La “grande crisi” ha messo a nudo le carenze della corporate governance in molteplici contesti, non solo quello finanziario.
Ormai quasi tutte le aziende si sono adeguate agli standard normativi e, sulla carta, alle cosiddette governance best practices (ovvero buone pratiche di governance: numerosità dei membri, presenza di indipendenti, comitati, ecc.). Ma qual è il contributo dei Consigli di Amministrazione (CdA) al successo delle aziende? Quante imprese possono contare su CdA efficaci per il loro successo competitivo, reddituale e, non ultimo, sociale? Non che per la creazione di valore sostenibile e duraturo nel tempo?
I CdA sono spesso visti ed interpretati come meccanismi di controllo dell’azione del management in virtù di approcci che si focalizzano sul cosiddetto problema dell’Agenzia, ovvero il conflitto di interesse tra azionisti e management, tra la proprietà e chi gestisce operativamente l’azienda. Il problema delle pratiche scorrette del management è tuttavia solo una parte del discorso e nell’attuale contesto nemmeno la più importante. Di fatto i CdA hanno frequentemente fallito in questo ruolo di indirizzo e controllo, come dimostrano i tanti casi di mala-governance (da Parmalat a Fondiaria), mentre non hanno aggiunto valore per il successo competitivo e sociale delle proprie aziende.
Eppure oggi i CdA dovrebbero essere attori fondamentali nei processi di rilancio ed uscita dalla situazione di crisi, operando come un leadership team coeso e disponendo di leve e poteri che il team manageriale non ha. Il ruolo strategico dei CdA è molto diverso da quello del management: dalla supervisione della realizzazione delle iniziative strategiche, alla creazione di consapevolezza sui rischi di diverse opzioni di sviluppo, alla più ampia visione dei cambiamenti che avvengono in altri business e contesti sociali, alle capacità predittive sugli impatti di discontinuità esterne, al supporto che deriva dalla posizione sovraordinata nelle relazioni con gli ambienti esterni di riferimento ed i diversi portatori di interesse, alla definizione e sviluppo di sistemi organizzativi e gestionali che possono meglio supportare la definizione e la realizzazione di adeguate strategie e politiche aziendali.
Questo ruolo oggi è ancora più cruciale in quanto i team manageriali sono sempre più oberati e stressati nella gestione di complessità organizzative crescenti, dalla realizzazione di cambiamenti nei modelli di business, da nuovi rischi ed opportunità che sempre più frequentemente emergono da condizioni di mercato e competitive in continua evoluzione. I team di management non possono essere lasciati soli di fronte a tutte queste sfide. Né il management, in assenza di un ruolo efficace dei CdA, può sostituirsi ad essi: i casi in cui ciò avviene sono forieri delle più perniciose ricadute sulle performance aziendali, in una confusione di ruoli che alimenta deresponsabilizzazione, conflitti di interesse, azzardo morale e comportamenti opportunistici (i cosiddetti free riding). Fenomeni, questi, diffusi anche nel settore pubblico, in cui non c’é la possibilità di controllare le azioni di chi tende ad appropriarsi di risorse, allocarle a discapito di altre parti ed a perseguire interessi di brevissimo periodo. E soprattutto quando non vi sono successivi scambi nei quali temere di essere sanzionati per il comportamento adottato. I miglioramenti introdotti nella corporate governance dopo e durante la crisi non sono risultati funzionali a rimediare tali punti di debolezza. C’è ancora troppa distanza tra il mondo dei consiglieri di amministrazione, del consiglieri delegati e dei CEO (Chief Executive Officer, ovvero amministratori delegati) ed il mondo reale dei clienti, fornitori, dipendenti e più in generale dei sistemi competitivi e sociali. Il mondo della governance aziendale è spesso affetto da autoreferenzialità: gli attori interagiscono prevalentemente con se stessi e con i loro pari, secondo modalità ripetitive e consolidate che prevedono contatti saltuari con il management, talvolta più spesso con analisti e consulenti. Consigli di Amministrazione con una rappresentanza azionaria numericamente ampia e frammentata spesso soffrono di una scarsa conoscenza ed insufficiente esperienza del settore e del business aziendale. Ciò è aggravato dalla carenza di rapporti con i portatori di “buoni” interessi, ovvero con gli stakeholders che meglio possono supportare la creazione di valore sostenibile nel medio lungo termine e la creazione di esternalità positive. Spesso sono gli ultimi a percepire rischi attuali e passività potenziali che poi si traducono in disastri per l’azienda e per l’ambiente di riferimento.
Un modo di identificare i soggetti che possono contribuire positivamente alla governance aziendale è quello di utilizzare l’analisi del rischio d’impresa. Per sostenere e migliorare l’integrità patrimoniale e la creazione di valore, si dovrebbero introdurre nuove prassi per identificare chi è nella posizione migliore – per ruolo, relazioni e competenze – per fornire prospettive operative realistiche e funzionali alla missione ed agli interessi dell’impresa. Per le iniziative di crescita importanti, l’analisi dei rischi di un progetto può aiutare ad identificare gli attori chiave il cui buy-in e l’impegno sarà essenziale per il successo.
Per le operazioni di sviluppo per linee esterne (acquisizioni, alleanze, ecc.) l’ analisi dei rischi di integrazione è in grado di evidenziare i soggetti interni ed esterni che sono critici per la loro realizzazione. E cosi via. In sostanza si tratta di introdurre nuove prassi e processi di analisi, valutazione e decisione per i CdA. Si tratta inoltre di sviluppare nuovi canali informativi e luoghi organizzativi di comunicazione e confronto con i “buoni” portatori di interessi, interni ed esterni. Ad esempio, per assicurare un continuo contatto con gli ambienti chiave di riferimento dell’impresa risulterebbe utile una maggiore e qualificata presenza diretta dell’azionista nei Consigli di Amministrazione. Si potrebbe anche pensare alla istituzione di alcuni Comitati a supporto del CdA, preposti alla pre analisi e valutazione di tematiche chiave per il business dell’impresa, al fine di supportare processi decisionali più informati e consapevoli. In alcuni contesti, ad esempio, potrebbero essere funzionali Comitati investimenti, in altri Comitati Sviluppo Prodotti, in altri ancora Comitati Rischi o di Valorizzazione del Brand. Comitati “aperti” alla partecipazione di “buoni” portatori di interessi, nonché a dipendenti, clienti, fornitori, partners, ecc.
Nell’era dei social network e dell’economia digitale i CdA dovrebbero anche disporre di flussi informativi a due vie, in particolare sulla reputazione e sull’immagine che la propria azienda proietta all’esterno. In sintesi le aziende hanno bisogno di CdA più aperti e connessi verso l’interno e l’esterno, adottando nuove prassi, regole e strutture per migliorare e sviluppare le capacità di indirizzo, controllo e coordinamento nell’interesse dell’azionista e tenendo conto di quelli delle comunità di riferimento.
Commenta per primo