Questo è un viaggio da fare in bici almeno fino a Cervignano; poi, dal porto cittadino al mare, l’ideale è la barca... ma se non l’avete o non conoscete nessuno che vi possa portare, la bici è perfetta anche fino alla foce. Ed è proprio così che ho viaggiato io, più volte. Le foto sono state scattate in vari momenti dell’anno: l’Ausa ha un fascino diverso a seconda delle stagioni.
DA NOVACCO A MUSCOLI
La partenza è Novacco, delizioso aggregato di case nel comune di Aiello: il nome del borgo denuncia un sostrato celtico. Gli scavi archeologici nella zona hanno riportato alla luce numerosi reperti, dalla protostoria fino al V sec. d.C. Due su tutti: una villa romana e una necropoli con una quarantina di tombe. E l’Ausa? Eccolo, il nostro fiume, che proprio qui nasce dalla confluenza delle rogge Sobresco e Barisada, ancora delle dimensioni di un rigagnolo. Cerchiamo di seguirlo con la bici, ma oltre il ponte di Novacco è impossibile, poichè le sponde toccano giardini di case private.
Dopo aver percorso una strada sterrata ci ritroviamo allora a Molin di Ponte, già in comune di Cervignano: qui, il fiume è costeggiabile dalla parte sinistra. Il paesaggio è suggestivo: le acque, popolate da germani reali e gallinelle d’acqua, si snodano fra salici, prati e campi. Purtroppo, dell’antico borgo, che formava un’unica proprietà terriera, nulla è rimasto: la mano assassina dell’uomo l’ha raso al suolo nel 1969, dopo vari passaggi di mano. Possiamo farci un’idea dello splendore guardando le foto d’epoca: la villa padronale, il pozzo, addirittura le case dei coloni affrescate all’esterno. Di tutto questo, oggi, rimane solo la vecchia fontana.
Seguendo il corso del fiume, Molin di Ponte cede il passo a Muscoli. La sponda sinistra, facilmente percorribile, affianca un ambiente grazioso, con le viti e i pini marittimi ad accompagnare lo sguardo. In pochi minuti si arriva nel punto in cui l’Ausa riceve le acque della roggia Pusianich, ma si riesce ancora per poco a seguirlo: gli argini si fanno fittissimi di vegetazione e si è costretti ad uscire sulla strada di ghiaia che sbuca, da Muscoli a Cervignano, in via Ramazzotti. Qui entrano nell’Ausa la roggia Fredda e il rio Taglio. È in quest’area di incroci idrici che, alla fine dell’Ottocento, si rinvennero vari oggetti risalenti al Bronzo recente (1200-1100 a.C.), senza dimenticare quelli scoperti proprio nell’Ausa: tronchi d’albero lavorati, palizzate, corna di cervo, armi e tre asce del X-XI secolo.
L’AUSA A CERVIGNANO: GABRIELE D’ANNUNZIO E BIAGIO MARIN
Da via Ramazzotti il fiume esce dalla nostra vista, perdendosi fra proprietà private: lo si ritrova in via Trento, da dove in un attimo si arriva al ponte di ferro di via Udine. Qui, nel cuore di Cervignano, l’Ausa costeggia varie residenze storiche, ma una ci interessa in particolare, sulla riva destra: è un edificio che oggi ospita un bar e vari uffici, apparentemente anonimo. Ma se ci avviciniamo, notiamo una targa che commemora la presenza, nello stabile, dal 1915 al 1917, di Gabriele D’Annunzio. Il Vate era al seguito della III Armata nella Prima Guerra Mondiale e si stabilì in due stanze predisposte per lui dal proprietario; in un paragrafo del romanzo Leda senza cigno abbiamo anche la fortuna di leggere una rapida descrizione di quelle camere: «Rientro nel mio rifugio sull’Ausa, nelle mie due stanze basse che la mania di un cacciatore o di un ornitologo paesano riempì di uccelli impagliati. L’occhio sfugge i palmipedi per confortarsi nelle immagini della Nike di Samotracia, della Vittoria di Brescia. Che farò per attendere il domani?» Oltre alla Leda senza cigno, D’Annunzio scrisse qui i Tre salmi per i nostri morti; inoltre, dall’Ausa trasse ispirazione per alcune belle pagine del Notturno.
