Il dibattito sul tema della crescita che non c’è si sta sviluppando tra ricette e posizioni che poco hanno a che vedere con un sereno e razionale confronto sui nodi strutturali e sulle relazioni di causa-effetto che da oltre un decennio hanno zavorrato lo sviluppo del Paese. Sviluppo è produrre ricchezza, ma lo è anche il suo reimpiego, la sua riallocazione attraverso un sistema di strumenti materiali ed immateriali che accrescano il “bene comune” della società.
Si dirà che di questi tempi c’è poco da reimpiegare se non c’è produzione di ricchezza (PIL, Prodotto Interno Lordo), dato anche l’elevato livello di intermediazione “pubblica” (Stato, Regioni, Provincie, Comuni, enti pubblici economici, ecc.) nell’ appropriazione e gestione delle risorse generate. Gli strumenti materiali ed immateriali che possono abilitare o zavorrare la crescita, ovvero la produzione di ricchezza, sono sostanzialmente gli stessi che ne condizionano un’efficace reinvestimento nel “bene comune” (istruzione, sanità, infrastrutture, welfare, servizi al cittadino, ecc.). In questa prospettiva molte cose appaiono più chiare: la ricchezza prodotta è condizione necessaria ma non sufficiente per generare sviluppo. Anche se essa è prodotta ma viene mal distribuita, gestita peggio e rimane nelle mani di pochi, non c’è sviluppo socio economico per i molti e alla lunga finisce per non esserci sviluppo neppure per i pochi. Ed il “bene comune” non si amplia.
Anche la ricchezza mal distribuita deprime il mercato interno: l’efficacia allocativa diventa dunque una delle condizioni chiave dello sviluppo economico sociale e non solo, come alcuni vogliono far credere, un dovere solidaristico nei confronti dei meno fortunati. Una grande attenzione va quindi posta alle condizioni che abilitano lo sviluppo ed il benessere della società. Se potessimo avere davanti in modo trasparente i criteri di allocazione delle risorse finanziarie, ma anche umane e tecniche, adottati correntemente nel settore pubblico e li confrontassimo con le priorità e modalità di allocazione e gestione connessi al concetto di sviluppo, avremmo delle belle sorprese. Potremmo scoprire che è più facile la sussidiarietà verso l’alto che non verso il basso, scopriremmo che la non conoscenza dei propri diritti/doveri e la rassegnazione (“è sempre stato cosi..”) passa sopra alla “mala gestione” proprio perché non esiste questa trasparenza. In particolare la trasparenza e le regole di gestione della cosa pubblica. In sintesi, le regole e la trasparenza nel governo (governance) del bene comune.
Il punto centrale è che la comprensione del deterioramento delle performance di crescita del nostro Paese richiede di andare oltre i ben noti punti deboli che hanno frenato l’Italia. Perché la sua crescita si è rallentata intorno alla fine degli anni ’90 e con l’introduzione dell’Euro? Sono diminuiti gli investimenti in capitale fisico e umano? Sono diminuiti gli investimenti in ricerca e sviluppo? Sono peggiorate le regolamentazioni del mercato del lavoro, degli altri mercati, dei fattori produttivi? La risposta è no: questi fattori sono migliorati in termini relativi (rispetto alla media degli altri Paesi dell’Euro) e spesso anche in termini assoluti. I fattori che si sono deteriorati in modo assoluto e rispetto al nucleo della Zona Euro sono indicatori di governance, quali lo stato di diritto e del corpus legislativo-normativo che regola le organizzazioni pubbliche e quelle private. Come evidenziato in una recente pubblicazione di Daniel Gros (Direttore del Centre for European Policy Studies) i parametri mondiali sulla governance mostrano per l’Italia un progressivo peggioramento soprattutto quando si tratta dello stato di diritto, dell’efficacia del governo ai vari livelli, e del controllo della corruzione. La sottoperformance relativa del nostro Paese non può essere imputabile a una carenza di capitale fisico o umano. Nell’ultimo decennio l’Italia, a fronte di investimenti annui in capitale fisico e umano pari a quasi il 20% del suo PIL (una percentuale più elevata rispetto alla Germania), ha ora un prodotto lordo di poco superiore a quello di dieci anni fa (il PIL reale è aumentato solo del 5%). Come spiegare il basso rendimento di queste risorse? Come mai non si traducono in maggiore sviluppo? E come mai il “bene comune” non si amplia? Purtroppo l’importanza di una migliore governance a tutti i livelli, centrali e periferici, non è ancora pienamente compresa e riceve poca attenzione nel dibattito politico nazionale. Tuttavia, è proprio sui progressi su questo fronte che si giocano le maggiori possibilità di riprendere un percorso di sviluppo: riformare i sistemi ed i meccanismi di governance potrebbe essere più fondamentale per la crescita rispetto alle riforme che si stanno con fatica cantierando.
Una parte importante delle problematiche da superare concerne infatti il governo della crescita, sia nella fase di produzione che di riallocazione della ricchezza, per migliorare l’efficienza ed il rendimento degli investimenti di matrice pubblica e privata. Preme a questo riguardo sottolineare che il tema della crescita va contestualizzato anche a livello regionale, in quanto le diverse caratteristiche socio economiche e specializzazioni industriali richiedono politiche per lo sviluppo e l’innovazione differenziate. Ha sempre meno senso sviluppare a livello nazionale o europeo politiche di sviluppo/innovazione indifferenziate, così come non ha molto senso definire che un sistema regionale “deve” raggiungere l’x % della ricerca sul proprio PIL. Ciò denuncia un gap conoscitivo ed una distanza cognitiva rispetto all’esigenza di concepire lo sviluppo e l’innovazione come un processo piuttosto che come un atto di politica industriale. Un processo che si esplica in un “ecosistema” che collega imprese, università, centri di ricerca e mercati.
Il ritardo sul fronte di una nuova governance dello sviluppo e dell’innovazione si evidenzia nell’incapacità di riconoscere sistemi ed agglomerati industriali locali che esigono interventi diversi e specifici per rendere gli investimenti in sviluppo ed innovazione efficienti. Una buona governance comprende azioni di interconnessione ed intermediazione trasparente su più fronti: nei riguardi delle imprese, facilitando e canalizzando i loro fabbisogni nella ricerca di soluzioni innovative e tecnologiche; nei confronti dei centri di ricerca per trovare e trasferire applicazioni innovative alle tecnologie esistenti; verso l’università per mettere a disposizione delle imprese capitale umano adeguato. In Italia non mancano ecosistemi dell’innovazione le cui singole componenti si pongono spesso ai vertici dell’eccellenza nel loro campo, ma non sono interconnesse, operando come dei silos autonomi. Sono ecosistemi inefficienti cui affluiscono importanti risorse pubbliche che non scaricano nel territorio il loro potenziale di generazione di sviluppo occupazionale e sociale. La crescita si può “organizzare” attraverso ecosistemi interconnessi da buone regole di governance nell’allocazione e gestione di risorse materiali ed immateriali. Ciò consentirebbe la formulazione e la messa a terra di strategie di sviluppo regionali incentrate sull’innovazione. Rimuovendo le zavorre.
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