La questione della risarcibilità da insidia stradale è sempre stata alquanto controversa, ma oggi – finalmente – sembra vi sia un consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali. La Cassazione Civile con sentenza n. 6903, emessa il giorno 8 maggio 2012, dirime i dubbi sussistenti in merito ai danni provocati da insidia stradale.
La prima questione analizzata dalla suddetta sentenza consiste nell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione (P. A.). Applicando tale disciplina, al danneggiato spetterebbe sostanzialmente la prova dell’anomalia della sede stradale e del nesso causale tra detta anomalia e l’incidente; la Pubblica Amministrazione avrebbe invece l’onere di fornire prova di eventuali fatti incidenti sulla sua responsabilità che, ai sensi della norma, si presume.
La Suprema Corte evidenzia che, in riferimento al demanio stradale, la possibilità concreta di esercitare la custodia della strada da parte della P.A. va valutata alla luce di una serie di criteri – quali l’estensione della strada, la posizione, le dotazioni e i sistemi di assistenza che la connotano –, pertanto solamente l’oggettiva impossibilità della custodia, intesta come potere di fatto sulla cosa, esclude l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione stabilisce espressamente i casi in cui l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. possa ritenersi pacifica:
- in primis, nel momento in cui sussista per la P.A. la concreta possibilità di esercitare la custodia sul tratto di strada. Ciò si verifica quando l’evento dannoso avviene su un tratto stradale che al momento dell’evento era, in concreto, oggetto di custodia. Tale situazione è tipica delle strade ubicate all’interno dei centri abitati;
- in secondo luogo, nel caso in cui sia stata proprio l’attività compiuta dalla P.A. a rendere pericolosa la strada medesima, con conseguente obbligo della stessa di osservare le specifiche disposizioni normative disciplinanti detta attività, le comuni norme di diligenza e prudenza, nonchè il principio generale del “neminem laedere”.
Quanto al secondo profilo approfondito nella pronuncia della Corte, quest’ultima ha evidenziato l’ipotesi in cui sussita il concorso di colpa del danneggiato nella causazione del danno.
Viene evidenziata la necessità di valutare l’eventuale comportamento colposo del danneggiato, poichè esso incide sul nesso causale, potendo escluderlo o ridurne l’apporto in relazione ai danni subiti, secondo la regola di cui all’art. 1227 c.c., espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso. L’esistenza di un comportamento colposo dell’utente danneggiato, pertanto, riduce – fino ad escludere – la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere in nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso.
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