Tornando sulla sponda sinistra, la strada conduce alla chiesa di San Michele, con il suo campanile medievale (più volte rimaneggiato) che veglia ancora su quello che fu il porto romano del paese, riportato a nuova vita dai Veneziani, fra il Quattrocento e il Cinquecento, e molto sfruttato negli anni dell’impero Austro-Ungarico. A chi passa distratto, la chiesa non sembra dire molto: la facciata neoclassica denuncia l’epoca di edificazione, alla fine del Settecento. Ma l’attuale chiesa sorge sopra un’abbazia longobarda del VII secolo, che a sua volta fu costruita sopra un edificio romano del I d.C. Di tutto questo sovrapporsi di epoche storiche rimangono molte tracce. Murata sulla facciata, fa bella mostra di sé una lapide del I d.C. Inoltre, nel piazzale anteriore, una teca di vetro copre un mosaico longobardo, mentre sotto la chiesa, nel 1992, è stato ritrovato un tesoro immenso. Tra i reperti minori si segnalano anfore, ceramiche, monete romane, medievali, venete, della contea di Gorizia, ma anche più recenti; e poi anelli, medaglie, lamine, lucerne, ceramiche e monili, fibule e vari altri oggetti di uso quotidiano. Innumerevoli i frammenti di mosaici e intonaci, nonché resti di animali: alcuni denti, un frammento di corno in osso e una zanna di cinghiale. Tutto questo ben di Dio è custodito in un deposito, nell’attesa di una sistemazione adeguata. Intanto, chiedendo il permesso ai custodi, si può visitare la cripta, dove abbondano le tombe, molte ancora con scheletri umani, e dove ammiriamo una fornace antica, canalette per lo scolo delle acque e una lapide romana che segnalava la tomba di un geometra: in rilievo è infatti visibile un frammento di squadra.
DA BORGO FORNASIR AL MARE
La pista ciclabile a ridosso dell’argine si interrompe oltre San Michele, poco dopo una delle tante trincee sparse in città: bisogna tornare sulla strada, da cui però si esce nuovamente all’altezza di un cartello in legno che indica, tra i campi, il Muart di Carot, un ramo morto del fiume Ausa testimone del vecchio corso rettificato nel Novecento. E siamo così in borgo Fornasir, sorto negli anni Trenta in seguito alle bonifiche dell’ingegnere Dante Fornasir: è un classico luogo di scampagnate, fra dolci campi e pregevoli viti. Presso il borgo, l’argine sinistro è di nuovo percorribile: si arriva dunque alla confluenza fra l’Ausa e il canale Banduzzi, proveniente da Torviscosa.
Lontane, all’orizzonte, cominciano ad apparire le prime case di Salmastro, mentre mi trovo ormai nella zona di Ponte Orlando, che prende il nome dal famoso paladino di Carlo Magno. Qui, la via Annia, una delle principali strade consolari romane, superava l’Ausa e proseguiva verso il Veneto, e sempre qui, nel 340 d.C., avvenne un feroce scontro fra Costante e Costantino II, figli dell’imperatore Costantino il Grande. A narrarci l’episodio, nell’Epitome de Caesaribus (41, 21), è lo storico romano Sesto Aurelio Vittore (IV sec. d.C.): «Improvvisamente, Costantino II e Costante cominciarono a contrastarsi per la giurisdizione sull’Italia e l’Africa. Allorché Costantino, incauto e come un ubriaco, si precipitò vergognosamente nei territori del fratello, fu fatto a pezzi e gettato in un fiume, il cui nome è Ausa, non lontano da Aquileia».
Secondo antiche leggende, un terzo ponte romano esisteva sull’Ausa, vicino alla laguna: laggiù sarebbe passato Attila, dopo la distruzione di Aquileia, per porre l’assedio a Marano. Il fiume, intanto, continua il suo corso: siamo in comune di Terzo di Aquileia. A Ca’Aussa, nel Salmastro, superato un punto di difficile transito, ci aspetta un tratto di quattro chilometri di strada rettilinea, comodissima ma molto distante dal fiume, che si riesce solo a intuire seguendo con lo sguardo la sponda.
Oltrepassati gli ultimi casolari abbandonati, la strada asfaltata lascia il posto a un sentiero sterrato che immette direttamente al porticciolo delle Barancole, ed è qui che ritrovo l’Ausa. Ormai la foce è vicina; pochi minuti di percorso e mi si spalanca davanti la laguna di Marano: uno spettacolo di luce e di riflessi cristallini. Il viaggio è finito, ma l’Ausa, il «fiume dei silenzi» secondo lo storico Angelo Molaro, prosegue ancora, lentamente, verso Porto Buso, l’antico Portus Alsuanum citato da Cassiodoro (VI secolo d.C.) come luogo di partenza delle navi verso Ravenna. Qui sfocerà nell’Adriatico.
Commenta per primo