È discriminatoria la condotta della pubblica amministrazione che neghi i congedi di paternità sul rilievo che la moglie dell’impiegato sia una casalinga. È quanto ha stabilito il Tribunale di Venezia con la sentenza 9 febbraio 2012, n. 192. Il padre, pertanto, ha la facoltà, nonché il diritto, di fruire dei riposi giornalieri e dei congedi di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151. La gestione familiare e casalinga è, a tutti gli effetti, da considerarsi un lavoro. Così, soprattutto, in un’ottica legislativa. L’ufficio giudiziario ha condannato la Questura ad un risarcimento pari ad euro 9.750,00 in favore di un dipendente che si era visto negare i congedi per malattia della figlia. Nello specifico, la vicenda riguardava la mancata concessione, ad un dipendente del Ministero dell’Interno presso una Questura con mansioni di collaboratore amministrativo, del diritto a fruire dei riposi giornalieri e del congedo per malattia del figlio, ex artt. 40 e 47 del Testo Unico. In particolare, al padre della piccola, affetta da handicap grave, i riposi e il congedo richiesti venivano negati in ragione del fatto che la moglie, madre della medesima bambina, fosse casalinga. Ai sensi dell’art. 40 del Testo Unico sopra menzionato, i periodi di riposo sono riconosciuti al padre lavoratore: nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; in caso di morte o di grave infermità della madre. A sua volta, l’art. 47 dispone che entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a tre anni. Ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i tre e gli otto anni. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto. Il Tribunale ha stabilito che la negata concessione dei riposi giornalieri al lavoratore, la cui moglie sia casalinga, leda la normativa finalizzata a sostenere la famiglia, nonchè la maternità atteso che “la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche; nella fattispecie è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione”. La decisione ha accertato la natura discriminatoria del comportamento tenuto dall’amministrazione consistito nel diniego al padre-lavoratore della possibilità di fruire dei permessi ex art. 40 e del congedo di malattia figlio ex art. 47 in base al fatto che il marito fosse il coniuge di moglie casalinga. La sentenza ha sottolineato che altre amministrazioni pubbliche e i datori di lavoro privati, al contrario, riconoscono pacificamente tale diritto. Inoltre, la pronuncia ha attestato che il lavoro della casalinga deve essere definito quale attività lavorativa. Prendendo le mosse da un bisogno individuale di un lavoratore, la sentenza ha reso possibile il rispetto di un diritto che ora può declinarsi in una dimensione collettiva.
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