccole e medie imprese (PMI). Nonostante i costi e la complessità operativa sottostante, l’emissione di obbligazioni potrebbe diventare ad esempio una soluzione di finanziamento molto competitiva, anche per le imprese di minori dimensioni, come peraltro incentivato dalle nuove possibilità previste dal Decreto Sviluppo.
Tali obbligazioni potrebbero essere sottoscritte da intermediari finanziari, pubblici e privati, alla ricerca di rendimenti più interessanti dei titoli di Stato o delle obbligazioni investment grade (giudicate idonee a preservare il capitale investito, ndr). A tale fonte potrebbero ricorrere in primis le imprese con buona redditività che necessitano di risorse finanziarie per progetti di investimento, in particolare volti all’internazionalizzazione.
Le obbligazioni dovrebbero avere tipicamente una durata di 3-5 anni, con importi minimi per singola operazione a partire da 1 milione di euro, cedola fissa o variabile, spread allineati al mercato bancario. In tale ottica, l’intervento
di soggetti pubblici e privati che operano nel mercato delle garanzie e già dispongono di specifiche risorse finanziarie (es. SACE, SIMEST, FINEST, Fondo di garanzia, Fondo Italiano Investimento, FEI, Confidi) risulterebbe fondamentale per migliorare la qualità delle emissioni e per conferire spessore al mercato stesso. Anche la fiscalità su tali strumenti andrebbe adeguata, individuando forme di incentivazione fi scale, anche temporanee, per le società emittenti e per eventuali investitori privati (interessi e capital gain).
Il ruolo degli investitori e dei Fondi Specializzati
I fattori di debolezza strutturale delineati e le condizioni di mercato richiedono, per le PMI, una riflessione seria sul problema della sostenibilità degli equilibri finanziari e della struttura del debito, facendo maggiore ricorso a forme di indebitamento “non creditizie”. Dall’altro lato le banche, in particolare quelle medio-piccole, potrebbero veicolare tali interventi su investitori specializzati, interni e/o esterni, realizzando anche forme di partnership interbancarie.
Ne guadagnerebbero il profilo di rischio complessivo e la possibilità di convogliare masse critiche di risorse. Le obbligazioni potrebbero essere acquistate da fondi di investimento dedicati alle PMI, da comparti dedicati di fondi specializzati sul debito, oppure essere oggetto di cartolarizzazione. In particolare, quest’ultima soluzione potrebbe consentire di aumentare la “diversificazione” del portafoglio obbligazionario e attirare investitori interessati a operazioni di maggiori dimensioni. Gli investitori/sottoscrittori di questi fondi specializzati nel debito sarebbero tipicamente investitori istituzionali (Fondazioni, Fondi pensione italiani ed esteri, Assicurazioni, Organismi sovranazionali, ecc.), intermediari specializzati nel private placement e privati. Merita una considerazione a parte il ruolo delle Regioni, delle Finanziarie regionali e delle Associazioni Industriali territoriali.
Le Regioni potrebbero stipulare convenzioni con intermediari specializzati per favorire interventi nell’ambito di specifiche condizioni, verificandone la sussistenza attraverso le Finanziarie regionali. Con le Associazioni Industriali esse potrebbero promuovere la realizzazione di “Centri di Documentazione Imprese” (Centrali di Bilancio territoriali) al fine di migliorare le caratteristiche di trasparenza e di affidabilità, anche prospettica, dell’informativa riguardante i profili reddituali e patrimoniali delle PMI. Creare, dunque, un “ecosistema locale” che favorisca la sostenibilità del debito delle PMI con sviluppo di queste forme alternative di finanziamento.
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