Presidente, partiamo dalle basi: che cos’è la Società Filologica Friulana?
«È un’associazione privata riconosciuta come Ente morale con un Regio Decreto del ’36: sopravvisse così al Fascismo e alla sua ostilità nei confronti delle minoranze. La Filologica è per statuto apolitica e apartitica, ma al momento della sua fondazione, in clima di Irredentismo, era considerata filo-italiana. Certamente riceviamo finanziamenti pubblici; tuttavia, il contributo della Regione copre nemmeno il 40% delle spese istituzionali. Godiamo anche di fondi ministeriali e, per alcuni progetti specifici, siamo sostenuti da alcuni enti locali. Tuttavia, il patrimonio reale non è tanto quello che ci consente di chiudere ogni anno con un bilancio di 700-800.000 euro, garantito dalle nostre pubblicazioni (oltre 20.000 da quando siamo nati), ma sono soprattutto i nostri 3.000 soci e la lingua e la cultura friulane».
Quali sono le attività che svolge la Filologica?
«Oltre ai corsi di friulano, alcuni specifici per la formazione dei docenti, ci occupiamo di lingua, letteratura, storia, arte, cultura e toponomastica del Friuli, con libri, progetti di lungo corso, concorsi per studenti e anche pubblicazioni rivolte ai bambini. Attraverso le tre riviste per i soci, Sot la Nape, Ce fastu? e Strolic, rendiamo conto della nostra attività scientifica e di divulgazione e promozione della marilenghe. Infine, alla Filologica spetta la gestione della sede udinese di Palazzo Mantica e della preziosa biblioteca della Società».
La legge italiana riconosce il friulano come lingua; d’altro canto, nelle discipline glottologiche non esiste una definizione univoca né di dialetto, né di lingua: è un problema politico più che scientifico. Perché, dunque, per lo Stato italiano il veneto è un dialetto e il friulano una lingua?
«Ciò che definiamo ‘lingua’ ha uno spazio comunicativo che il dialetto non ha: è usata nell’ufficialità, nella scuola, nell’amministrazione, nella scienza. In secondo luogo, se esiste una lingua ‘tetto’, ossia nazionale e ‘franca’ per tutto lo Stato, affinché una parlata regionale sia riconosciuta a sua volta come ‘lingua’ è necessario che la distanza fra le due sia profonda. Ebbene, il friulano trova ampio spazio nella comunicazione ufficiale e ha delle specificità grammaticali che in italiano non esistono: dunque, il friulano è una lingua, perché soddisfa tutte le esigenze della comunicazione già ricordate e presenta poche differenze con l’italiano (lingua tetto)».
Nelle diverse zone del Friuli si parlano varietà differenti di friulano; la Filologica propone invece una lingua comune ‘normalizzata’ sulla base della parlata ‘collinare’: nel vostro sito si afferma che «è sicuramente importante che i Friulani conservino le loro parlate locali, le varianti, nei rapporti informali e per l’espressione poetica, ma è ancora più importante che imparino a utilizzare la lingua comune soprattutto nei rapporti formali, nello scritto, nella prosa e per i messaggi destinati a tutti i Friulani». Ma è un’operazione possibile?
«La lingua comune è riconosciuta già dalla legge reg. 15/1996, ora sostituita dalla 29/2007. Ognuno ha il pieno diritto di parlare la propria varietà di friulano, un modo per preservare la fraseologia e quella particolare ricchezza che, nel contatto con l’italiano, si perdono. Ma è innegabile – senza arrivare a ridicole crociate – l’opportunità, quando non la necessità, di una lingua ponte comune per tutti i Friulani, soprattutto nelle occasioni ufficiali. Certo che è un’operazione possibile, ma ci sono delle oggettive difficoltà».
Pasolini scrisse nel friulano della sua Casarsa perché questo, cito da Volontà poetica ed evoluzione della lingua, «si è prestato quietamente a farsi tramutare in linguaggio poetico, che da principio era assolutamente divelto da ogni abitudine di scrittura dialettale, da ogni interesse glottologico e folcloristico, in una completa dimenticanza di simili problemi. Per me era semplicemente una lingua antichissima eppure del tutto vergine». Ne sono nati capolavori che hanno fatto conoscere il nome e la parlata del Friuli in tutto il mondo: è davvero «più importante» che i Friulani «imparino a utilizzare la lingua comune» anziché soffermarsi su opere come queste?
«Non è questione di importanza: la letteratura è un ambito diverso dalla comunicazione ufficiale ed è giusto che goda di una ‘licenza’ particolare; se è per questo, anche la prosa più recente in friulano prescinde dalla grafia normalizzata. Tuttavia, è molto importante che i Friulani siano in grado di parlare una lingua comune al di là delle diverse varianti: non come fine, ma come mezzo».
I cartelli bilingui e il t9 per gli sms in friulano: la Filologica come si pone di fronte a tutto ciò? Sono davvero operazioni volte alla salvaguardia della marilenghe oppure ha ragione chi condanna l’esborso di risorse finanziarie per queste iniziative?
«Ognuno ha il diritto di valutare quali politiche linguistiche siano migliori. Di sicuro, non dobbiamo creare riserve indiane: se è vero che la seconda città ‘friulana’ al mondo è Toronto, ci rendiamo conto che la nostra è una lingua inclusiva, non è fatta per escludere. Purtroppo l’Italia non ha ancora sottoscritto la legge quadro europea sulle minoranze linguistiche, nonostante l’art. 6 della Costituzione. Venendo alla domanda, non serve impuntarsi su un progetto particolare: occorre una visione d’insieme per il medio e lungo termine».
L’associazione culturale Cervignano Nostra e il Comune di Cervignano hanno ottenuto il privilegio di ospitare nella propria cittadina il congresso annuale della Filologica. Di che cosa si tratta?
«È un piacere e anche un dovere tornare nel capoluogo della Bassa, dopo molti decenni. Questo è il congresso numero 89: un traguardo che la dice lunga sull’attività della Filologica. Nel dettaglio, si tratta di un convegno aperto ai soci e a tutta la cittadinanza in cui si fa il punto degli studi storici sul comune ospitante. In occasione del congresso, la Società realizza una monografia sulla località in questione: credo che nessuna regione italiana possa vantare pubblicazioni così approfondite. Tra l’altro, la Filologica negli ultimi anni si è aperta anche all’estero: nel 2000 ha avuto grande seguito il congresso di Klagenfurt, così come nel 2003 a Lubiana. Il vero obiettivo, oggi, è tutelare tutte le minoranze linguistiche, in un’ottica internazionale».
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